Principesse delle mie brame - Identità di genere e cartoon
di Cristina Vangone
Prefazione di Rita Torti
Effatà Editrice, 2017
Copertina flessibile, pp. 240
€ 15,00
Il saggio di Cristina Vangone arriva come un’attesa risposta ai numerosi interrogativi che hanno costellato le giornate della mia infanzia e alle domande che la donna adulta di adesso si pone su un argomento scottante del contemporaneo, ma che non è mai riuscita ad approfondire in maniera adeguata.
Da un lato, infatti, come l’autrice dice nell’Introduzione (a p. 16):Di allora […] ricordo soltanto il forte desiderio di poter essere semplicemente me stessa; giocare a Barbie con le amiche di giorno e a calcio con gli amichetti la sera
rammentando anche quanto difficile fosse trovare un corrispettivo di questa mia scissione interiore nei prodotti culturali di cui mi cibavo con più avidità, i VHS dei Classici Disney sempre in onda sul piccolo televisore della mia camera. Dall’altro, poi, Principesse delle mie brame dichiara sin dal sottotitolo di poter efficacemente guidarmi nell’universo sconosciuto dei gender studies su cui mi ero ripromessa di affacciarmi da lungo tempo.
In effetti, Cristina Vangone propone uno studio che promette di analizzare il rapporto cartoni animati e identità, dimenticato dagli studiosi del settore nonostante la relazione genere-media sia finita sotto i riflettori dei gender studies ormai da molto tempo. Nello specifico, l’autrice struttura il suo saggio dividendolo in tre sezioni, la prima dedicata a un’introduzione generica sul concetto di genere e femminilità, la seconda all’analisi puntuale e spiccatamente semiotica di quattro classici Disney – Biancaneve, Pocahontas, Mulan e Rapunzel – , la terza e ultima a un sondaggio somministrato a 33 persone di età comprese tra i 14 e i 74 anni, di sesso sia maschile (tot. 12) che femminile (tot. 21) per accennare uno studio pratico sulla sensibilità del tema presso la popolazione italiana.
La curiosità di approfondire la tematica gender sarà pienamente soddisfatta grazie a questo saggio? La risposta è, purtroppo, negativa, sebbene questo non infici l’elevata qualità del volume, in grado di rispondere invece al desiderio di approfondire il legame tra cultura mediatica e identità (come dichiarato, del resto, dal sottotitolo) senza ampliare eccessivamente il tiro verso le tematiche più ampie dei gender studies.
L’autrice, è vero, riesce a gettare alcuni semi sull’argomento, come ad esempio i concetti di gender «ovvero l’insieme delle costruzioni sociali e ideologiche che costituiscono l’interpretazione culturale del dato biologico» (p.28), di sex-gender «l’insieme di tutti i processi attraverso cui ogni società è solita tradurre la sessualità biologica di un individuo in ruoli differenziati, stereotipati e preconfezionati» (p.28) o spiegando una volta per tutte la differenza tra «individui cisgender (in cui sesso e appartenenza di genere coincidono) o transgender (in cui sesso e appartenenza di genere non coincidono)» (p.34), eppure a partire dalla seconda sezione del testo le fiabe scelte vengono analizzate più in una chiave semantica che non propriamente di genere, disorientando i non addetti ai lavori (pur avendo avvertito sulla tecnica usata per l’analisi e inserendo alcune, valide e ben fatte, delucidazioni in merito).
Così iniziando a parlare della struttura narrativa di Biancaneve, viene aperta una lunga parentesi sulle teorie di Greimas in merito al livello narrativo di ogni testo grazie alle quali gli studiosi di semiologia sono stati in grado di individuare i percorsi di generazione del senso celati tra gli ingranaggi. E se termini come “attante”, “performanza”, “competenza” e “contratto” risultano familiari a chi ha sostenuto almeno un paio di esami di Teoria della Letteratura all’università, per il resto dei lettori interessato agli spunti gender del primo classico Disney, questa carrellata risulterà un po’ ostica da digerire. Così come Vladimir Propp e le sue famosissime funzioni, interamente elencate e spiegate per far luce sulla struttura narrativa di Mulan, primo vero cartone rivoluzionario nel panorama disneyano perché ha come protagonista una donna che per affermare la sua identità e presenza nel mondo decide di compiere un’attività maschile (la guerra) assumendo le sembianze di un uomo per sfuggire al controllo dei suoi superiori. Interessanti gli spunti semiologici, ma ancora una volta a tratti estremamente difficili da seguire dal lettore medio.
Così iniziando a parlare della struttura narrativa di Biancaneve, viene aperta una lunga parentesi sulle teorie di Greimas in merito al livello narrativo di ogni testo grazie alle quali gli studiosi di semiologia sono stati in grado di individuare i percorsi di generazione del senso celati tra gli ingranaggi. E se termini come “attante”, “performanza”, “competenza” e “contratto” risultano familiari a chi ha sostenuto almeno un paio di esami di Teoria della Letteratura all’università, per il resto dei lettori interessato agli spunti gender del primo classico Disney, questa carrellata risulterà un po’ ostica da digerire. Così come Vladimir Propp e le sue famosissime funzioni, interamente elencate e spiegate per far luce sulla struttura narrativa di Mulan, primo vero cartone rivoluzionario nel panorama disneyano perché ha come protagonista una donna che per affermare la sua identità e presenza nel mondo decide di compiere un’attività maschile (la guerra) assumendo le sembianze di un uomo per sfuggire al controllo dei suoi superiori. Interessanti gli spunti semiologici, ma ancora una volta a tratti estremamente difficili da seguire dal lettore medio.
Come indicato precedentemente, tuttavia, Principesse delle mie brame è un bellissimo testo, scritto con professionalità, competenza e chiarezza (mai scontata negli scritti specialistici), dai grandi meriti teorici che spingono a riflettere con profondità su quanto si venga bombardati inconsapevolmente di messaggi subliminali dai prodotti mediatici di cui fruiamo ogni giorno, sin dalla più tenera infanzia. Così la diversità che Pocahontas incarna nel suo amore per John Smith, conquistatore inglese “altro” rispetto al noto della sua tribù:
è motivata da un’urgenza che scaturisce, dal mio punto di vista, dalle continue vicende di cronaca legate al terrorismo di matrice islamica e, soprattutto, da quello che potrebbe esserne l’effetto più semplicistico, ovvero un pericoloso fomento di odio cieco aprioristico nei confronti del diverso. La diversità, infatti, non necessariamente implica qualcosa di brutto e/o pericoloso ma può, anzi deve essere vista come qualcosa di profondamente arricchente e Pocahontas, questo, lo testimonia bene. (p.111)
La Rapunzel disneyana, infine, rinchiusa in una torre da una matrigna malefica intenzionata a sfruttare per sempre il potere di longevità e bellezza che i capelli della fanciulla le assicurano contro l’odiata vecchiaia, ma autrice volontaria della sua fuga al fianco della quintessenza dell’anti principe azzurro, il mascalzone Flynn Rider:
Nel suo percorso, tutto teso verso la libertà e costruito intorno a siffatte modalità, appare dunque riflettere la lunga strada che ha contraddistinto la via per l’emancipazione femminile. […] Attraverso la figura di una moderna Raperonzolo, il cartone animato, sembra infatti ribadire, in particolare alle bambine, che è importante lottare sempre per la propria libertà e, soprattutto, rincorrere i propri sogni perché la verità è che non c’è niente che, in quanto donne, non sia possibile fare. (p. 179)
Un messaggio che, al di là di qualunque speculazione ideologica, vale la lettura dell’intero saggio.
Federica Privitera
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