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Alla scoperta dello stile di Frida Kahlo, che ben conosceva "il potere magico degli abiti come sostituti dei loro proprietari"

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Iconic Frida.
Vita, passioni e fascino di uno stile unico oltre le mode
di Massimiliano Capella
Centauria, 2018

pp. 133
€ 19,90


Nello scatto del 1944 appartenente alla collezione Bettmann scelto per la copertina di Iconic Frida, il volume a firma di Massimiliano Capella in uscita oggi per Centauria, la celebre artista messicana ha l’aria assorta. Chissà a che cosa pensa, la signora Kahlo-Rivera. Se non la vedessimo già abbigliata, acconciata e adornata di tutto punto, come del resto siamo ormai abituati a riconoscerla e immaginarla, potremmo rispondere: “forse a che cosa indossare?”. E potremmo dirlo, si badi, senza tema di frivolezza alcuna, perché nel caso di Frida la cura del proprio aspetto aveva un’importanza affatto secondaria rispetto alla ricerca più prettamente estetica e pittorica, e la scelta di un indumento, di un gioiello e di un fiore da appuntare tra i capelli aveva la stessa dignità delle riflessioni precedenti la realizzazione di un quadro. Frida sapeva che essere presente al proprio e all’altrui sguardo in una determinata veste avrebbe parlato di sé come e quanto le opere: una profezia annunciata e avverata, questa, dal momento che il suo stile – personalissimo, anticipatore e superiore rispetto a tutte le mode, e per questo destinato a diventare un classico – ha segnato la storia del Novecento (e oltre) non meno della sua arte, imponendosi come un punto di riferimento quasi obbligato per gli stilisti di tutto il mondo.

Il taglio del libro di Massimiliano Capella – docente di Storia del Costume e della Moda e direttore scientifico di ARTE MODA ARCHIVE presso il Centro Arti Visive dell’Università degli Studi di Bergamo – non potrebbe essere più preciso: Frida raccontata attraverso il filtro privilegiato del suo stile e dei dettagli che hanno contribuito a renderlo iconico, e dunque attraverso il suo rapporto con la moda del periodo e con quella più recente, che dal suo guardaroba ha tratto più e più volte ispirazione, dedicando a lei intere collezioni o citandone i tipici senhal. Dopo un’essenziale biografia e una ricognizione sullo stile delle donne contemporanee della pittrice, in Messico come negli Stati Uniti e in Europa, Capella approfondisce il “sistema vestimentario” di Frida: una amalgama perfetta di tradizione precolombiana, modernità e innovazione, in cui l’adozione di elementi tipici dell’abbigliamento femminile messicano convive con il desiderio androgino di “portare i pantaloni”, e in cui la necessità di nascondere o camuffare la disabilità degli arti inferiori si esprime progressivamente nell’esatto contrario rispetto alla scelta forse più comoda dell’anonimato, e dunque in un ricorso gioioso all’eccesso cromatico e ornamentale. 

A fare di Iconic Frida un libro da collezione per gli estimatori della sua arte e del suo personaggio e, più in generale, per gli appassionati delle pubblicazioni sull’argomento moda, specie nelle sue intersezioni  con le arti, è certamente la ricchezza dell’apparato fotografico. Nella prima parte domina l’eleganza senza tempo del bianco e nero, con grandi scatti a piena pagina che ritraggono Frida (da sola o in compagnia) e alcuni materiali iconografici che testimoniano la moda del periodo. Nella seconda, invece, le immagini a colori si susseguono rapide, una più intrigante dell’altra, proprio come le uscite su una passerella: sono i collage con le copertine, i servizi e gli editoriali ispirati allo stile di Frida, ma sono soprattutto gli scatti tratti dalle collezioni dei più importanti designer mondiali che, almeno una volta nel loro percorso, hanno voluto citare e omaggiare l’artista messicana. Questo filo rosso, che ha la sua origine nella Robe Madame Rivera ideata dal genio di Elsa Schiapparelli nel 1939, quando Frida era ancora viva, tiene insieme tutti i principali esponenti del fashion system: Mila Schön e Romeo Gigli, Gianfranco Ferré e Christian Dior, Jean-Paul Gaultier e Antonio Marras, Roberto Cavalli e Comme des Garçons, Prada e Missoni, Moschino e Alberta Ferretti, Gucci e Stella Jean, Mara Hoffmann e Dolce & Gabbana. E non mancano, qua e là, alcune chicche: dal bracciale ispirato a Frida indossato da un’insospettabile proprietaria (al lettore il gusto di scoprirne l'identità…) all’omaggio reso a Frida dalla “bambola” per antonomasia.

L’opera della pittrice nata a Coyoacàn nel 1907 è stata per lungo tempo ridimensionata nel suo valore prettamente artistico, quando non direttamente dimenticata e omessa dai manuali; un destino comune, del resto, a numerose donne. Solo in anni tutto sommato recenti il suo lavoro è stato oggetto di un processo di riscoperta e rivalutazione, che non di rado, tuttavia, ha preferito continuare ad accontentarsi di letture critiche di tipo biografico e psicologico, sempre troppo viziate dai pur innegabili dolori patiti in una vita tanto breve quanto straordinaria (la pittrice morì nel 1954, per un’embolia polmonare, dopo aver patito atroci sofferenze come strascico di un terribile incidente stradale avvenuto nel 1925, che, in aggiunta alla spina bifida, ne compromise per sempre la salute). Oggi, innegabilmente, è sempre la sua figura, ancora più dei suoi dipinti, a occupare un posto d’onore nell’immaginario popolare, conseguenza di uno sdoganamento che, in un’ottica più vasta e più genericamente culturale, ha contribuito a renderne familiare e d’ispirazione il personaggio, il temperamento e le scelte. La Frida celebrata nelle mostre più recenti e nelle pubblicazioni più svariate (monografie, biografie, saggi, cataloghi, graphic novel…) è comunque e sempre in primo luogo una figura femminile di incredibile forza e talento, alla quale individui di diverse generazioni desiderano guardare con rispetto e curiosità. Nel dedicare un lavoro solo al suo rapporto con la moda, in vita come post-mortem, Massimiliano Capella ne ha messo in primo piano gli aspetti imperituri dell’icona e quelli, non meno carismatici, della donna piena di brio che, come ben scrive la sua biografa Hayden Herrera, ben «conosceva il potere magico degli abiti come sostituti dei loro proprietari».

Cecilia Mariani