di Knud Rasmussen
Adelphi, 2018
a cura di Bruno Berni
pp. 190
€18 (cartaceo)
«Tutto il lavoro folklorico è assolutamente dipendente dalle fonti da cui si attinge: è necessario trovare narratori che non sono solo in possesso di conoscenze e fantasia, ma hanno anche il pieno interesse a collaborare. Inoltre devono essere così affidabili da potersi ascoltare senza riserve e senza troppa critica, solo allora l'atmosfera di autenticità viene trasferita ai racconti e si ottiene il colore necessario affinché quella materia estranea possa prendere vita. Tra Aua, sua moglie e me era nata un'amicizia che mi forniva una buona fonte di partenza» (p. 109).
Quel giorno di luglio 2016 ci siamo riparate nel Museo etnografico di Copenhagen più per la disperazione di un diluvio sferzante, che per reale curiosità. La curiosità, invece, è nata dopo, quando le sale hanno iniziato a prendere vita con i loro reperti di popoli da tutto il mondo. A colpirmi particolarmente, le sale destinate a raccontare gli Inuit: dalle visiere necessarie per non restare abbagliati dalla neve durante la caccia alla foca alle armi artigianali di enorme valore per ogni eschimese, fino agli abiti stratificati, colorati e cuciti con enorme cura di stagione in stagione. Tanti di quei reperti erano stati portati lì dal danese Knud Rasmussen, etnografo, antropologo, esperto delle cultura popolare degli Inuit. Un nome che - lo ammetto -mi sono dimenticata dopo pochi minuti nel museo.
Un nome che ho ritrovato poche settimane fa, quando ho stretto tra le mani Aua, un altrettanto singolare "reperto" delle esplorazioni del primo Novecento tra i ghiacci. Adelphi ha selezionato entro le oltre mille pagine del taccuino di viaggio di Rasmussen per concentrarsi sulle parti più interessanti delle sue spedizioni, condotte tra il 1921 e il 1924 dalla Groenlandia all'Alaska, attraversando il Canada degli eschimesi. L'obiettivo? Ricostruire la cultura Inuit, riuscendo ad avvicinare questi uomini che sfidano ogni giorno temperature proibitive (fino a -50°C!), adorando una natura dura e ostile, ma profondamente generosa nel regalare all'uomo di che vivere.
Procurarsi il cibo in mezzo ai ghiacci richiede pazienza infinita, resistenza al freddo, perseveranza e anche rischio. Mentre si aspetta acquattati in mezzo al ghiaccio che una foca compaia a uno dei tanti buchi per respirare, gli Inuit non badano alla neve che va accumulandosi sulle pellicce, né perdono la speranza, benché spesso la caccia si concluda con magri risultati. Negli igloo, «il ritorno dei cacciatori era atteso con la tensione e il desiderio con cui l'affamato aspetta il proprio pasto» (p. 105), ben consci che la natura può richiedere sacrifici e trasferimenti stagionali da una parte o dall'altra, in base alla disponibilità di cibo. Come più volte sottolinea Rasmussen, «questo stato di natura fa di loro dei poeti» (p. 74), per quanto a noi occidentali possa sembrare assurdo scegliere di vivere tra i ghiacci. Ma si tratta di una realtà completamente diversa dalla nostra, che ad esempio vive la caccia con estremo rispetto per le anime degli animali che sono stati sacrificati per il pranzo della famiglia:
Procurarsi il cibo in mezzo ai ghiacci richiede pazienza infinita, resistenza al freddo, perseveranza e anche rischio. Mentre si aspetta acquattati in mezzo al ghiaccio che una foca compaia a uno dei tanti buchi per respirare, gli Inuit non badano alla neve che va accumulandosi sulle pellicce, né perdono la speranza, benché spesso la caccia si concluda con magri risultati. Negli igloo, «il ritorno dei cacciatori era atteso con la tensione e il desiderio con cui l'affamato aspetta il proprio pasto» (p. 105), ben consci che la natura può richiedere sacrifici e trasferimenti stagionali da una parte o dall'altra, in base alla disponibilità di cibo. Come più volte sottolinea Rasmussen, «questo stato di natura fa di loro dei poeti» (p. 74), per quanto a noi occidentali possa sembrare assurdo scegliere di vivere tra i ghiacci. Ma si tratta di una realtà completamente diversa dalla nostra, che ad esempio vive la caccia con estremo rispetto per le anime degli animali che sono stati sacrificati per il pranzo della famiglia:
«Il maggior pericolo della vita risiede nel fatto che il cibo dell'uomo è composto di anime» (p. 141).
Dunque, occorre rispettare al massimo le anime dei trichechi, delle foche e degli orsi sacrificati per la causa: niente va sprecato, se non piccole parti di grasso e di carne che vengono utilizzate per rituali complessi e articolatissimi, in omaggio all'animale. Nella visione degli Inuit, così avvezza alla precarietà della vita, la morte è un passaggio comune e da allontanare con riti e preghiere agli spiriti protettori. Non ci sono spiegazioni scientifiche che possono placare gli animi, solo leggende antichissime, che si sono tramandate di generazione in generazione, superando la barriera di numerosissimi chilometri di ghiaccio. D'altra parte, per quanto a noi europei possa sembrare «sorprendente credulità con cui ogni messaggio del mondo degli spiriti è accolto dagli eschimesi» (p. 113), dobbiamo immedesimarci in queste pagine in un popolo che - come tutti gli altri - prova a darsi risposte davanti alle domande esistenziali.
Se nella prima parte del taccuino di Rasmussen questi rituali sono spesso osservati dall'esterno e il racconto degli usi Inuit si concentra maggiormente sulla loro quotidianità, nella seconda parte, risalente a una spedizione successiva, l'esploratore riceve molti più dettagli sulla religione e sulle leggende locali. Infatti, Aua, lo sciamano che resta la più ricca fonte di informazioni per Rasmussen, ha attraversato una profonda trasformazione: dal paganesimo iniziale, si è convertito al cristianesimo. In questo modo, può finalmente lasciarsi andare a maggiori dettagli:
«Uno sciamano credente non può rivelare i misteri della sua vita senza fiaccare il suo rapporto col soprannaturale» (p. 98)
Ed è occupata dalla spiritualità l'ultima parte del taccuino di Rasmussen, che passa attraverso rituali dal notevole peso antropologico, in grado di sconvolgere la nostra mente occidentale. Le parole di Aua si mescolano spesso a quelle dell'esploratore che - va proprio detto - ha l'approccio più aperto, adattivo, mai pregiudizievole né giudicante che si richiede pienamente alla sua missione. Anche Rasmussen vive in un igloo sulle pelli di renna, anche lui caccia mentre il vento artico mette a dura prova la resistenza umana, mangia lo stesso cibo degli Inuit e impara quotidianamente da loro, nel rispetto completo di usi tanto diversi.
Quel che oggi traiamo da un taccuino di viaggio così coraggioso non è solo l'esperienza di un uomo a contatto con territori inospitali e, al contrario, padroni di casa ospitali; è la continua capacità di meravigliarsi del diverso, è la sfida con sé stessi e con i propri limiti; è la gioia della condivisione attraverso la carta stampata.
GMGhioni
Quel che oggi traiamo da un taccuino di viaggio così coraggioso non è solo l'esperienza di un uomo a contatto con territori inospitali e, al contrario, padroni di casa ospitali; è la continua capacità di meravigliarsi del diverso, è la sfida con sé stessi e con i propri limiti; è la gioia della condivisione attraverso la carta stampata.
GMGhioni
{tutte le foto sono state realizzate da Gloria Ghioni presso il Museo etnografico nazionale di Copenhagen - si prega di non diffonderle altrove senza autorizzazione}
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