di Gianluca Morozzi
Tea, 2018
pp. 196,
€ 13,00 (cartaceo)
Dunque i miei vicini esistevano, con tutta evidenza. Ce n'erano almeno due: una ragazza dall'orgasmo rumoroso, e una vittima di teledipendenza notturna. A meno che non fossero la stessa persona.
Avrei fatto presto la conoscenza di quelle persone ancora misteriose. Molto presto. (p. 85)
Giulio Maspero ha due grandi passioni: la scrittura e le donne. La scrittura l'ha raggiunto quando aveva otto anni, con un primo racconto sulla spiaggia in stile Urania, le donne... beh, quando diventi uno scrittore discretamente apprezzato vuoi che ti manchino le donne o le studentesse di scrittura creativa pronte a pendere dalle tue labbra (e non solo)? Giulio riflette proprio su come le sue due passioni siano anche causa della sua rovina, visto che la sua ricca fidanzata l'ha cacciato di casa dopo la scoperta delle sue attività extracurriculari con la procace Veronica. Per fortuna in quel momento passa di lì Mauro Britos, una vecchia conoscenza, un illustratore che non gli sta nemmeno simpatico, ma che gli sta offrendo un posto dove stare mentre lui va a fare un viaggio in Uruguay. Perché no? Così intanto può finire il suo romanzo e risanare le sue finanze. L'appartamento è alla periferia di Bologna, in un palazzetto di sei appartamenti tutti, ad eccezione del suo, occupati dalla stessa famiglia: circondato da nonno, genitori e sorelle si sente un po' soffocare. C'è qualcosa di tanto strano in quel posto. Qualcosa di agghiacciante. Qualcosa che gli fa riconsiderare la definizione di "fortuna" nell'essere andato ad abitare lì.
«Sai com'è» avevo commentato, «i personaggi dei film dell'orrore mica lo sanno di essere in un film dell'orrore». (p. 144)
Ultimamente mi capitano tra le mani storie che mi fanno guardare con profonda inquietudine ai miei vicini o alla vita in condominio/appartamento perché veicolano un messaggio molto chiaro: in un modo o nell'altro i tuoi vicini sono pericolosi o ti stanno nascondendo qualcosa. Con Gli annientatori, ultimo romanzo di Gianluca Morozzi edito da Tea - Editrice Nord, ho completato la mia spirale discendente nell'inferno delle coabitazioni. Una discesa che inizia graduale per poi piombare in una delle storie più agghiaccianti che io abbia letto negli ultimi anni.
Morozzi è maestro nel giocare su diversi piani: il surreale, il grottesco, il nero, il sarcasmo mirati a costruire un Frankenstein di storie e personaggi, sono il suo ambiente naturale. Si può iniziare una sua storia ridendo e concludere con una dannata paura dei mostri che puoi trovare sotto il letto. Gli annientatori raggiunge il picco di questa parabola divertimento/horror: tutta la narrazione, in prima persona dal punto di vista di Giulio Maspero, è abilmente disseminata di briciole di pane. Già la copertina ti mette sull'avviso con l'immagine di una donna con una maschera di coniglio in una camera da letto: per gli appassionati, ricorda subito le visioni del terrore onirico del fumetto Bonelli, Morgan Lost. Qualcosa ti urla di non aprire quella porta, ma tu lo fai, ed entri.
Nelle prime pagine vieni tranquillizzato: l'ambientazione bolognese, spesso sfondo nelle storie di Morozzi, rassicura. Il protagonista è il classico individuo che popola la città universitaria, un po' talentuoso, ma sostanzialmente un cazzone. Così ti perdi nel racconto della sua carriera e della sua dissestata vita sentimentale, tanto da scordare quasi ciò che il titolo e la copertina ti avevano preannunciato. Ma tutti gli horror partono con una situazione di apparente normalità.
Poi incominciano le briciole di pane. Alcune eccezionalmente classiche ed evidenti:
Avevo attraversato di nuovo il parco di via Gorgo, le panchine deserte, gli scivoli deserti, le altalene deserte. Non c'erano anziani, non c'erano bambini, in quella strada? Certo, gli alberi non proiettavano chissà quale ombra, e panchine e giochi dovevano essere trappole di metallo arroventato, (p. 87)
oppure i gusti cinematografici orientati sull'horror. Altri più sottili, ma che contribuiscono a creare un senso di disagio come il puzzle a cui manca un pezzo, quello centrale:
Guardavo e riguardavo l'immagine sulla scatola per cogliere qualche dettaglio in più. Non c'era modo di capire il sesso dei bambini, e non c'era alcun indizio sul luogo o l'epoca. Mi fissavo su quei gesti d'affetto, il modo in cui si abbracciavano, e il bambino di sinistra che piegava la testa verso quello di destra, e cercavo un significato, (p. 114)
che è ciò che manca a Giulio per capire cosa stia succedendo. Alcuni elementi sono autoreferenziali (e qui dovete cercarli), creano un senso di claustrofobia e ti urlano "scappa sciocco!". Ma su tutto resta la speranza: perché la narrazione è in prima persona, la più ingannevole forma di narrazione che Dio abbia messo in terra. Se il protagonista ti sta raccontando cosa gli è successo, continua a fare riferimenti al "avessi saputo che...", "se solo...", vuol dire che tutto si è risolto, giusto? I suoi continui interventi, il sogno della piramide (quasi una Montagna della follia di lovecrafiana memoria), vuol dire che sta bene altrimenti come potrebbe raccontarcelo? C'è sempre un personaggio dei film horror che sopravvive e se la cava.
La famiglia Malavolta abitanti del palazzetto sembrano persone normali. Certo, un po' invadenti, fin troppo cordiali, ma meglio così di vicini rumorosi o che nemmeno salutano. Su di loro, nel quartiere, circolano voci strane, accoppiamenti tra consanguinei, una macabra storia sul loro capostipite, ma non si può far ricadere su di loro le colpi del loro nonno. Dopo tutto, Giulio deve restare lì poco più di un mese: cosa mai potrebbe succedergli?
Un romanzo con indizi che paiono quasi pensati per un'avventura a Call of Cthulhu, dove il più grosso ostacolo non è capire che andrà a finire male, ma quanti punti SAN riuscirai a mantenere alla fine delle scoperte. Anche nella Bologna odierna l'orrore può sconfinare in territori molto ampi, nascosti dietro la cordiale accoglienza di una famiglia e la generosità inspiegabile di un illustratore disturbante. E anche se la copertina urlava di aprire la porta con cautela, il romanzo si legge di corsa, trascinati da un indizio ad un altro in una sessione di lettura veloce e trascinante. Tirate un dado all'inizio e alla fine, percentuale di riuscita SAN 15% e buon orrore a tutti.
Giulia Pretta