La vera storia di Ah Q
di Lu Xun
Newton Compton Editori,
luglio 2016
Traduzione di Umberto
Ledda
pp. 126
€
4,90 (cartaceo)
Confucio ha detto: “Se il nome è sbagliato, le parole non suoneranno vere”, e credo sia una regola di grande saggezza, degna di essere osservata scrupolosamente.
Per semplicità lo
chiameremo Ah Q. Già, perché il libro si apre con la difficoltà di
decifrare il vero nome del protagonista. Nei caratteri cinesi vi sono
discordanze e così il nome viene tradotto con ingenua disinvoltura
Ah Q. Ma il nome è solo il primo di tante incertezze. Per esempio
non si sa da dove venga Ah Q, quali siano le sue origini. Ma si sa
dove è stato nel tempo della storia. Ah Q è un ometto emaciato che
incappa spesso in qualche rissa e trae gioia se secondo lui vince
l'incontro. Spesso è lui a provocare la rissa, ma non ne è
consapevole, è un poveretto prepotente che vuole averla vinta a
tutti i costi e anche se ogni volta finisce a terra a suon di botte,
si rialza per dare almeno un colpo di bastone al nemico. Per lui
riuscire a dare almeno una bastonata è come vincere l'incontro.
Quando è a terra dalle botte, pensa di aver la meglio insultando
l'avversario. E quando si rialza, ancora più malconcio di prima,
rincasa nel suo tempio felice con l'illusione di essere vincitore. Ah
Q vive in un mondo tutto suo, fatto di incaute prepotenze contro i
paesani del luogo, contro altri disgraziati come lui che incontra nel
suo percorso e di botte prese più che date. Ha abitudini
sempliciotte: dopo aver lavorato per qualche personaggio ricco del
paese, prima di rientrare al tempio (casa sua), si reca all'osteria e
beve almeno due scodelle di vino. Quando il lavoro va male, beve
senza pagare, aumentando i suoi debiti. Un giorno si mette in testa
di volere una donna, meglio una moglie. Aveva già bevuto vino dalla
mattina quando in strada incrocia una monaca. Ripete insistentemente
che i monaci possono toccare una donna o una monaca mentre non si
spiega perché lui non possa. Irritato da questo pensiero, blocca per
strada la monaca e la provoca a tal punto da schiaffeggiarla. La
donna spaventata scappa, ma la voce della violenza si sparge per
tutto il paese. Nessuno lo saluta più e nessuno si avvicina a lui.
Così Ah Q, risentito, cerca di trovare una soluzione, perché
vorrebbe tanto essere importante ed essere trattato meglio in paese.
“Giusto, giusto, dovrei prendere moglie, perché un uomo che muore senza figli non avrà nessuno che possa onorare la sua memoria sacrificando una scodella di riso... Sì, devo trovar moglie”.Come si dice, “ci sono tre modi per essere dei figli snaturati, e il peggiore dei tre è non avere figli a propria volta”; ed è altrettanto vero che “gli spiriti senza discendenti fanno la fame”: è una delle tragedie della vita.I pensieri di Ah Q erano dunque in perfetto accordo con quelli dei santi e dei saggi, ed è un peccato che in seguito si sia discostato da tali posizioni.
Ma tempo un giorno e ne
combina un'altra. Mentre si trova a lavoro da un personaggio di
spicco del paese, noto benestante, chiede alla domestica della casa
se possano andare a letto insieme. Ella scappa urlando e il padrone
di casa, il noto benestante, caccia in malo modo Ah Q. Ma Ah Q ha
mille risorse ottimistiche, così se su due piedi ci rimane male per
esser stato scacciato via, dopo qualche scodella di vino e una bella
dormita, è convinto che si sia tutto sistemato al meglio nel paese.
E invece inizia a girare anche questa voce e la sua reputazione
continua a crollare. Ah Q sparisce per diversi mesi. Di lui non si sa
più nulla, finché un giorno lo rivedono girare per strada con una
giacca nuova, pulito e ben vestito. Sembra anche più sano, con
qualche chilo in più. Per prima cosa, si reca all'osteria, dove
salda i debiti. Tutti i presenti lo guardano stupiti, sembra un uomo
nuovo, un'altra persona. Così l'osteria decide di fargli nuovamente
credito per il vino. Si sparge la voce nel paese che Ah Q sia stato
in città e abbia fatto molti soldi. I paesani ricominciano a
salutarlo con rispetto e a trattarlo bene, finché non si scopre che
in verità in città faceva il ladro. È tornato in paese perché
alla fine non riusciva più neanche a rubare. E la sua reputazione
crolla distrutta di nuovo.
Venne fuori che durante la sua assenza era stato solo un miserabile ladruncolo, e che non solo non era in grado di scavalcare un muretto, ma aveva problemi anche con le porte: il suo ruolo era quello di aspettare fuori dall'ingresso delle case per farsi carico della merce rubata.[…] Questo racconto diede il colpo di grazia alla sua reputazione. Perché prima gli abitanti del villaggio lo avevano evitato solo per timore di inimicarselo, ma ora sapevano che era un ladro (e per giunta un ladro codardo, che non aveva più il coraggio nemmeno di rubare) e avevano capito che non era degno neanche di paura.
Arriva la Rivoluzione in
paese e i ribelli derubano la casa del noto benestante. Ah Q vorrebbe
unirsi alla Rivoluzione, prendere parte a qualcosa di grande, che gli
possa garantire rispetto e sicurezza. Si reca dunque dai soldati, ma
questi lo catturano. Ah Q, ometto emaciato che senza consapevolezza
praticava prepotenze e ottimismo smisurato, viene condannato
ingiustamente, ritenuto colpevole per qualcosa che non ha commesso.
E' questa la vera storia di Ah Q, dipinto per tutta la storia come
innocente e sfortunato, rivelatosi invece un vagabondo prepotente e
rissoso che non accetta mai la sconfitta, punito dal caso sebbene
privo di colpe, almeno stavolta.
Assai curioso lo stile
narrativo cinese dello scrittore che narra le avventure di Ah Q come
fosse una favoletta moderna, sebbene composta di risse e violenze,
sebbene priva di lieto fine. Uno stile semplice, scorrevole e
ingannevole nella trama (Ah Q viene descritto in un modo leggero che
crea simpatia, salvo poi essere un individuo discutibile per via
delle sue continue malvagie azioni). Al di là della conclusione del
libro, in cui si avverte il senso di ingiustizia, è una storia
interessante che tiene incollati al libro. Una lettura pratica e
veloce che si termina in una mattina.
Alessandra Liscia
Alessandra Liscia