Metapsicologia rosa
di Alessandra Saugo
Feltrinelli, 2017
pp.128
€ 10,00 Euro
ebook € 6,99
Come un grumo di parole che si impigliano questo libro
scorre, senza scorrere mai fluidamente; perché le parole restano lì ferme ad
aspettare, e si consumano dentro. Alessandra Saugo, l’autrice, l’ha concepito
come ha sempre concepito la scrittura, un contenitore di emozioni non scelte e
non di prima scelta, e ce lo ha lasciato in dono, scomparsa troppo presto, a
settembre dell’anno scorso, a soli quarantacinque anni, per un male che non lascia scampo
nemmeno a chi ha il dono di usare le parole per vivere. Nonostante l’editore
abbia voluto affrettare la pubblicazione, Alessandra Saugo è andata via prima
di vederlo finito.
È un libro disturbante, prima ti sbatte in faccia pensieri
in libertà, concetti densi che come un flusso di coscienza ti inondano, ti pervadono.
Poi diventa più chiaro nel suo disegno di raccontare l’immaginario femminile,
il suo affermarsi per contrasto nella vita, il suo dover essere troppo e troppo
poco, le relazioni, gli inganni, il vestirsi di sentimentalismi, in un gioco di
rimandi esuberante e a volte stancante.
Proprio per questo il libro all'inizio ha disturbato anche me, come una cosa
scomoda in cui ti trovi, e che non capisci come dovrebbe adattarsi a te, o tu a
lei. Semplicemente forse non avevo capito tutto il dolore denso dietro ad ogni
parola, la cura con cui sono state scelte mi soffocava, mi angustiava.
Come una
seduta dallo psicanalista, ma al contrario, con lo psicanalista che in un
vomitare di frasi senza filtri ti sbatte in faccia ciò che sei o non sei.
Questo particolare punto di vista, che è quello scelto dall’autrice nelle prime
pagine, ha l’effetto di spiazzare.
“Lo psicanalista ha una specie di maltempo nelle mani che lo guida attraverso le figure-brusio delle parlantine, e da cui viene giù una specie di neve di silenziosa definizione.
Uno lì è una solitudine con la scala, che bisogna salirla. Gradino dopo gradino, portarsi via una candela, per vedere e non vedere, per aurare. Restare assorti. Come negli angoli delle chiese, dove le fiamme sono dispiaceri ma sono anche accese, sono soste per riposare i piedi, per stare dentro, a sentire il cielo, là dove vanno i matemi, le preghiere algebriche e quantiche, i granetti di rosario, i bisbiglii, i canti, la volta del tempio abbassa la palpebra fredda, ci sono le mani giunte davanti a qualcosa.
Le mani giunte controllano una crepa, tentano di chiuderla, dentro sono vuote”. (p. 21 ebook)
Quella crepa ha fatto breccia tra le mie granitiche
certezze, tra le costruzioni di storie, le trame architettonicamente
posizionate e i personaggi, e sono crollate tutte giù, di fronte alla melodia,
alla poesia che la scrittrice imprime in ogni pagina. Non importava più la
storia, perché il libro stava parlando a me, e, in tutta sincerità, io non so
cosa diventerò tra un minuto o un anno.
Alla persona che è, parla Alessandra, alla persona che non è, alla persona che non
sarà più, e lo sappiamo noi lettori, oggi, con rammarico.
E poi c’è un
campionario di donne, viste da dentro e da fuori, girate come un vestito appena
smesso, poggiandolo al contrario sulla spalliera di una sedia qualunque. Ma ci
sono anche gli uomini, e le debolezze di chi si racconta e di chi ascolta, di
chi non accetta la propria debolezza e usa la forza per indebolire gli altri.
Mi sarebbe piaciuto conoscerla Alessandra, mentre leggo e mentre scrivo di lei. Perché non si arrende alla spietatezza
della vita, la guarda da ogni parte e non si arrende, come non si prostra alle
convenzioni e al dolore.
Ed è spietata, con chi non capisce e con chi pensa di
aver capito tutto, furbescamente; e li smaschera, impietosamente, coi loro
traumi irrisolti e le loro momentanee pause di riflessione. Deboli questi
uomini, vigliacchi, incapaci di vedere oltre uno stereotipo, che poi sono
miliardi, che dentro non ci stanno, ma a ben guardare ci stiamo tutti.
Serve tempo per capire questo libro, per cui se non ne
avete abbastanza, per cogliere ogni sfumatura, non leggetelo, non è un libro per
tutti, non lo era nemmeno per me, fino a un certo punto. Poi ho cambiato idea,
impigliata tra le parole, affascinata da come le pagine spogliassero, dal
copione che varia di continuo, e infine si perde, e dal finale amaro, e
dolcissimo, che va oltre il libro, nella voce di una scrittrice che se ne va,
mentre al fondo, sopra tutto e tutti scrive, con sfrontata veemenza, o forse già pensava all'ironia della sorte: “Devo ringraziare la mia buona
stella”, o forse siamo noi, Alessandra, che dobbiamo ringraziare te.
Samantha Viva