di Hanif Kureishi
Bompiani, 2017
Traduzione di Ivan Cotroneo
Titolo originale: Intimacy [1998]
pp. 107
€ 9 (cartaceo)
Avrò bisogno di penne e carta nel mio viaggio. Non voglio privarmi di qualche importante emozione. Inseguirò i miei sentimenti come un detective, cercando gli indizi del delitto, scrivendo mentre mi leggo dentro. Esigo un'onestà assoluta, il che non significa semplicemente dire a me stesso quanto io sia orribile. Come mi piace scrivere? Con la matita morbida e il cazzo duro, non il contrario. (p. 45)
Arrabbiarsi con un libro: era tanto che non mi capitava. E non parlo di rabbia per delusione estetica (quello purtroppo capita spesso, per non parlare della rabbia per la scarsa curatela dell'opera!), ma per il contenuto del romanzo. Tirata dentro fin dalla prima pagina, forse fin dalla sinossi, non ho potuto che seguire l'io narrante di Kureishi lungo le cento pagine di Nell'intimità e provare, alla fine, un forte e deciso risentimento nei suoi confronti. Del personaggio, sia chiaro, non dell'autore, che è invece riuscito a prendere l'intimità del titolo e a colarla pagina dopo pagina con uno scavo interiore irriverente e vischioso.
E allora, perché la rabbia? Forse perché «naturalmente puoi fare esperimenti con la tua vita. Ma forse non dovresti farne con quella degli altri» (p. 37): il protagonista lo sa, quando medita i dettagli della sua fuga da casa. Lui sa che dovrà lasciare la moglie Susan e i bambini, sa che gli mancheranno e che probabilmente la sua fuga sarà un vero e proprio trauma. Eppure, l'impressione che proviamo all'inizio del romanzo è che l'io narrante sia in trappola, bloccato in una relazione che lo mortifica continuamente, in cui si sente continuamente inadeguato e non all'altezza, di fronte a una moglie dallo spirito pratico, forte e castrante. Se Susan ha sempre una soluzione, lui è quello inadeguato, quello che non fa letteratura vera, ma che seziona e riadatta i grandi classici per farli arrivare sullo schermo. Insomma, fa quello che il suo amico Asif definisce "trasformare l'oro in materiale di scarto" (p. 34): una professione con più infamia che lode, ma che permette al protagonista di uscire di casa e chiudersi a lavorare lontano dagli occhi indagatori della moglie.
Sì, perché anche Susan trova strano l'atteggiamento del marito, gli chiede cosa stia succedendo, ma non ottiene risposte. Anzi, lui la rassicura, mentre in realtà sta preparando la fuga, ma tutto sommato irretisce ancora noi lettori con quesiti di questo tipo:
Non posso scacciare la mia solitudine e il mio desiderio.
Devo fare qualcosa. Ma cosa? (p. 36)
Vorrei che tu fossi un'altra persona.
È troppo volere un'intimità affettuosa e completa?
È troppo voler dormire tra le braccia compiacenti di qualcuno? (p. 55)
Le risposte sono sempre, ovviamente, a suo favore. Però poi arrivano flashback che ci fanno scoprire di tradimenti iterati e meravigliosamente architettati, di un egoismo cocciuto intriso di immaturità. Nei piani del protagonista c'è l'idea di partire il mattino dopo, di trasferirsi temporaneamente a casa dell'amico divorziato Victor e di spiegare solo a posteriori la situazione a Susan e ai bambini. Insomma, una fuga, una fuga come quella su cui aveva sempre meditato, fin da adolescente:
Se solo potessi sedere qui soddisfatto nel mezzo della mia vita, come fanno i bambini, senza preoccuparmi in continuazione dello stato delle cose, di domani, della settimana prossima, dell'anno prossimo. Ma è da quando avevo quattordici anni, da quando cospiravo contro i miei genitori, non scappando come volevo fare ma aspettando il momento opportuno e preparandomi, sapendo che un giorno sarei stato pronto, è da allora che ho avuto bisogno del futuro come di uno scopo. Ho avuto bisogno che ogni anno succedesse qualcosa che mi mostrasse una sorta di progresso o di accumulo. Non riesco a sopportare quando le cose si allentano, quando non c'è sufficiente intensità. (p. 90)
E qualche volta il dubbio ti viene, che l'io narrante stia solo sognando ad occhi aperti la sua fuga, che immagini di sottrarsi alla frustrazione e all'apatia quotidiana, per poi tornare a immergervisi, magari riscoprendo qualche dettaglio in grado di trattenerlo e renderlo felice. Ma non è una favola, Kureishi ce lo ripete a rintocchi irregolari ma precisi: l'altalena del protagonista diventa la nostra, almeno finché qualcosa non si rompe. Lì ho iniziato a provare rabbia. E allora anche un pensiero apparentemente sensato come «Non puoi importi l'amore: puoi solo chiederti perché l'hai temporaneamente accantonato» (p. 65) ha smesso di convincermi. Perché ho intravisto un vuoto di scopo del protagonista, nascosto a dismisura dietro il paravento della sua argomentazione serrata.
Nell'intimità è un romanzo che infrange tutto, compresa l'oggettiva brevità delle sue centosette pagine: va oltre, instilla un dubbio che poi gocciola anche nelle nostre vite e ci fa capire dolosamente quanto sia difficile, se non impossibile, leggere dentro chi amiamo.
GMGhioni
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