Tutte le prime volte. Educazione sentimentale di un padre e delle sue piccole grandi donne
di Paolo Longarini
HarperCollins, 2018
€ 8,99 (ebook)
€ 17,00 (cartaceo)
Non c'è nessuno che possa cogliere l'unicità del rapporto dei padri con le figlie femmine quanto una figlia femmina. Io lo sono, lo so. Ci sono ancora dei video – bassissima risoluzione, pixel in evidenza – in cui si vede una piccola Carolina con fascetta in testa e bambola in braccio che sproloquia per interi minuti, mentre il papà filma instancabile (i primi centottanta secondi) e poi, fuori onda, approfittando di una pausa-respiro, butta lì tra lo speranzoso e lo stremato un: "Dai, che andiamo a buttare la pasta". O ancora le foto che mostrano quest'uomo alto e distinto, nella piazza principale della città, mentre spinge con atteggiamento stoico una carrozzina per bambole rosa. Per la figlia femmina il papà è un eroe (anche se mangia il pandoro di nascosto e prova a nasconderlo nella dispensa, tradendosi con una scia di zucchero a velo che Pollicino in confronto era un dilettante).
Più che di unicità bisognerebbe forse parlare di esclusività, qualcosa che nessuno che si trovi al di fuori di questa relazione biunivoca possa minimamente comprendere o descrivere. Può farlo, invece, e bene, chi una relazione del genere la vive quotidianamente e al quadrato. Per esempio Paolo Longarini, padre orgoglioso di Chiara e Irene.
Il suo racconto è un percorso leggero e aneddotico attraverso le gioie e i dolori della paternità: le gioie molto più frequenti, i dolori piccole punture di spillo compensate dall'orgoglio di vedere le sue bambine diventare grandi e forti. La tenerezza, in più punti palpabile, riesce a non sfociare mai nel sentimentalismo grazie alla pungente ironia con cui ogni situazione viene stemperata, ogni momento di tensione mitigato e alleggerito. Così, quando Irene fa amicizia con il gigantesco e puzzolente randagio del parco (che ha il “pelo sporco di qualsiasi cosa rimi con schifo reperibile nel circondario”), il padre può assistere alla scena idilliaca dell'incontro perfetto, e concluderla bruscamente con un improvviso ritorno al reale:
Tutte le cose belle finiscono, faccio mente locale sulla posizione della più vicina fontanella sotto la quale mettere Irene per almeno un'ora e mezza, individuo un'area dove bruciare i suoi vestiti (impossibile pensare di riportarla casa in queste condizioni) e un sito nucleare dove stoccare il suo pannolino. Fatto questo decreto la fine con i tradizionali tre botti singoli, qui rappresentati da colpi sulla pancia [del cane], e mi alzo.
Non si tratta di una famiglia patinata: sanno essere caustici e politicamente scorretti, quando è necessario o si tratta di vendicare un torto subito; dicono le parolacce se ne vale la pena; sanno rotolarsi nel fango se la circostanza lo richiede; a volte nelle risse si trovano dalla parte sbagliata (ma poi capiscono, e imparano qualcosa di nuovo). Ci tengono a sovvertire ogni luogo comune, ogni stereotipo di genere: non c'è nulla che le femmine non possano fare esattamente come i maschi, se non meglio. La stessa genitorialità viene demitizzata: non è tutto facile, non è tutto bello. Scoprire che la giovinezza e la libertà finiscono con una doppia linea sul test di gravidanza implica un percorso di accettazione non immediato, ammantato (ironicamente) di dramma e di compromesso.
Incinta.
No, non ha detto succinta.
Nemmeno passami una pinta.
Incinta.
Fui completamente preso dal panico. [...] Emozioni esplodevano in maniera del tutto inconsapevole facendomi provare quello che provano milioni di maschi in tutto il mondo durante la giornata: trovarsi in mezzo a qualcosa che percepiscono come grande e importante ma di cui, in realtà, non hanno capito niente. [...] Va bene, avremmo avuto un bambino [...]. Qualcosa continuava a sfuggirmi. Avrebbe influito con il calcetto del giovedì?
Mentre la moglie si fa carico di oneri e onori della gestazione, il futuro padre trova finalmente un campo applicativo per una teoria a lungo elaborata, la famosa teoria dell’opossum:
viviamo in un mondo caotico e lo stato delle cose è tendere verso l’entropia. L’unica arma a nostra disposizione è la tecnica dell’opossum: quando le cose cambiano in maniera a te incomprensibile, non tentare di capirle. Fingiti morto finché non passano.
Il problema (che diventa presto straordinaria risorsa) è che diventare genitori è un cambiamento definitivo. Nel giro di sei anni arrivano le due piccole, perfettamente solidali l’una con l’altra, seppur irriducibili nella loro specificità caratteriale: Chiara è la sorella maggiore, alta, protettiva, intelligente, "la parte saggia della coppia, quella razionale, accomodante". Irene è una scheggia impazzita, una testa riccia piena di entusiasmo ed empatia, "il momento ironico e irrazionale del libro", come si definisce lei stessa nelle ultime pagine. E il loro Papo è comicamente inadeguato, manca di spirito pratico, è continuamente costretto a reinventarsi e a fare i conti con le proprie imperfezioni:
Papo ricorda perfettamente una marea di cose totalmente inutile, ma è una di quelle persone che se la mandi a comprare il latte, torna con patatine, un cocomero, roba piccante, un monopattino e succo di frutta. [...] Ma senza latte.
Del resto le figlie sono intensamente amate, ma non idolatrate. Non si sostituiscono all'individualità del genitore, che mantiene passioni (prima fra tutte quella per il calcio) e vizi autonomi (con l’eccezione del fumo). È in considerazione di questi tratti ineliminabili (per fortuna) che i fatti vengono rielaborati e narrati con gusto vero. Il compleanno di Chiara, ad esempio, cade l'11 luglio:
una data capace di fare alzare in piedi un numero di persone maggiore del 2 giugno, per fortuna non del 25 aprile, quello rimane saldo al comando nell'ipotetica classifica dei giorni più importanti della nostra nazione. So benissimo che dovrei considerarlo solo il giorno in cui la mia primogenita ha fatto il primo sorriso, ma è impossibile non andare con la mente a un altro 11 luglio, importante per un numero maggiore di persone.
...ecco allora che la data di nascita della bambina diventa occasione per ricordare i fasti dei mondiali del 1982, quando "l'assurda spregiudicatezza con cui l'Italia inizia a giocare, la meravigliosa tradizione brasiliana di mettere in porta un tifoso qualsiasi scelto a estrazione prima della partita, congiunzioni astrali favorevoli, l'allineamento dei pianeti, l'era dell'Acquario, non lo so cosa, fatto sta che l'Italia vince".
Non si tratta, attenzione, di un romanzo perfetto. È chiassoso, disordinato, ricchissimo di riferimenti che non sempre è facile cogliere. Le due bambine non parlano come bambine: i loro discorsi fin da subito sono troppo precisi e raziocinanti, usano un lessico troppo ricercato. Ma ci piacciono comunque, perché sono serene, educate, mature. Come ognuno di noi vorrebbe che fossero i propri figli, motivo per cui si finisce per sorridere (spesso per ridere apertamente), e invidiare un pochino la strampalata famiglia Longarini. Le stesse (minime) fragilità del testo, le sovrabbondanze, gli abbandoni lirici sono parte del piacere, perché le riconosciamo allegramente come debolezze anche nostre e l’autore ci risulta subito più vicino e familiare.
Interessante è la sua capacità di infrangere le barriere temporali: lui riesce a guardare alle sue figlie come le creature trecciute-con-gli-occhi-grandi-e-il-buco-tra-i-denti-davanti che sono nel momento in cui gli pongono complicatissime domande esistenziali ("Com'è innamorarsi?" "Te lo spiega tua madre.") e come le persone che diventeranno ("Riecco il tappeto sonoro. Riecco la ragazza che diventerà tra poco. La donna che sta faticosamente e inconsapevolmente costruendo dentro di sé"). È per la consapevolezza di questa donna a venire che i genitori si sforzano di non negare mai alle figlie la verità, anche quando scomoda o spigolosa. Solo di rado quel che è troppo è troppo. È il caso del discorso. Sì, QUEL discorso, IL discorso. Che si trova in un capitolo appositamente intitolato "Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso". Il capitolo recita:
Chiara. Irene.
Faccio mie le immortali parole di uno dei più grandi oratori del secolo scorso:
NO! (Marcel Marceau)
Fine del capitolo.
Lettura agile e veloce, fonte di divertimento assicurato, questa “educazione sentimentale” di un padre è un’opera riuscita, un libro da regalare ai nostri genitori per la festa del papà, o a noi stesse, per ricordarci delle figlie che siamo e magari fare un salto a spulciare ancora una volta quelle vecchie (imbarazzanti) fotografie.
Carolina Pernigo
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