Una vita come tante
di Hanya Yanagihara
Sellerio Editore, 2016
pp. 1094
€ 22 (cartaceo)
€ 14,99 (ebook)
[...] il weekend successivo, quando andarono tutti insieme da Pho Viet Huong, portò con sé una delle vecchie macchine di Ali e fotografò tutti e tre i suoi amici mentre mangiavano, e più tardi, passeggiavano per la strada innevata. Andavano particolarmente piano per deferenza verso Jude, visto che i marciapiedi erano scivolosi. Li vide allineati nell'obiettivo della fotocamera: Malcom e Willem a sinistra e a destra di Jude [...] Scattò la foto. "Che cosa stai facendo, JB?" gli chiese Jude, nello stesso istante in cui Malcom gli intimava: "Piantala, JB".
A little life, titolo originale di questo monumentale romanzo di Hanya Yanagihara, suona come un'antitesi di significati. 1094 pagine per raccontare una vita come tante, anzi quattro piccole vite come potrebbero essercene innumerevoli negli angoli di New York, d'America, del mondo. Dopo meno di cento pagine il titolo ti sembra quasi un inganno: sei preparato perché hai letto i pareri entusiastici dei critici di tutto il mondo, c'è chi te l'ha consigliato definendolo "un libro potentissimo", ma non ti aspetti di finire sovrastato fino a questo punto da una serie di vite comuni.
Nel romanzo non c'è niente di piccolo, vi si ritrova dentro tutta la grandezza sconfinata delle cose ordinarie, dei riti di passaggio, dei dolori più acuti e dei pianti di gioia che scandiscono le esistenze normali.
Seguiamo le storie di quattro amici e li vediamo crescere dai tempi del college fino alla maturità: Jude studia legge, è timido e geniale e nasconde sotto le sue camicie le cicatrici di una storia indicibile; JB è un artista brillante cresciuto da una famiglia di donne, va alla ricerca della sua identità coprendo ansie e dolori con una maschera da egoista; Willem è il più bello del gruppo, insicuro nonostante quell'aura che fa innamorare tutti di lui, sogna di diventare un attore; Malcom studia architettura, proviene da una famiglia benestante, è abituato a schivare chi gli fa domande scomode sui suoi reali desideri. Ognuno è imperfetto per un suo motivo e anche in gruppo non perdono mai le loro individualità sofferenti, dimenticandosene solo per pochi istanti. Quando succede è una macchina fotografica o un ritratto a immortalare il momento di pura illuminazione. Tutt'intorno si muovono pochi altri personaggi chiave che giocano un ruolo importante in queste quattro vite, in particolare in quelle di Jude e Willem.
Una vita come tante ha una sua bellezza caotica che si ritrova già nella costruzione dei punti di vista: la terza persona di un narratore eccezionale si alterna alla parola e ai ricordi di Harold, il personaggio per me dalla grandezza più commovente, spettatore amorevole e interprete della vita di Jude che è il fulcro del romanzo.
È con Jude, infatti, che si arriva all'epicentro del dolore, quel luogo oscuro in cui alcuni fortunati si addentrano una sola volta in una vita e dove lui invece vive rinchiuso ogni giorno.
Come già nel suo esordio del 2013, The People in the Trees, Hanya Yanagihara racconta una storia di abusi e violenze che disarma anche il lettore più anestetizzato. Attraverso i tagli che Jude infligge a se stesso per dimenticare chi è stato e chi è diventato, ci si fa largo nella pena del suo passato e si impara a nominare la sofferenza, sempre con meno paura, sempre con meno vergogna.
È riduttivo scrivere che Una vita come tante parla di amore e di amicizia: i due sentimenti cardine delle nostre esistenze sono sottoposti a un'analisi così attenta da sembrare quasi un esame diagnostico, con l'obiettivo di metterne a fuoco ogni sfumatura e di accettarne le più intime contraddizioni; il risultato a volte disturba.
Così l'amore può essere anche egocentrismo e autoaffermazione, talvolta è violento, noncurante e infido. L'amicizia è anche vergogna, tradimento, paura di raccontarsi, una maschera per non dire al mondo chi siamo. Entrambi i sentimenti, poi, sono cura, salvezza, pietas, tentativo di redenzione.
Foto di Claudia Consoli |
È stato definito un inno all'amore omosessuale, dal mio punto di vista è molto di più: mostra l'amore nella sua dimensione più universale e transgenerazionale, come il tentativo disperato di trovare pace in questa vita, affidandoci all'idea di guarire ed essere guariti.
Il significato ultimo delle storie di Jude e dei suoi amici è in fondo l'accettazione dell'imperfezione dell'amore come prova delle prove: anche quando non riesce a essere taumaturgico e non ci fa uscire dal tunnel del dolore e dell'autodistruzione, viene voglia di abbandonarvisi ancora, di sbagliare un'altra volta, cullati da una malinconia dolce. È l'unica risorsa che abbiamo in grado di preservarci umani.
In questo viaggio così straziante nelle emozioni e nel dolore, il lettore dimentica quasi il tempo, che scorre continuo e fa grandi salti in avanti, agente silenzioso del cambiamento. I personaggi si muovono in una New York a volte innevata, a volte ricoperta di foglie d'oro autunnali, attraversando anni che non riusciamo a identificare, senza mai precise date sul calendario. È così che nella parabola di quattro vite come tante, il tempo perde importanza: la narrazione non è scandita dal ticchettio esteriore dei capodanni o dei giorni del Ringraziamento, ma da quello interiore del viaggio dentro se stessi che a volte è un incubo, altri è pura meraviglia.
Non mancano i momenti di ridondanza e le ripetizioni nella prosa di Yanagihara che spesso ha il respiro affannoso del parlato o quello ondivago del flusso di pensieri. A tre quarti del romanzo il lettore può avere l'impressione che tutto si ripeta, che il ciclo del dolore ricominci, senza fine. Può avvertire stanchezza perché è un libro di una bellezza imperfetta, anche nello stile.
Preparatevi più di tutto a sentire molto: serviranno attimi di pausa e ci saranno pagine lette più velocemente per superare la crudeltà e arrivare quanto prima in zona franca.
Preparatevi più di tutto a sentire molto: serviranno attimi di pausa e ci saranno pagine lette più velocemente per superare la crudeltà e arrivare quanto prima in zona franca.
Quando sono arrivata a pagina 1091 ho chiuso il libro di scatto. È una beffa che mille pagine non bastino per esaurire il senso di questa storia. Ora capisco di quanto spazio abbiamo bisogno per raccontare una piccola vita qualunque.
Claudia Consoli