Nel paese della persuasione,
di George Saunders
Feltrinelli, 2018
Traduzione di Cristiana Mennella
(Prima edizione italiana 2010)
pp. 208
€ 9,00 (cartaceo)
€ 6,99 (ebook)
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L’America, per me, dovrebbe essere un vocio continuo, un sacco di voci che strillano, quasi sempre cose sbagliate, anche assurde a volte, ma per favore, non una voce monotona che t’incanta parlando in tono ragionevole.
Anno Domini 2006. Nel paese della persuasione dodici short stories raccontano di una società preda del consumismo e della corsa all’efficienza, in cui un impiegato risponde alle lamentele di un'acquirente insoddisfatta del risultato sul figlio di otto mesi del Parlo anch’io®, dispositivo per annullare la lallazione dei neonati sostituendola con un eloquio forbito e piacevole, dicendole che «con il PAI2100, suo figlio è tale e quale a suo figlio»; o in cui dei ragazzi allevati in centri per l’analisi del mercato e inconsapevoli del Fuori temono di affrontarlo per non essere privati delle griffe di cui dispongono in qualità di sponsor viventi e dello status di cui godono nella loro condizione:
Quando poi ci tolgono tutto? Di che parleremo? Non voglio solo esprimere il mio amore a grugniti!
A una prima occhiata questi due esordi culturali, accumunati dal ritratto di un mondo alternativo a quello contemporaneo eppure a questo vicinissimo, con gli eccessi a cui assistiamo ogni giorno esasperati ma non per questo impossibili, sembrano appartenere allo stesso genere. Invece nel secondo caso parliamo di una sere tv antologica, prodotta nel Regno Unito e tra le più famose e controverse opere televisive degli ultimi anni. Nel primo caso siamo davanti a una delle raccolte di racconti di George Saunders, maestro della storia breve che siamo fortunati di avere (e a dirlo è Franzen) che per l’ennesima volta affida alla penna il suo giudizio sulla società americana, in questa occasione analizzata al vetriolo nei suoi eccessi capitalistici e consumistici. E se si dà un’occhiata alle date, ancora di più si è spinti a dare ragione al caro e vecchio Joanathan: ben cinque anni prima della serie tv (ma molti di più se si tiene conto il periodo di scrittura delle storie, 1999-2005) Saunders dimostra la consueta e lucida lungimiranza con cui profetizza le sorti del genere umano, da un lato, senza risparmiarsi in giudizi e moralismi, dall’altro.
Possibile che tanta sofferenza servisse a vendere?Proprio il moralismo nei confronti dei protagonisti di questa società alternativa, che se accennato in modo lieve può accompagnare in una distaccata analisi della nostra, di realtà, diventa tuttavia la nota stonata de Nel paese della persuasione. I primi racconti, come Natale o Il fermaglio rosso, fanno quasi tirare un sospiro di sollievo ricordando i momenti passati durante la lettura del difficile Dieci dicembre. Dalla terza sezione in poi, invece, si assiste a un esclusivo rimescolamento delle carte senza una completa evoluzione dei temi. Si torna e ritorna sul potere della pubblicità sulle coscienze, sull’effetto pervasivo dei reality show o sugli eccessi delle ricerche scientifiche, ma non si riesce veramente a cogliere un’evoluzione o approfondimento del concetto di fondo. Si rimane semplicemente abbacinati dalla diversità di registri di cui Saunders si serve nella scrittura, virando dall’angusto al sarcastico, dall’orrido al comico vero e proprio, in un crescendo caleidoscopico che disorienta pur rimanendo sempre coerente con il tema del racconto.
Saunders costruisce a suo personale uso e consumo un vero e proprio teatro dell’assurdo che non punta a coinvolgere i critici o gli attenti osservatori della società; nemmeno la rabbia e il dissenso che trasudano da ogni pagina riescono a distogliermi dall’opinione che, esclusi i primi brillanti racconti, questa raccolta sia deludente, un'opera in cui l’autore emerge come un goffo epigono di se stesso, facendosi il verso in maniera quasi svogliata. Saunders è un apocalittico, non si limita a descrivere i fenomeni esagerandone la portata e proprio l’aggiunta costante del suo giudizio di valore, che surclassa l’indignazione del lettore, dà l’impressione di voler persuadere a tutti i costi. Come criticare, allora, il paese della persuasione?
Federica Privitera
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