di Annalena Benini
Rizzoli, 2018
pp. 247
€ 20 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Un nuovo libro ha conquistato un posto d'onore nella mia libreria: è La scrittura o la vita, in cui Annalena Benini racconta il rapporto ambivalente con la scrittura di dieci grandi scrittori italiani, rapporto ora più difficile ora più pacificato, ma sempre subbuglio interiore e capovolgimento delle abitudini quotidiane. Davanti al suo registratore passano Sandro Veronesi, Valeria Parrella, Domenico Starnone, Francesco Piccolo, Patrizia Cavalli, Edoardo Albinati, Melania Mazzucco, Alessandro Piperno e Walter Siti, insieme a un buon numero di altri autori che sono stati per loro modello, momento di confronto o addirittura di contrasto. Dieci grandi nomi, senza dubbio diversissimi per età, generi di scrittura, ma soprattutto per le risposte che hanno dato alla fantomatica domanda: "Cosa rappresenta per te la scrittura?", che, per quanto usurata, continua a essere la più prolifica, perché apre a molteplici interpretazioni, tra le più interessanti per un lettore e per un aspirante scrittore. E poi, si sa, ci sono domande che hanno un ruolo catartico, spingono l'intervistato ad aprire cassetti privatissimi o a schermarsi più o meno stizzito: in ogni caso, è un'occasione perché il carattere e le idee dello scrittore trovino forma e spazio. Trampolino verso la libertà o, perlomeno, verso il racconto-spiegazione della propria idea di letteratura, l'intervista è sempre gestita con estrema generosità e (doverosa ma non scontata) ottima conoscenza della produzione di ogni autore.
E così, assecondando ma in ogni caso confrontandosi con l'autore, Annalena Benini vede confermata l'idea che sia la vita reale a nutrire la scrittura, ma a questo si accompagni in ogni caso una uscita dalla vita reale: «è questo a cui porta la vocazione, a distaccarsi da tutto» (p. 18). Per necessità creativa, per vezzo, per mera propensione: i dieci scrittori scelgono e confermano la propria inclinazione a scrivere. Certo, questo è anche un mestiere (la questione economica non è mai ipocritamente negata), ma soprattutto è qualcosa di costitutivo, di cui non si può fare a meno (Piperno: «È quello a cui penso costantemente, ed è bello svegliarsi la mattina con questo pensiero. [...] Uno passa anni insieme a un libro, in bilico tra euforie dissennate e depressione», p. 160).
Può avere una funzione catartica e curativa (Veronesi: «Per movimentare il dolore che ho, perché scrivere è una cosa vitale», p. 28), o al contrario essere fonte d'ansia (Albinati: «la vicenda dello Strega l'ho vissuta in uno stato di alterazione dovuto agli psicofarmaci che mi sono serviti a condurre in porto l'opera, a correggerla e a farla uscire», p. 131).
Per alcuni scrittori è inevitabile misurarsi con il passato (Mari: «scrivere per essere approvato da uno dei grandi del passato piuttosto che dal lettore di oggi che magari un minuto dopo aver letto me, elogia il libro di un autore che a me fa orrore», p. 49) e con i classici (Piperno: «ero pieno di dubbi ed ero in costante competizione con i classici e con i contemporanei, adesso invece scrivere è semplicemente un'esigenza, come mangiare e bere», pp. 159-160), ma c'è chi, viceversa, preferisce calarsi risolutamente nel presente (Siti: «Io penso veramente che la storia sia un possesso borghese», p. 180; «È come se io sentissi la dimensione della Storia come un nemico, come qualcosa di ostile che non mi ha mai favorito», p. 181).
Per Piccolo scrivere è fortemente legato al suo senso del dovere, che lo spinge ad alzarsi ogni giorno molto presto per lavorare («è un gioco svegliarmi la mattina alle cinque e sapere di avere davanti questa battaglia», p. 97; «gli unici libri che voglio scrivere sono quelli per cui la mattina mi sveglio e mi sento euforico di mettermi a lavorare», p. 106); al contrario, Cavalli, le cui poesie «sono tutte respiri», che partono da una base fisiologica e mai razionale o astratta, guarda con invidia gli scrittori metodici:
Quale posto occupano i propri personaggi? Tanto, a prescindere che i personaggi tradiscano una palese, celata o inesistente filiazione dal proprio io, come suggerisce Mazzucco:
Chiude il libro un tuffo veloce in trenta libri - classici e contemporanei - di cui si è letto durante le interviste, per saggiare almeno di fretta ma soprattutto omaggiare le opere in questione. Anche quelle verranno aggiunte in wishlist insieme alle opere degli scrittori intervistati: e la lista dei libri da leggere crescerà, come crescerà la voglia di rileggere alcuni stralci di La scrittura o la vita, e per i lettori più suggestionabili di misurarsi con il dolceamaro della scrittura.
GMGhioni
E così, assecondando ma in ogni caso confrontandosi con l'autore, Annalena Benini vede confermata l'idea che sia la vita reale a nutrire la scrittura, ma a questo si accompagni in ogni caso una uscita dalla vita reale: «è questo a cui porta la vocazione, a distaccarsi da tutto» (p. 18). Per necessità creativa, per vezzo, per mera propensione: i dieci scrittori scelgono e confermano la propria inclinazione a scrivere. Certo, questo è anche un mestiere (la questione economica non è mai ipocritamente negata), ma soprattutto è qualcosa di costitutivo, di cui non si può fare a meno (Piperno: «È quello a cui penso costantemente, ed è bello svegliarsi la mattina con questo pensiero. [...] Uno passa anni insieme a un libro, in bilico tra euforie dissennate e depressione», p. 160).
Può avere una funzione catartica e curativa (Veronesi: «Per movimentare il dolore che ho, perché scrivere è una cosa vitale», p. 28), o al contrario essere fonte d'ansia (Albinati: «la vicenda dello Strega l'ho vissuta in uno stato di alterazione dovuto agli psicofarmaci che mi sono serviti a condurre in porto l'opera, a correggerla e a farla uscire», p. 131).
Per alcuni scrittori è inevitabile misurarsi con il passato (Mari: «scrivere per essere approvato da uno dei grandi del passato piuttosto che dal lettore di oggi che magari un minuto dopo aver letto me, elogia il libro di un autore che a me fa orrore», p. 49) e con i classici (Piperno: «ero pieno di dubbi ed ero in costante competizione con i classici e con i contemporanei, adesso invece scrivere è semplicemente un'esigenza, come mangiare e bere», pp. 159-160), ma c'è chi, viceversa, preferisce calarsi risolutamente nel presente (Siti: «Io penso veramente che la storia sia un possesso borghese», p. 180; «È come se io sentissi la dimensione della Storia come un nemico, come qualcosa di ostile che non mi ha mai favorito», p. 181).
Per Piccolo scrivere è fortemente legato al suo senso del dovere, che lo spinge ad alzarsi ogni giorno molto presto per lavorare («è un gioco svegliarmi la mattina alle cinque e sapere di avere davanti questa battaglia», p. 97; «gli unici libri che voglio scrivere sono quelli per cui la mattina mi sveglio e mi sento euforico di mettermi a lavorare», p. 106); al contrario, Cavalli, le cui poesie «sono tutte respiri», che partono da una base fisiologica e mai razionale o astratta, guarda con invidia gli scrittori metodici:
Posso dire che ho lavorato, ma senza mai accorgermene, ho pubblicato poco, ho i cassetti pieni di fogli orfani. [...] Quando leggo di scrittori che tutti i giorni si mettono al tavolo per ore, qualunque cosa succeda, proprio li invidio: io sono stata capace di stare mesi senza scrivere una parola, o almeno senza accorgermi di farlo. (p. 115)Allo stesso modo, Parrella scrive dopo sei mesi di riflessione e deve «arrivare a un livello di esasperazione» (p. 62) prima di dedicarsi alla stesura; poi il romanzo diventa totalizzante:
Io quando scrivo mi costruisco delle mura mentali in cui possono entrare solo le urla di mio figlio, ma solo oltre una certa soglia, tutto il resto della mia vita è per me un rumore di fondo. Per costruire un mondo dentro tu devi eliminare il mondo fuori, non c'è alternativa. (p. 71)In generale, davanti al successo i dieci scrittori fanno un passo indietro e denunciano un certo senso di inadeguatezza: per Starnone, ad esempio, un libro d'esordio subito bestseller come Ex cattedra ha rischiato di appiattire l'immagine della sua scrittura e di relegarlo a libri ironici sulla scuola. Al contrario, la scrittura si fa interessante quando «tendi a darti un limite - il limite della cosa che finalmente pare riuscita - e poi a forzarlo, se sposti continuamente i confini della tua esperienza di scrittore» (p. 82). Semmai, se vogliamo trovare l'ossessione nei suoi libri, invece, è il raccontare di personaggi sulla soglia del fallimento, «intelligenze incompiute» (p. 81) destinate a restare tali:
Io ho raccontato persone di talento che non si realizzano, o meglio che si realizzano poco, si fermano a mezza strada. Non ho mai raccontato persone senza talento, ma persone di talento che sono costrette a prendere atto, nel mondo com'è oggi, della loro medietà. (p. 79)Paiono concordi, i dieci intervistati, nel sottolineare come Piccolo la necessità di raccontare «le cose vere e non le cose giuste» (p. 103), senza la pretesa che la letteratura «debba diminuire il dolore del mondo» (Siti, p. 175), ma ognuno secondo i propri parametri, chiaramente. E così anche il momento di scoperta della scrittura può essere tardo come per Siti o estremamente precoce, come è accaduto a Cavalli. In ogni caso, da lì a definirsi scrittori sono passati anni in cui ognuno si è nascosto dietro un'altra professione, per pudore, vergogna, timore di autodefinirsi: non è raro che si cerchi di sfuggire alla propria vocazione, affogandola di altro (Mazzucco), o rimandando la scrittura a un momento di maggiore stabilità professionale (Siti). Ma l'ispirazione, è lì, cova più o meno segretamente, pronta a prendere a morsi il suo scrittore, esponendolo a momenti di «fragilità, dolore, anche devastazione» (p. 146).
Quale posto occupano i propri personaggi? Tanto, a prescindere che i personaggi tradiscano una palese, celata o inesistente filiazione dal proprio io, come suggerisce Mazzucco:
«Questo è il mio metodo di lavoro: convivere con il mio personaggio, con il mondo che intendo rappresentare e che diventa un pezzo della mia vita. Questo voglio: far rivivere» (p. 151).E la vita, che siano tessere autobiografiche o eventi a cui si è direttamente o indirettamente assistito, entra con prepotenza nella scrittura (Piperno: «più passa il tempo più sei un uomo disperato e uno scrittore felice», p. 166). Anche se, su tutto, domina la centralità della propria opera, che per Siti è più importante della propria vita: «Tra me e il libro io scelgo il libro, perché è lui che sarà vivo quando io non ci sarò più» (p. 201).
Chiude il libro un tuffo veloce in trenta libri - classici e contemporanei - di cui si è letto durante le interviste, per saggiare almeno di fretta ma soprattutto omaggiare le opere in questione. Anche quelle verranno aggiunte in wishlist insieme alle opere degli scrittori intervistati: e la lista dei libri da leggere crescerà, come crescerà la voglia di rileggere alcuni stralci di La scrittura o la vita, e per i lettori più suggestionabili di misurarsi con il dolceamaro della scrittura.
GMGhioni