Gainsbourg.
Niente è già tanto
di Boris Battaglia
Prefazione di Alessio Lega
Illustrazioni di Claudio Calia, Angelo Calvisi, Lorena Canottiere, Paolo Castaldi, Chiara Panzeri, Lorenzo Sartori
Armillaria, 2018
pp. 213
€ 12,00
È vero, o almeno sembra esserlo in Italia, che chi dice Serge Gainsbourg dice soprattutto Je t’aime… moi non plus. L’eco scandalosa (e scandalistica) di questa celeberrima canzone d’amore – “la più bella”, scritta da lui per Brigitte Bardot ma portata al successo con Jane Birkin, e sulla quale continuano a venire ricamati aneddoti intriganti come tele di ragno – ha avuto l’effetto di alimentare la fama del suo autore e interprete e, nel contempo, di fagocitarla. A torto, ovviamente. Perché, per quanto profondo sia stato quel solco, il molto poco Beau Serge (per citare un film del connazionale Claude Chabrol) ne aveva già inciso numerosi altri, e così avrebbe continuato a fare fino all’avvento di quella morte che, dopo una vita di eccessi, lo colse nel 1991, a poco più di sessant’anni, come un estenuato fleur du mal. Oggi, in occasione di quello che sarebbe stato il suo novantesimo compleanno, Boris Battaglia gli dedica un lungo saggio critico, appena pubblicato da Armillaria, che fin dal titolo – Niente è già tanto – ne omaggia e ne riassume, con un’efficace citazione, la filosofia esistenziale e artistica.
Cultore della figura e della produzione di Gainsbourg, Boris Battaglia non cede tuttavia alla più ovvia delle tentazioni, ovvero al panegirico immediato e diretto del genio tanto ammirato della canzone francese. Al contrario, pur veicolando sempre tra le righe un messaggio di evidente elogio dell’artista, sceglie di seguire un andamento argomentativo/narrativo nel contempo spiraleggiante e sincopato, che per certi versi ricorda quello della puntina sul giradischi – sia quando questa si addentra autonoma tra le curve del vinile, sia quando saltella avanti-indietro tra le tracce guidata dall’indice dell’ascoltatore. L’apertura del volume, difatti, è affidata a due capitoletti preliminari (La macchina musica e Mica solo canzonette) in cui l’autore definisce la sua posizione sul senso “ultimo” della musica – specialmente quella cosiddetta “leggera”, “pop” –, non mancando di esprimere il suo sonoro disaccordo nei confronti di certe interpretazioni filosofiche (da Kant ad Adorno) tanto riduttive quanto fuorvianti. È solo dopo questa necessaria premessa, dalla quale già si intuisce il peso attribuito allo chansonnier in esame, che si entra nel vivo dei Cinque pacchetti al giorno, ovvero nella più ampia e articolata sezione del volume il cui titolo omaggia la quantità di sigarette fumate in media dal cantautore francese nelle occasioni di massima verve creativa. I “movimenti” a seguire, dal Primo all’Ultimo pacchetto, saranno una disamina – acronologica, amoralistica, ma sempre appassionata – della carriera di Serge Gainsbourg/Gainsbarre, al secolo Lucien Ginsburg, nato a Parigi nel 1928 da una coppia di esuli russi di religione ebraica.
Incorniciati e intervallati da sei disegni ad hoc – sono di Claudio Calia, Angelo Calvisi, Lorena Canottiere, Paolo Castaldi, Chiara Panzeri e Lorenzo Sartori, che firmano altrettante variazioni grafiche di quel pacchetto di Gitanes che quasi fa da correlativo oggettivo del fumatore Serge – i capitoli più prettamente gainsbourghiani ne consegnano un ritratto lontano dall’agiografia ma anche dalla biografia tout court (ché anzi, per questo genere di contenuti è lo stesso Battaglia a rimandare altrove). Perché in Niente è già tanto si parla, sostanzialmente e intenzionalmente, di musica, e ciò che più preme a Boris Battaglia è sottolineare la genialità e il trasformismo di un autore che, pur nella consapevolezza “dell’assoluta vanità del tutto”, e dunque anche dell’intrattenimento musicale, è stato in grado di imporsi all’attenzione del pubblico adottando una tecnica tanto geniale quanto sleale che potremmo definire del “cavallo di Troia” o, fuor di ogni epica (come forse avrebbe preferito Gainsbourg stesso), del “gelato al veleno”: manomettere la canzone (e la canzonetta) francese direttamente dal suo interno, in una sapiente e spietata altalena (o in un via-vai tra le sue reni, per tornare proprio alla famigerata Je t’aime… moi non plus) di necessità e di inutilità. Lo sintetizza bene, nella bella prefazione (L’influenza del nichilista. Gainsbourg: ispirazione, colleghi, allievi), anche Alessio Lega, che così lo descrive:
«aspirante pittore, poi musicista e autore, sabotatore per sangue, per indole e per cultura. A poco meno di trent’anni d’età, Gainsbourg è giunto nella canzone francese apposta per disseminarvi veleno, per prendere una delle più consolidate tradizioni culturali nazionali e sparigliarne le carte fino a tentare di renderla irriconoscibile è (…) Ha oggettivamente fatto del suo meglio (e del suo peggio) per distruggere la canzone moderna, all’epoca al suo apice espressivo e, sia detto per inciso, commerciale. Ha confuso le carte fra significato e significante, ha destrutturato ogni elemento rassicurante, ha inflitto ritmi e suoni alla moda – di ogni moda che passasse per radio, anche solo per caso – alla canzone poetica (chanson à texte direbbero i francesi, canzone d’autore diciamo noi), alla canzonetta di consumo ha conferito una consapevolezza demistificante e sabotatrice. In ogni caso, è il primo autore europeo riconosciuto come tale ad aver spostato il centro del suo lavoro dal significato (…) alla forma».
A sua volta, se il saggio di Boris Battaglia ha un pregio, questo è proprio quello di focalizzare l’attenzione del lettore sull’aspetto musicale, e di configurarsi, dunque, come un vero e proprio invito all’ascolto: per andare oltre la versione più trita e “orecchiata” di Gainsbourg, oltre la patina glamour data dalle sue relazioni con le donne più belle del suo tempo, ma anche oltre il corollario aneddotico (talvolta un vero ginepraio appuntito di cinismo, maleducazione, misoginia e via dicendo) alimentato dalla fiamma inestinta del "sesso, droga (alcol, più che altro) e rock’n’roll". Perché, se di scandalo si tratta, questo è sempre e in prima istanza uno scandalo musicale, che tutto piega (inevitabilmente, provocatoriamente, perversamente) al suo ritmo, al suo metro, al suo timbro: dall’inno nazionale all’incesto, dallo ye-ye al nazismo, passando per la grande illusione del sentimento eterno. Con stile brillante (fin dai titoli dei paragrafi) ma anche non poco disincantato e, talvolta, sprezzante, l’autore del volumetto ci invita in un certo senso a fare ciò che fece lui, appena diciottenne, dopo il primo incontro diretto con il cantautore, avvenuto nell’ascensore del Westminster Hotel di Nizza nel dicembre del 1985: un contatto talmente fatale che vale la pena riportarne il bel racconto per intero. Perché, per quanto si tratti del ricordo di un episodio di vita vissuta, esso può ben simboleggiare la reazione di chi ancora oggi, dal nulla, si ritrovi a confrontarsi con il carisma di Gainsbourg:
«entrato in quell’ascensore per scendere alla reception, mi trovai di fronte un tipo incredibile che nella mia visione provinciale di allora (non avevo mai incontrato una pop star e non sapevo che quel tipo lo fosse) non avrebbe mai potuto essere l’ospite di un albergo come quello. Capelli non propriamente puliti e raccolti in un codino, barba di tre giorni, maglione sformato e logoro che un tempo forse era stato bianco, jeans sdruciti, un paio di scarpette bianche. E una Gitane accesa in bocca. Ne rimasi in un certo modo affascinato e bofonchiato un saluto me ne rimasi in un angolo dell’ascensore a osservarlo. Mi sembrava il cattivo di un polar degli anni Sessanta. Arrivati al piano terra volli capire chi fosse. Lo seguii al bar dell’albergo e lì sentii il barman salutarlo come Monsieur Gainsbourg. Poi gli servì quello che credo fosse un Champagne Mule, un cocktail composto da vodka, champagne e lime. Non saranno state nemmeno le undici del mattino ed ebbi la sensazione che si trattasse di una specie di colazione. Appena fu possibile chiesi al barista chi fosse il personaggio al quale aveva servito da bere. Mi guardò stupito e mi disse: “È Gainsbourg, non lo conosci? Non conosci le sue canzoni? Qui in Francia è famosissimo. È quello che ha fatto Je t’aime… moi non plus. Ha un nuovo disco, lo sta portando in tour. È qui a Nizza per questo”».
Non resta, ça va sans dire, che avvalersi della ricca e puntuale disco-bibliografia posta in coda al volume. E a quel punto sarà del tutto che evidente che Je t’aime… moi non plus non sarà più abbastanza.
Cecilia Mariani
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