di Rocco Civitarese
Feltrinelli, 2018
pp. 282
€ 16 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Una generazione che si racconta attraverso i social network, tra immagini e parole, ma soprattutto immagini. È la generazione dei nuovi diciottenni, che invece Rocco Civitarese decide di raccontare offline, connettendosi ai loro sentimenti e alle emozioni, anche quelle più scomode e riposte nel cassetto dell'irraccontabile. D'altra parte, un autore può decidere legittimamente cosa raccontare, non solo il come e sarebbe un grave errore continuamente confondere autore e personaggi solo perché coetanei. Il gruppo di ragazzi che si muove per Pavia e si dibatte per affermare la propria individualità è un insieme di paure, desideri, pulsioni, frustrazioni. Ma soprattutto di morsi alla vita, senza curarsi che questi lascino il segno o meno sulla pelle dell'altro.
Il protagonista, Pietro Mazzoccone, abruzzese d'origine come Civitarese, scopre nelle primissime pagine di non aver passato il test di Medicina a Pavia. Ma cosa è successo? Perché ha studiato sempre meno? Per scoprirlo, la narrazione si sposta a un anno prima, per raccontare mesi di puro sconvolgimento: il suo amore (ricambiato, non ricambiato?) per Anna Pettirosso, l'amicizia fortissima eppure messa a repentaglio più volte con gli amici di sempre, la scoperta del sesso e dell'alcol, la messa in dubbio perenne di cosa veramente si desidera. Ogni capitoletto è affidato a un personaggio: dunque, non è solo Pietro a offrirci il suo punto di vista, ma la storia procede, si muove, a volte si contorce su sé stessa nelle parole di questo o quel personaggio e non mancano i suoi pensieri e il dialogo con il sesto senso, vocina che in corsivo instaura spesso un contraddittorio con il personaggio.
E il romanzo va veloce, come questa generazione che prova a far tacere gli scrupoli bruciando i tempi. Così gli amori vanno da zero a mille e poi si schiantano crudelmente a terra, con la leggerezza di un sms mandato per lasciare un ragazzo dopo tre anni; o il sesso diventa il brivido di un'iniziazione consumata a una festa, sotto i fumi dell'alcol, e una piccola vendetta porta una sorella a bucare il preservativo prima di lanciarlo all'altra. Ma sono degli insensibili, i diciottenni di Civitarese? No, tutt'altro, sono personaggi che sentono all'ennesima potenza, ma che non si fermano né sanno come farlo: d'altra parte, nel romanzo gli adulti sono praticamente assenti (qui e là appaiono come "rompicoglioni", secondo la classica visione adolescenziale) e i punti di riferimento vengono cercati rabdomanticamente nella banda di amici, ma basta una piccola scossa al quotidiano per minare tutto.
D'altra parte, se Civitarese racconta la sua generazione senza particolari premure (risuonano nella sua prosa letture di autori contemporanei americani), l'impressione prepotente è che questi personaggi siano grandi individualisti, che perseguano i loro obiettivi trattando l'altro come un oggetto, in grado di dare piacere o di far piangere. Ma chi si preoccupa davvero di che cosa l'altro prova? Chi va oltre sé stesso per provare a trasformare l'io e il tu in un noi più maturo? Nessuno. E la desolazione dell'"io-salvo-me-stesso" si palesa in una festa sulle rive del Ticino, nell'ultima parte del romanzo, che dà il via a una catena di potenziali tragedie, innescatesi a partire da scelte superficiali con conseguenze gravi e gravissime. Se anche voi in questi ultimi capitoli sentirete risuonare l'Ammaniti di Che la festa cominci, non sarete gli unici, e d'altra parte Civitarese ha citato l'autore romano tra i suoi modelli.
Quel che più mi incuriosisce è la reazione dei coetanei di Civitarese: cosa diranno leggendo Giaguari invisibili? Si rispecchieranno o proveranno lo stesso smarrimento di un lettore adulto? Chi lo sa. Intanto bisogna apprezzare la spinta narrativa brillante del giovane studente pavese, così come il suo sguardo disincantato e al tempo stesso sognante, chiudendo un occhio su qualche battuta di dialogo un po' ingenua e inverosimile e aspettare di vedere le prove future. La curiosità sa destarla, eccome.
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