Gli 80 di Camporammaglia
di Valerio Valentini
Editori Laterza (collana Storie di questo mondo), 2018
pp. 146
€ 15 (cartaceo)
€ 8,99 (e-book)
Quanto a Camporammaglia, la sua storia dice di una fissità quasi millenaria, a ottocento metri d'altezza tra le montagne degli Appennini abruzzesi, a cinque chilometri dal bar più vicino, a dieci dal primo supermercato, a diciassette dal centro dell'Aquila. La mesta devozione alla propria miseria come solo pane quotidiano, l'indifferenza al resto del mondo come inconsapevole forma di sopravvivenza: un vaccino inoculato per secoli nelle vene dei lattanti.
La prima impressione che ho avuto quando ho iniziato a leggere Gli 80 di Camporammaglia (Laterza, 2018) è stata che fosse un romanzo autobiografico. La mia sorpresa è stata, quindi, assai grande quando ho scoperto che in realtà Camporammaglia è un paesino immaginario inventato dal giovane giornalista Valerio Valentini, qui alla sua prima prova da scrittore.
Questo piccolo borgo che si trova (secondo la descrizione dell'autore) in Abruzzo, a 800 metri d'altezza, ove le distanze non si misurano in chilometri, ma in base al tempo impiegato per raggiungere il primo supermercato, il primo bar o L'Aquila, la città più importante, ove le feste sono scandite da sagre e alla sera ci si ritrova al Circolo per una partita a carte, racchiude una comunità minuscola, gli 80 del titolo, che oltre al dialetto, alle usanze ed alle tradizioni, condivide due o tre cognomi, sempre gli stessi da centinaia di anni, come l'autore spiega nel divertente Intermezzo.
E così la narrazione, alla quale non mancano note di piacevole ironia ed episodi tragicomici dei quali sono protagonisti gli abitanti stessi, procede in un'altra direzione: dal momento in cui il terremoto muta per sempre l'esistenza delle persone, anche lo stile cambia ritmo. Valentini sostituisce il tono scanzonato a uno più doloroso: racconta senza sconti l'uso strumentale che il Governo italiano fece della tragedia, ed emblematico di questa strumentalizzazione fu il trasferimento del G8 da Genova a L'Aquila.
I ritardi della burocrazia, la disperazione di coloro che hanno visto la propria casa distrutta e si sono ritrovati senza lavoro, ma anche lo sciacallaggio ed il tentativo di lucrare sui danni arrecati alle abitazioni, tutto questo si trova nella seconda parte de Gli 80 di Camporammaglia.
Io penso che questa storia corale piacerà a quanti vogliono assaporare il gusto di un luogo che non esiste eppure è dentro ognuno di noi, di un altrove quasi magico ove il dialetto si fonde con l'italiano e ne esce rinnovato, di una voce che risuona antica eppure moderna, di una musica che appartiene a tutti noi.
Ilaria Pocaforza
Vivere in un paese come Camporammaglia ti insegna ben presto a farti un vanto della tua alterità rispetto al resto del mondo civile. Non potendo nasconderla, ti sforzi allora di esibirla: anche quando l'essenza di quella alterità non è che miseria.Camporammaglia è una frazione come ne esistono un'infinità nel nostro Bel Paese, ove gli abitanti vivono come immersi in un mondo distante e perfetto, in un equilibrio fragile eppure perfetto che inevitabilmente si ritrova alterato quando, nel 2009, la terra trema ed il fiume della Storia rompe gli argini.
E così la narrazione, alla quale non mancano note di piacevole ironia ed episodi tragicomici dei quali sono protagonisti gli abitanti stessi, procede in un'altra direzione: dal momento in cui il terremoto muta per sempre l'esistenza delle persone, anche lo stile cambia ritmo. Valentini sostituisce il tono scanzonato a uno più doloroso: racconta senza sconti l'uso strumentale che il Governo italiano fece della tragedia, ed emblematico di questa strumentalizzazione fu il trasferimento del G8 da Genova a L'Aquila.
I ritardi della burocrazia, la disperazione di coloro che hanno visto la propria casa distrutta e si sono ritrovati senza lavoro, ma anche lo sciacallaggio ed il tentativo di lucrare sui danni arrecati alle abitazioni, tutto questo si trova nella seconda parte de Gli 80 di Camporammaglia.
Essere il baricentro dell'attenzione del mondo, sapere come propri i posti che tutti scoprono per la prima volta, produce uno strano senso di orgoglio, finché riesci a non pensare al fatto che poi per anni a te non sarà dato di cambiare canale.Donatella Di Pietrantonio ha scritto che questo è un romanzo che piacerebbe al poeta Franco Arminio, l'artista delle parole che ha dato voce ai borghi ed ai piccoli Paesi italiani, lontani dai capoluoghi ma dotati di una loro ben precisa e nascosta identità.
Io penso che questa storia corale piacerà a quanti vogliono assaporare il gusto di un luogo che non esiste eppure è dentro ognuno di noi, di un altrove quasi magico ove il dialetto si fonde con l'italiano e ne esce rinnovato, di una voce che risuona antica eppure moderna, di una musica che appartiene a tutti noi.
Ilaria Pocaforza