La bambina nel buio
di Antonella Boralevi
Baldini e Castoldi, 2018
pp. 594
€ 20,00 (cartaceo)
9,99€ (ebook)
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Dopo aver letto La bambina nel buio, l’ultimo romanzo della prolifica Antonella Boralevi, mi sono convinta ancor più fermamente di un’idea che mi ero fatta tante letture fa. A ogni lettore dovrebbe essere concesso il diritto di visitare gratuitamente, nel caso esistano, i luoghi caratteristici della storia su cui sta intrattenendosi. Non è un capriccio, né una necessità cronachistica. Semplicemente, usare i propri cinque sensi e non affidarsi esclusivamente all’immaginazione permette di comprendere meglio ciò che si sta leggendo, cogliendo sfumature altrimenti silenti e caricando di significati più pregnanti ogni singola parola. In un thriller, poi, come nel caso del romanzo edito da Baldini e Castoldi, il coinvolgimento sarebbe così aumentato di parecchi punti, trasformando la lettura in un’esperienza a trecentosessanta gradi. Poiché tale diritto non è stato ancora conferito, dobbiamo affidarci alla perizia degli scrittori per compiere questi viaggi necessari.
Per fortuna Antonella Boralevi riesce a perfettamente nel compito. Così all'inizio del romanzo veniamo immediatamente immersi nella campagna veneta in cui, una notte di agosto del 1985, tutto comincia. E lo fa con una festa, un classico della narrativa di tensione che già dalle pagine d’apertura lascia presagire l’indicibile, nello specifico al party per i primi venti anni di matrimonio di Paolo e Manuela Zanca, lui un uomo facoltoso e assuefatto alla ricchezza, lei una donna irresistibile e dal fascino magnetico di origini contadine «ma con i capelli bruni e un bel seno all’insù». Tra di loro si insinua la figura della piccola e candida Moreschina, l’adorabile figlia che calamita completamente l’attenzione del padre fino a quando mamma Manuela non le ordina di eclissarsi e di lasciare che tutta l’attenzione dei ricchi invitati, intenti a indossare le loro maschere di felicità quando ipocritamente combattono contro le loro false vite, sia tutta concentrata su di lei e il bacio appassionato al marito. Allo scoppiare dei fuochi d’artificio la festa è al suo culmine, ma il magone è già sceso su tutti. Se si godesse del diritto del viaggio letterario, poi, si dovrebbe poi visitare Venezia, la città uggiosa che accoglie la londinese Emma Thorpe trentadue anni dopo la notte della festa, in fuga da qualcosa che prova a lasciarsi alle spalle e che proverà a dimenticare tra le calle, i sottoporteghi, i ponti, i canali e i campi pieni di pozzanghere, incrociando la sua vita a quella del misterioso conte Briani Bonaccorso, discendente di due dogi e nel cui palazzo sul Canal Grande troverà ospitalità grazie a un contatto dei genitori. Infine, anche Catania meriterebbe una visita per completare il quadro dei personaggi: è la città che ha dato i natali al commissario di Polizia Alfio Mancuso, altro indiscusso protagonista di questo intreccio e la cui tempra e testardaggine possono essere comprese solo se si conosce l’incedere lento e flemmatico dei catanesi sotto il sole cocente di luglio.
Io che ho visitato da poco Venezia, ho passato alcune giornate nelle campagne venete e, pensate un po’, condivido i natali del commissario della storia, sento di aver goduto de La bambina nel buio fino all’ultimo segno di punteggiatura delle sue quasi seicento pagine. Il romanzo si configura chiaramente come un giallo e in questo andirivieni di personaggi (tutti parlano in prima persona alternandosi tra i capitoli), luoghi e tempi – anche se si spazia in più di trent’anni di storia passata l’azione contemporanea si concentra in otto intensi giorni - la Boralevi si destreggia con agilità tra continui cambi di rotta e repentini giri su stessi, senza mai confondere e riuscendo a far trattenere il fiato fino alle ultime battute, dopo un avvio incespicante e incerto, baroccheggiante in una prosa ripetitiva (chissà quale sia la giustificazione dietro l’ossessione per i seni di tutte le donne) e difficile da sostenere. Nel giro di pochi capitoli, invece, non si lascia spazio a incertezze e la storia procede fluida fino al colpo di scena finale che, ovviamente, non può mancare, sebbene non sia estremamente clamoroso. Nel frattempo la tragica cronaca da ricostruire lascia spazio ad ampie riflessioni sul senso di perdita, amore e sui conti da fare con se stessi quando la nebbia sembra avvilupparci. Letteralmente, come nelle giornate di novembre a Venezia, o metaforicamente, come nei momenti più bui della nostra vita.
Federica Privitera
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