Romanzo Selvaggio
di Macello
Compagnia Editoriale Aliberti, 2018
pp. 156
€ 17
Quando si legge un romanzo scritto da una crew, quindi scritto a quattro o più mani, ci si chiede sempre quanto dell'una o dell'altra personalità vi sia, chi tra le diverse persone che hanno compito l'opera abbia più (o meno) influito nel risultato finale. Tuttavia questo non è il caso di Macello, la crew autrice di Romanzo Selvaggio edito da Aliberti compagnia editoriale. Macello infatti scrive come se fosse una persona sola, e lo fa con uno stile molto particolare. Compatto certo, ma davvero sui generis. Infatti protagonisti della storia sono quattro cavalieri del nulla, ALT, CANC, CTRL, ESC che vivono ai margini della società, in una Milano periferica sia come dato geografico sia come dato ideologico. Già, perché i quattro non fanno nient'altro che assumere sostanze stupefacenti passando da un rave-party nelle montagne bergamasche a intrattenere squallidi traffici con nordafricani in bar della circonvallazione esterna gestita dai cinesi. Una storia profondamente metropolitana e a tinte forti che però non stupisce il lettore, ormai smaliziato a questo genere di ambientazioni. Eppure c'è una luce (parola non usata a caso) in questo libro, ed è rappresentata dal "rito dell'Annunciazione".
Grosso modo il romanzo si può dividere in due parti di diseguale lunghezza e bellezza: la prima parte, che copre quasi i due terzi del libro, è infatti una specie di nekyia direbbero gli antichi, di sprofondare negli abissi della depravazione e dello squallore sociale. I quattro protagonisti prima sono quattro ragazzi che, non avendo un lavoro (né una voglia di trovarlo) e facendo ampio uso di droghe e di alcol, sono alla mercé dei piccoli spacciatori rionali e sono soffocati dai debiti. Poi un giorno, l'improvvisa epifania (parola non usata a caso) di quello che a tutti gli effetti è un angelo moderno alla ricerca di una non meglio precisata Lei cambia le loro vite: l'angelo è il coinquilino che cercavano. Paga sempre, paga molto e non vuole garanzie. Da qui i quattro, dalla cronica mancanza di denaro passano a una abbondanza di "cash" che li porta a diventare essi stessi dei piccoli/grandi spacciatori.
Questa parte del libro, seppur scritta con uno stile che vuole essere urticante e abrasivo, fa, lo diciamo per onestà intellettuale, fatica a ingranare. Interessante è il rigoroso non utilizzo delle maiuscole per i nomi propri o di qualche piccola boutade letteraria (la presa in giro alla h di Paulo Coelho), ma del resto rimane poco impresso nella mente (e nel cuore) del lettore. Le situazioni scorrono senza soluzione di continuità, in un contesto metropolitano che, nonostante sia descritto senza lesinare sui particolari, talvolta ributtanti, non prende mai corpo; rimane invece semplice ed astratta evocazione di qualcosa che esiste, ma non sulle pagine del romanzo. Tuttavia la lingua caotica ma decisa di Macello tiene il lettore che, nell'ultima parte troverà una sorpresa. Un'altra epifania, solo che a questo giro però sarà gustosa.
Infatti e, occorre dirlo, talvolta capita anche nella prima parte, accade che vi siano una specie di focus/monologhi da parte e dell'angelo e di alcuni personaggi che si distinguono per uno stile magnifico: aulico, dolcemente ironico verso il linguaggio cristiano delle preghiere, questi piccoli passaggi scritti in corsivo si stagliano con rutilante bellezza sulle pagine di Romanzo selvaggio. Anche la storia, di pari passo con questi monologhi, prende quota, anche se in maniera caotica e casuale. Questo combinato disposto fa sì che il finale, non del tutto sorprendente, non possa che piacere al lettore che, anzi, si ritrova nella condizione di chi vorrebbe poter leggere ancora di Macello.
Da ricordare infine che, al netto degli inciampi, rimane molto interessante la descrizione di una Milano scevra dalla retorica della "città che sale", dei pena post-Expo: una città brutale e non inclusiva, dove chi ce l'ha fatta spesso ce l'ha fatta perché ha infranto una o più leggi. Nulla di nuovo sotto il sole, per carità, ma di certo non priva di arguzia.
Ecco perché Romanzo selvaggio, lungi dall'essere un racconto perfetto, trova la sua ragione d'essere proprio in questa sua incompletezza e incoerenza stilistica: proprio quando ci si abitua alla solita stantia nenia metropolitana, ecco che la vertigine del lirismo sveglia tutti e li fa innamorare. Anche se stanchi di ritorno al lavoro sulla 90, la bellezza è sempre a portata di mano.
Mattia Nesto
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