Passione e autorità nella letteratura occidentale
di Maria Serena Sapegno
Feltrinelli, 2018
pp. 256
€ 20 (cartaceo)
€ 19,99 (eBook)
"Un padre e una figlia eccoli lì: lui biondo, bello, sorridente, lei goffa, lentigginosa, spaventata. Lui elegante e trasandato, con le calze ciondolanti, la parrucca infilata di traverso, lei chiusa dentro un corsetto amaranto che mette in risalto la carnagione cerea". Con queste parole inizia La lunga vita di Marianna Ucrìa di Dacia Maraini, la storia di una figlia che non parla, legatissima al padre e con una madre disinteressata e abbandonata ai suoi languori che, fin dall’incipit, non c’è. E come Marianna Ucrìa sono tanti i personaggi femminili della tradizione letteraria le cui storie, di emancipazione o oppressione, si sviluppano in relazione al rapporto col padre. In un arduo lavoro li ha elencati e esaminati Maria Serena Sapegno, docente di Letteratura italiana e Studi di genere all’Università di Roma La Sapienza, nel suo ultimo libro, che è uscito a febbraio e si intitola Figlie del padre. Passione e autorità nella letteratura occidentale. Un titolo impegnativo che delimita subito due poli – le figlie e il padre, la passione e l’autorità – in un contesto enorme, la letteratura occidentale.
È uno studio sui personaggi, sulle rappresentazioni simboliche che hanno pervaso l’immaginario collettivo occidentale, da Eva e le altre figlie della Bibbia fino alle protagoniste di Rossana Campo e Melania Mazzucco. Una ricerca immensa dunque, anche perché oltre all’ampio sguardo temporale Sapegno analizza dei casi di studio – moltissimi, nonostante il volume non abbia chiaramente pretesa di esaustività – appartenenti a diverse tradizioni letterarie: da quella dell’antica Grecia alle letterature europee a quella americana. C’è perfino un esempio tratto dalla letteratura ungherese: la Iza del romanzo La ballata di Iza (1963) di Magda Szabó. E il corpus di testi preso in esame è altrettanto vario: poesia, teatro, memorie e – chiaramente – il romanzo, che a partire dal Settecento diviene lo spazio letterario per eccellenza della rappresentazione della famiglia.
Tancredi (Lello Arena) e Ghismunda (Kasia Smutniak) nel film dei fratelli Taviani Maraviglioso Boccaccio (2015) |
La riflessione di Sapegno muove dal Sessantotto e mette subito in luce un aspetto importante. E cioè che quella ribellione fu ai padri – “all’autoritarismo, al potere, alla gerarchia sociale e all’ingiustizia che regnavano in quello spazio pubblico che i nostri padri ci avevano consegnato”: erano loro i “fortunati rappresentanti del mondo esterno con cui misurarsi e spesso da sfidare”, non le madri. E ci sono qui due dati che potrebbero sembrare evidenti, ma a pensarci bene non lo sono. Il primo, è che il percorso di emancipazione delle donne è avvenuto nel confronto col padre – con l’autorità, con il mondo esterno – e nell’assenza della madre, quantomeno fino alla seconda metà del Novecento (e la letteratura rappresenta bene questo scarto: quante le eroine orfane di madre!). Il secondo è la consapevolezza di questa speciale filiazione, che – scrive Sapegno – non c’era nel momento in cui ci si è misurati con il Sessantotto e le sue conseguenze. “Noi non lo sapevamo”, così l’autrice intitola emblematicamente l’introduzione al libro:
Noi non lo sapevamo ma stavamo attraversando, con una nuova forza collettiva, alcuni degli snodi cruciali che sono da sempre al fondo della nostra cultura, e in particolare quella condizione di “figlie del padre” che costituisce uno dei perni dell’ordine simbolico che ci definisce.
Se nella modernità contemporanea, grazie a una nuova esperienza di sé, tante donne mettono a fuoco interrogativi che prima non erano stati neppure pensati, noi non siamo però fatti/e solo dall’oggi, ci portiamo dentro tanto passato.
E da qui, quindi, l’intenzione del volume: tracciare la storia delle rappresentazioni letterarie della relazione padre-figlia. Ma la parola “storia” restituisce un’idea di evoluzione che, come spiega l’autrice, tali rappresentazioni non hanno: Sapegno segue sì una cronologia rigorosa e ampissima, ma il percorso è accidentato, così come lo è anche processo di autodeterminazione che i personaggi femminili compiono confrontandosi con l’autorità paterna. Perché se è vero che la ribellione al potere della legge paterna è antica quanto l’archetipo di Antigone, è anche vero che nei secoli le donne hanno costruito la loro libertà non solo sovvertendo l’ordine del padre, ma anche e innanzitutto nel raffronto con lui. E così diversi temi attraversano orizzontalmente i tempi dei cambiamenti sociali e culturali, e si ripropongono a più riprese in letteratura. Primo fra tutti il tema dell’incesto, nel caso delle bibliche figlie di Lot, e anche in molti altri casi in cui l’incesto è sublimato, ma resta comunque segno di estrema declinazione dell’eccesso di potere da parte del padre, come nel caso della novella di Tancredi e Ghismunda del Decamerone di Boccaccio.
Pur non perdendo mai di vista la prospettiva da cui costruisce questa particolare mappa letteraria, cioè la prospettiva delle figlie nei confronti dei loro padri, Sapegno parla anche di altro. Parla di paternità, chiaramente, l’altro capo del rapporto di filiazione indagato. Tra i tanti esempi letterari di paternità presenti nel libro almeno due colpiscono in quanto eccezioni illuminate: il caso straordinario, nel Settecento, di Pietro Verri e della sua cura verso la figlia Teresa, che riporta nei suoi scritti autobiografici, e quello a noi più recente di Gianni Rodari e di una sua poesia dedicata alla figlia bambina in cui il poeta tiene già in conto i necessari “no che mi dovrai dire / per essere giusta con te stessa”. Il libro è quindi anche uno studio sulle rappresentazioni letterarie dell’autorità e della sua crisi, a cui fa eco la crisi della famiglia, che erompe nell’Ottocento, secolo a cui sono dedicati tre capitoli.
Quello di Sapegno è un contributo di critica letteraria importante. Un volume che da un lato esamina con rigore l'apparato critico dentro cui si muove e da cui potersi muovere, utile quindi agli studiosi; ma dall’altro è anche una lettura agile, un “saggio scritto come un romanzo” afferma Cristina Comencini nella postfazione, e per questo appassionante anche per un pubblico più vasto.
Serena Alessi
@serealessi