di Chiara Mercuri
Laterza, 2018
pp. 216
€ 11,00
Alla fine dell'Ottocento il pastore calvinista Paul Sabatier si mette alla ricerca di un manoscritto perduto, in grado di rivelare la verità sulla figura storica di Francesco d'Assisi, una verità testimoniata dai compagni a lui più vicini, "quelli che furono con lui", e troppo a lungo tacitata. Attraverso uno studio dalla perfetta struttura circolare, che parte da questa ricerca e con questa ricerca si conclude, Chiara Mercuri sostiene con determinazione una tesi forte: che il Francesco che noi conosciamo, quello del catechismo e dell'aneddotica popolare, non rende neanche vagamente conto della complessità del personaggio reale. E che questo abbia una causa precisa, da identificarsi in Bonaventura da Bagnoregio, che inventò la storia di "un altro" Francesco, "imponendo [...] un'immagine del fondatore che rispecchiasse in pieno la sua visione dell'Ordine e dell'impronta che intendeva conferirgli" (p. 175).
Ciò che viene biasimato dall'autrice non è tanto allora la differente direzione presa dal movimento dopo la morte di Francesco, quanto piuttosto il tentativo dei "frati dottori", di cui Bonaventura rappresenta il massimo esponente, di negare questa trasformazione, pretendendo di porla in un'ottica di continuità (e non di rottura) con quanto chiaramente e a più riprese ribadito dalla Regola, a costo di dover – per sostenere tale pretesa – riscrivere, e letteralmente, la biografia di Francesco. Ecco quindi che "assai più dannosa della funesta decisione di far sparire la testimonianza dei suoi compagni fu quella [...] d'imporne una nuova; il danno non risiedette, infatti, solo nel Francesco negato, ma in quello affermato" (p. XI).
Ma chi era davvero Francesco, e per quale motivo la sua verità era così scomoda per i suoi successori? Chiara Mercuri ne ricostruisce vita e vicissitudini a partire dalla lotta senza esclusione di colpi che si scatenò, dopo la sua morte, per il controllo prima del suo corpo, poi della sua memoria. Lo fa con uno stile enfatico, a tratti ridondante, che inizialmente disturba, poi progressivamente coinvolge. Si percepisce tra le righe una cosa spesso scomoda da citare in una recensione e difficilmente presente in maniera esplicita in un saggio storico: la passione della studiosa per l'argomento trattato. Per la Mercuri, Francesco è davvero "un santo, un giusto, un uomo che ha sovvertito le logiche che reggono il mondo, capovolgendone le strategie" (p. 12). Lei ce ne racconta la storia senza esitare a prendere posizioni, a formulare giudizi interpretativi, con un piglio narrativo e a tratti poetico che rende fluida e piacevole la lettura. La continua e riuscita focalizzazione interna ci affeziona a Francesco e ai suoi fraticelli, ma ci obbliga al contempo a spiazzare continuamente la nostra prospettiva, assumendo altri punti di vista (quello di Pietro di Bernardone davanti ai comportamenti inspiegabili del figlio; quello di Tommaso da Celano messo per ben due volte di fronte a un'impresa soverchiante; quello di Chiara nell'atto di prendere una decisione impossibile; persino quello di Bonaventura, risoluto nella sua idea di gestione dell'Ordine). Forte della sua posizione critica e di una evidente e profonda conoscenza della materia, la Mercuri guida con sapienza il lettore attraverso la complessità delle dinamiche sociali, familiari, religiose ed economiche del Medioevo, con un procedere per cerchi concentrici che parte da singoli eventi della vita di Francesco per allargarsi ad un contesto più ampio (o viceversa), consentendo anche ai profani una piena comprensione degli eventi, sempre calati nella realtà del tempo. Di tutto viene data una spiegazione, chiara e concisa, che consente di reinterpretare nozioni conosciute in un’ottica differente. Si pensi solo al divieto di possedere i libri che Francesco imponeva ai suoi (e che fu tanto osteggiato dai rivali interni all’Ordine, i quali lo presero come pretesto per screditare il maestro e i suoi compagni, etichettandoli come illetterati):
L’insieme dei costi corrispondenti alle azioni [necessarie per produrre un volume] ammontava, all’inizio del XIII secolo, ad una cifra che oggi potrebbe equivalere a due, tremila euro. […] Il libro […] era un genere di lusso, e il divieto di Francesco fatto ai suoi di possederne, l’ostinazione di Francesco a disfarsi persino dei libri necessari alla preghiera, […] devono essere letti in relazione a una banale constatazione: possedere un libro, nel Duecento, equivaleva a maneggiare un piccolo capitale, un capitale per giunta mobile, assai facile da rivendere. Donare un libro ad un povero equivaleva dunque a mettergli a disposizione, per uno o due anni, una dispensa ben fornita di olio, latte, uova. (p. 103)
Vengono così comparate, attraverso una ricca trattazione, due immagini del santo: quella eterea e ascetica ideata da Bonaventura nel suo tentativo di prendere il controllo sull'Ordine e riscriverne le regole, e quella più veritiera di un uomo complicato, spesso tormentato dai dubbi, ardente di passioni umane e che all'umano sempre riconducevano. Alla figura incolta e ingenua proposta dalla Leggenda Maggiore viene opposta quella di un uomo dalla cultura profonda e variegata, dalla grande sensibilità emotiva, da una consapevolezza ferma circa la missione da condurre. L’agire di Francesco nel mondo non è quindi dovuto, come postulano i frati dottori, alla scarsità di conoscenze, ma a una scelta deliberata. Non di "inferiorità" si può parlare, ma di "minorità" deliberatamente perseguita come scopo di un'intera esistenza. Perché
l'amore di Dio [...] non si raggiunge nei templi della scienza, non attraverso lo studio della teologia, e neppure nel chiuso degli eremi o nella contemplazione solitaria; ad esso si arriva attraverso la carità, che non è semplice elemosina, ma amore infuocato per il prossimo, gioia e condivisione del suo destino, che si esprime attraverso slanci improvvisi dell'anima (p. 188).
Si esce più ricchi, dalla lettura di questo saggio. Si esce anche vergognosamente schierati, appassionati al soggetto dell’opera quanto l’autrice, come lei ardenti di sdegno per il trattamento subito dal protagonista, ridotto a pura forma (seppur ripiena di Spirito) quando era, essenzialmente, pura sostanza. Anzi,
il modo giocoso, teatrale, fisico con cui Francesco si presenta al suo uditorio […] appare come il riflesso non della sua semplicità, ma di una seria complicazione, di una profonda intelligenza del messaggio più urgente del Vangelo. (p. 183)
Chiara Mercuri ci convince del carattere inedito (e pertanto eversivo) della figura del santo di Assisi, non mancando di sottolineare quanto la devozione dei fratelli a lui più vicini, e il loro desiderio di emularlo e di tramandarne un ricordo autentico, anche a costo di contravvenire alle regole ricevute, siano stati gli unici punti di fragilità del piano di controllo di Bonaventura. È solo per merito di quest’estrema disubbidienza, nata dall’amore (in fondo lo stesso amore gratuito a cui rimandava lo stesso Francesco), a riconsegnarci dopo secoli un ritratto più genuino del padre fondatore dell’Ordine dei frati minori.
Carolina Pernigo