Primavere Promesse
di Roberto Marri
Prospero editore, 2018
pp. 88
€ 8,00
Roberto Marri ci accoglie a ogni presentazione con una testa spaesata di ricci e un sorriso disarmante. Avevamo già letto e apprezzato il suo Sete (qui la recensione), ma la sua raccolta di poesie ci tocca in modo nuovo. È facile, fin dall'inizio, immergersi nel suo universo poetico. Ci troviamo anche noi "nell'ombra della stanza", dove "tra le persiane chiuse / s'infila il primo sole. / I raggi si distendono / come corde di un'arpa. / Li sfiori con le dita / io resto ad ascoltare". La poesia riesce, anche oggi, a far risuonare in noi corde che tendiamo a ridurre al silenzio. Lo fa con discrezione, senza prepotenza, introducendoci pagina dopo pagina in un mondo che riconosciamo. Certo aiuta a calarci nel clima giusto la bella illustrazione di Angelo Ruta, che ci riporta al tempo stesso al canto ipnotico di Orfeo e ai sognanti violinisti chagalliani. Dall'introduzione di Alessandro Quasimodo si derivano considerazioni formali e alcuni paragoni lusinghieri, in particolare quello con alcuni testi di Giovanni Pascoli. Se qualcosa di quest'ultimo si vuole ritrovare nelle poesie di Roberto Marri, non è però tanto il segnalato clima crepuscolare e malinconico, quanto lo spirito del fanciullino, pronto a ricercare la parola primigenia per definire le cose del mondo, a sgranare gli occhi sul reale, meravigliandosi continuamente delle piccole ma straordinarie occasioni che offre. E non c'è occasione che non sia degna della poesia: la zanzara che non comprende la parola "pace", il latte scaduto dentro il frigo come troppe relazioni, o il calcio giocato in un campetto di quartiere che dà spessore ai sogni e alle parole.
Le primavere promesse ci dicono un tempo versatile e reversibile, in cui l'attesa è anche la possibilità di un rovesciamento, o di una riscrittura. Nel momento fluido o congelato che precede la realizzazione (del presente, di se stessi) sono possibili ricordi e previsioni. È possibile rievocare fantasmi, o eroi. Proprio sulle riscritture mitiche o letterarie la lirica di Marri si impenna, innalzando il tono e il livello dei riferimenti, proponendo versioni che denunciano una profonda conoscenza degli ipotesti, e una viva passione per le parole e i personaggi.
Ci commuove Virgilio che volge i suoi passi dopo aver lasciato Dante alle soglie dell'Eden, lui sì malinconico, ma soddisfatto per aver adempiuto al suo compito di guida (e quanto, noi che siamo anche insegnanti, ci riconosciamo nelle sue parole): "Forse è questo un maestro / fare andare più avanti / arrivare a vedere / dove un altro può andare". Ci dà da pensare un Ulisse di cui, contrariamente al solito, non ricordiamo il ritorno, la fama, il "non domato spirito, / e della vita il doloroso amore" (Saba), ma di cui "ci freme nelle mani / tra le dita / dentro al petto / spietata la sua strage". O ancora ci turba la domanda delle domande, che ci riporta indietro a un'età lontana, a una bottega di falegname: "Può un fremito d'ali soltanto / colmare l'abisso e il grembo / di una donna?".
La letterarietà di Marri non è mai solo posa, è sempre interiorizzata, vissuta intimamente, con la confidenza di chi tratta con amici di vecchia data, forse un po' burberi ma generosi, come si evince dalla bella "C'è Rainer Maria Rilke", già pubblicata su Gradiva. Si immagina così un banchetto di grandi nel soggiorno di un monolocale: il poeta assiste, muto osservatore, nel sollevare continuo del bicchiere pieno, nel posarlo vuoto. E anche alla fine, quando rimane solo, qualcosa gli resta: "Ti sei assopito / al canto dei poeti / e sono usciti piano / perché stavi dormendo. / Hanno lasciato i libri".
Nonostante la cultura profonda che permea la raccolta, la poesia non risulta mai inaccessibile, mai ermetica. Parla la lingua del quotidiano, i sentimenti dell'essere umano; una cifra di ricercatezza è solo nella precisione della parola, che arriva dritta come una lama al suo obiettivo comunicativo e non solo non intimorisce il lettore, ma lo fa sentire accolto, partecipe di emozioni condivise: "Non finiamo / dove arrivano le nostre dita / dove portano i passi / dove vanno le parole. // C'è qualcosa di noi / che continua a sfuggirci".
D'altronde, come notava Primo Levi in Dello scrivere oscuro, "tanto più a lungo verremo ricordati, quanto migliore sarà la qualità della nostra comunicazione", e alla poesia contemporanea non si può chiedere più di questo: di essere schietta, di cogliere nel segno, di usare parole precise.
Non si deve commettere del resto l'errore di pensare che la precisione non possa essere evocativa o suggestiva: nell'antologia di Marri, il non detto pesa tanto quanto ciò che viene esplicitato, il fatto reale quanto quello possibile, le primavere promesse quanto le primavere compiute. La divisione dell'opera in due sezioni non è allora qualitativa, ma funzionale alla descrizione di un'esistenza umana in cui pesano tanto le attese quanto le realizzazioni.
La raccolta di Roberto Marri è un appassionato appello a una doppia lettura del vivere: a cogliere i frutti della primavera ("germogli, amori e frutti") un attimo prima che inizino a sfiorire; a rendersi conto che "il momento di spiccare il volo" non è forse collocato nel domani, ma già nell'oggi. E che sta a noi decidere se il margine a cui siamo relegati implica prigionia e solitudine, o spazio di libertà.
Carolina Pernigo
Social Network