di Daniel Mendelsohn
Einaudi, 2018
Traduzione di Norman Gobetti
pp. 310
€ 20 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Sento di non aver mai davvero conosciuto mio padre finché non ho cominciato a leggere seriamente i classici. (p. 45)
Poteva sembrare un'idea stravagante, quella dell'ottantenne Jay Mendelsohn, di fare oltre due ore di viaggio ogni settimana per seguire il seminario del figlio Daniel sull'Odissea, mettendosi a confronto con studenti a malapena ventenni. Però lui, Jay, si era in passato accostato ai classici in lingua originale con passione crescente, ma non era riuscito a tradurre tanto quanto avrebbe voluto per via degli studi interrotti. Questo non l'ha mai fatto desistere: imparare, prima di tutto («Tuo padre era geniale. Ha cominciato con poco, ma ha imparato molto», p. 238)). Poco conta che avesse portato avanti ricerche scientifiche e tecnologiche di cui non poteva neanche parlare con la famiglia; Jay ora vuole leggere l'Odissea come mai fatto prima, con suo figlio in cattedra con cui confrontarsi e qualche volta scontrarsi davanti agli sguardi curiosi e ironici dei presenti.
Daniel, dal canto suo, io narrante della vicenda a posteriori, inizia a guardare con occhi nuovi quel padre tanto amato quanto inconoscibile. Gli obiettivi di suo padre, chiamato semplicemente "papà" anche davanti agli studenti, restano a lungo nascosti: o meglio, Daniel è convinto che l'uomo voglia semplicemente prendersi una rivincita sul passato, riscattando la sua antica passione, ma c'è ben altro sotto, come scopriremo via via.
«Pochi figli risultano uguali al padre; i più sono peggiori, e solo pochi migliori» commenta Atena nel poema; e tutto il romanzo di Mendelsohn gira attorno a questa domanda: e io, che figlio sono?
«Pochi figli risultano uguali al padre; i più sono peggiori, e solo pochi migliori» commenta Atena nel poema; e tutto il romanzo di Mendelsohn gira attorno a questa domanda: e io, che figlio sono?
Ed ecco allora che la vita personale si intreccia a doppio filo al poema omerico: la rilettura appassionata e compartecipata dei vari libri dell'Odissea nel seminario, le varie voci degli studenti si alternano a quella di Jay Mendelsohn, fortemente convinto della scarsa eroicità di Odisseo e dell'altrettanto deludente apprendimento di Telemaco nel corso dei libri dedicati alla Telemachia. Le reazioni del padre davanti al poema aiutano Daniel ad aprirsi a nuove interpretazioni, ma rivelano e confermano una verità che rintocca periodicamente nel romanzo: «I nostri genitori sono misteriosi ai nostri occhi in modi in cui noi non potremo mai esserlo per loro» (p. 153). Ad esempio, Daniel si chiede più e più volte perché suo padre a un certo punto inizi a viaggiare in treno: forse per via del traffico, forse per l'invecchiamento progressivo? Ma la risposta è tutt'altro che scontata, e il figlio la scoprirà tardi, dopo la morte del genitore.
Eppure ci sono tante cose che Daniel sa leggere tra le righe delle interpretazioni paterne: esperienze e traumi si infiltrano nelle sue parole, fanno sentire Jay perennemente a confronto con Odisseo, di cui apprezza l'autocontrollo estremo in situazioni potenzialmente sentimentali e patetiche, pur deprecando i ripetuti tradimenti verso Penelope. Non è morbido nei suoi giudizi, Jay Mendelsohn, e ci sono valori su cui non transige. Ma è proprio il contraddittorio nel seminario a rinsaldare il rapporto padre-figlio e a spingere Daniel a proporre, alla fine del corso, una crociera particolare nel Mediterraneo, sulle tappe dell'Odissea. Ennesima sfida, ennesimo viaggio nella mente e nel cuore del padre: il loro nostos sarà dolce, ma anche malinconico e ultimo momento di felicità prima della malattia di Jay, di cui veniamo informati fin dalle prime pagine.
Nell'originalità della fusione ammaliante tra romanzo familiare, biografia e saggio di letteratura, Un'Odissea è un viaggio epico nell'essere genitori ed essere figli, nella passione per l'insegnamento e per le infinite botole di senso e di forma nascoste nella grande letteratura.
GMGhioni
Una frase da sottolineare:
Gli insegnanti migliori sono quelli che ti spingono a trovare un significato nelle cose che hanno dato loro piacere, così che l'apprezzamento di quella bellezza sopravviva alla loro esistenza. (p. 217)