Il compimento è la pioggia
di Giorgia Lepore
Edizioni e/o, 2018
pp. 239
€ 16
Se ci sono di mezzo i bambini,
per Gerri Esposito, l’ispettore nato dalla fantasia di Giorgia Lepore, non può
essere un caso qualsiasi. Perché lui non è stato un bambino qualsiasi. Allora
serve un riassunto delle puntate precedenti: un prete di strada lo ha raccolto dopo l’abbandono materno
e questo bimbo abbandonato ha dei tratti somatici che pongono domande sulla sua
origine. Gerri Esposito nasce zingaro, poi diventa partenopeo, infine ispettore
di polizia, che ancora non si rende conto come sia potuto accadere. Sa
soltanto che la sua infanzia violata grida vendetta. O meglio: ricordo.
I ricordi diventano difficili da riportare a galla
quando una pallottola è entrata nel cranio, vedi episodio due, ma i mal di
testa reiterati e feroci non impediscono lo sforzo. La sera di San Nicola, una
festa che avvicina il sud barese niente meno che a Milano, per la particolare
coincidenza agiografica del calendario che pone Nicola e Ambrogio all’altezza
del ponte dicembrino dell’Immacolata, Gerri Esposito rinviene da una
cassapanca una bambina molto perspicace e un bambino ancora lattante.
Accanto, la madre è stata uccisa. Massacrata. Da chi?
Una storia brutta, come un cielo incerto e una
stagione improponibile. Come la scoperta di una collega non qualsiasi che pare
se la faccia con un procuratore. Milanese, guarda caso. Odioso all’epidermide e
alla vista. Giorgia Lepore ha una scrittura cattiva, nel senso di scorbutica
e corrosiva. Indugia in particolari feroci perché siamo alle prese pur
sempre con un noir. Tuttavia lo fa con un equilibrio che dimostra grande cura e
ottimo lavoro di editing. E qui va fatto un plauso anche alla casa editrice.
Perché quello che deve risaltare in questi romanzi con un ispettore sui
generis, non è tanto il caso in sé – e questo in particolare resta ancora più irrisolto dei precedenti – quanto la
tenaglia psicologica che esso genera ai danni di Gerri.
La piccola figlia della vittima è la cartina di
tornasole di tutte le infanzie perdute. Dunque, anche quella di Esposito. Che
si prodiga perché ciò che lui ha patito non diventi la sofferenza di altre
persone. In questo prodigarsi, ci scappa pure una promessa. Classica finché si
vuole ma che nel contesto assume un significato pregnante. La promessa di catturare
l’assassino. In realtà la bambina si sbilancia oltre: prendilo e uccidilo, chiede. Troppo anche per un poliziotto
improponibile. Un tira e molla brevissimo, un dialogo di due righe che però
trascinano i loro effetti per tutto il romanzo.
Lo prendi e lo uccidi. Noi non ammazziamo persone.
Allora lo prendi e basta. Ma in cuor suo Gerri sa che la piccola potrebbe non
accontentarsi della soluzione minima. Che fare? Intanto dire di sì. Ma questo,
a cosa va riferito? Al prendilo e uccidilo o al prendilo e basta? Bisogna stare
attenti, avere la mira giusta e non farsi devastare definitivamente dai sensi
di colpa. Però la bambina, acida quanto si vuole, chiede legittimamente
giustizia. Per lo meno una giustizia declinata nell’accezione che può
elaborare un cervello infantile. Anche Gerri d’altronde era candido fino in
fondo quando è stato abbandonato e chi può invocare riparazione a un torto
subito se non un innocente assoluto?
Si dipana così questo terzo capitolo della saga di
Gerri Esposito. Un dare a cui corrisponde un non avere. Una serie di rapporti scomposti dove le conquiste degli
affetti restano maledettamente transitorie come una nevicata in Puglia. Per gli
amanti di Gerri, non mancheranno le apparizioni di personaggi già visti. E
credo non finisca qui. Per cui tranquilli. Questo tizio che attraversa da
nomade le steppe dei tormenti umani, pianterà la sua tenda da qualche altra
parte.
Marco Caneschi