Come un giovane uomo
di Carlo Carabba
Marsilio, 2018
pp. 176
€ 17,00
€ 9,99 (ebook)
Ogni bambino cresciuto in città aspetta una nevicata. La anela come l’eccezionale manifestazione della natura che rende diverso ogni aspetto del paesaggio a cui è giornalmente abituato. Un’occasione unica per rompere dalla monotonia dei palazzi e calarsi in un universo di fiaba. Anche Carlo desidera la neve, solo che non è più un bambino, ma un giovane uomo che aspetta di capire di più sulle sorti della propria vita, primariamente lavorativa. Desidera ancora la neve perché è sicuro che in quel candido abbraccio troverà le risposte che gli mancano per dare un senso a ciò che fa, a ciò che è. Il giorno in cui a Roma la neve cade davvero, invece, la catarsi tanto attesa viene rimandata: una sua cara amica, Mascia, ha avuto un brutto incidente stradale col motorino e lotta tra la vita e la morte. Negli stessi giorni in cui il destino della donna viene a compiersi, poi, Carlo è costretto a viaggiare tra Roma e Milano per firmare un importante (e definitivo) contratto di lavoro, mancando al funerale della donna.
La narrazione di Come un giovane uomo dura le sei ore di viaggio di andata e ritorno da Roma a Milano a bordo di un treno dell’alta velocità. Tutto il libro, privo di trama, è un lunghissimo monologo interiore, senza pause o scansioni temporali, con il quale il protagonista prova a dare un senso al significato di crescita e maturazione. O almeno, questa sembra essere la pretesa superficiale. La verità è che nel difficilissimo testo l'io narrante non compie nessun percorso di crescita né sviluppa la maturazione della propria identità. In ogni passo emerge solo il protagonista, in un vero manifesto di egocentrismo e affermazione di sé.
Manca la neve che sembrava essere nelle prime battute il perno portante, anche metaforico, della vicenda. Mancano Mascia e il suo incidente, micce di una bomba che esplode nell’interiorità del protagonista. Ci si aspetterebbe un racconto di formazione e di crescita, una ricerca dell’individualità a partire da un lutto e il superamento del senso di colpa. Come un giovane uomo è invece il racconto di un personaggio che cerca l’approvazione costante degli altri non per avere un significato come individuo all’interno della società, ma per avere un significato come entità unica, ego speciale in mezzo a tanti altri ordinari. Pur ripercorrendo una vita intera, infatti, nessuna relazione tra il protagonista e chi lo circonda viene chiarita: si ha difficoltà a ricordare i nomi degli amici e dei parenti, non c’è alcun approfondimento del rapporto con la madre o con il padre e l’unico adulto citato con più frequenza, la nonna, viene miseramente colta nei momenti che hanno contribuito ad acuire i difetti di Carlo, non i suoi pregi.
Se quello del romanzo, pregio, è di mettere a nudo anche le pieghe più aspre dell’animo umano e gli atteggiamenti di cui ci si vergogna a parlare pubblicamente, ma che spesso fanno capolino nella propria mente (come il desiderare di assistere al proprio funerale per saggiare i veri sentimenti delle persone che ci circondano), non mancano purtroppo i difetti nello stile di scrittura scelto da Carabba. Il linguaggio è complicato, irto di numerosi voli pindarici tra un argomento e un altro di cui si perde il nesso dopo poche parole. Sì, simili, ai voli della mente, ma non per questo adatti alla carta stampata. I periodi sono lunghissimi, con piani di subordinate stratificate le une sulle altre a mimare prosa di ciceroniana memoria. La formazione poetica, poi, evince con forza e se in alcune descrizioni l’accento retorico può rendere la lettura piacevole, in frequentissimi passi l’abuso delle similitudini così articolate da far dimenticare a cosa fosse uguale il termine di paragone (ma forse la marca distintiva dello stile di Carabba è proprio la similitudine, evincibile già dal titolo), rende titanica l'impresa di finire il testo. Si giunge, finalmente, alla conclusione, leggendo che:
La scrittura di Come un giovane uomo - Neve mi ha portato via, in varie stesure, cinque anni, i cinque anni di ingresso alla vita lavorativa vera e propria - e ovviamente uno dei temi portanti del libro è il passaggio dalla giovinezza alla vita adulta, che non può essere disgiunta dalla consapevolezza della mortalità in generale e della propria mortalità in particolare.
Nella Nota al testo Carla Carabba fornisce la personale chiave di lettura al suo romanzo d’esordio. Lui, che ha scritto tanto di filosofia e ha pubblicato due raccolte di poesie (Gli anni della pioggia, peQuod, e Canti dell’abbandono, Mondadori), disvela senza giri di parole e con uno stile chiaro e di facile comprensibilità quello di cui ha scritto in maniera così oscura nelle pagine precedenti. Con la Nota al testo siamo però alla fine, al momento in cui cioè viene spontaneo tirare le somme di ciò che si è vissuto e provato fino a quel momento senza aspettarsi che altri, men che meno l'autore stesso, ci forniscano gli strumenti per farlo. Viene quindi spontaneo chiedersi come mai Carabba abbia deciso di scrivere queste note chiarificatrici: che il responsabile della narrativa italiana per Mondadori si sia reso conto della difficoltà del suo testo, prima che a dirglielo fossero i lettori?
Non lo sapremo mai, ma a chi volesse intraprendere questo doloroso viaggio interiore che l’autore compie nelle pagine del suo romanzo d’esordio consiglio vivamente di partire proprio dalla nota finale: pur con effetto duplice possibile (predisporre favorevolmente l’animo o scoraggiare la lettura), si possiedono comunque delle prime armi per affievolire l’intensità del testo che si accinge a leggere.
Federica Privitera
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