di Fortunato Cerlino
Einaudi, 2018
pp. 265
€ 18,50 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Non dirò a nessuno cosa è successo questo pomeriggio. Rimarrà per sempre un segreto su queste pagine di cartapaglia. Fingerò di essere felice, dirò loro che quest'anno il comune ha deciso di allestire anche nel Far West, come a Napoli, delle luminarie straordinarie per Natale, e che tutti resteremo a bocca aperta per quanto sono luminose. (p. 115)
C'è da dire che non so leggere in napoletano ad alta voce, se no chissà quali sonorità! L'ho pensato più volte riproducendo un po' timidamente i dialoghi di fuoco presenti in Se vuoi vivere felice: ho provato a masticare un po' di quella concretezza di espressioni, ora colorite ora cartavetrata pura. Come ho provato a immedesimarmi nella povertà estrema del protagonista, il piccolo Fortunato, che a dieci anni deve condividere la casa con la sua numerosissima famiglia, di nuovo in procinto di allargarsi per l'arrivo di un nuovo nato. Le gioie di Fortunato sono poche: i panzerotti di mamma, cantare con la sua bella voce e soprattutto sognare che un giorno, grazie a questo suo talento, potrà lasciare per sempre Pianura, per andare al tanto fantomatico Nord. Sono gli anni Ottanta, gli anni in cui tutto è possibile, o almeno appare tale agli occhi di un bambino che ha per rifugio segreto una casa abbandonata e inagibile; i suoi occhi, appunto, sono occhi grandi, spalancati su un mondo di cui vede precocemente le difficoltà, a cui si adatta senza mai davvero rassegnarsi.
Aiutare la famiglia per Fortunato è un modo per guadagnarsi un po' di amore, per sentire di essere utile e, chissà, meritare l'ammirazione della madre. Ecco dunque che pare quasi di vedere Fortunato aggirarsi per le vie di Napoli, spingendo una finta carrozzina, su cui suo padre ha installato cassette di legno per vendere l'insalata e i finocchi dell'orto. La voce di Fortunato chiama e richiama i suoi compratori, prima con un po' di timidezza, poi con progressiva fierezza.
Questa è solo una delle tante immagini che diventeranno indelebili leggendo il libro di Fortunato Cerlino, che i più conoscono per il suo ruolo di don Pietro Savastano in Gomorra, ma che tutti i lettori potranno salutare come un autore di grande sensibilità. Il suo gusto per la scrittura di piccoli quadri di vita icastici, la scelta di un linguaggio mimetico e la capacità di osservare il mondo attraverso gli occhi di un piccolo sono doti di pregio: come dimenticare le sorelle che ogni giorno, con noncurante maestria, preparano fiori finti per le bomboniere? O l'appuntamento mensile al supermercato, vissuto dalla gente di Pianura come l'occasione per abbuffarsi di nascosto e provare a negare almeno per qualche momento la propria miseria?
I passaggi dalla dolcezza all'amarezza sono rapidi, talvolta tanto fulminei da impedire al lettore di frapporre il filtro della razionalità: così il sentimento trabocca, e verrebbe davvero voglia di abbracciare quel piccolo Fortunato, e incoraggiarlo a tenere ben saldo il suo desiderio di riscatto. Quanto ci sarà di autobiografico? Potremmo chiedercelo, ma non vale la pena farlo: il sottotitolo - bellissimo esempio di un'enumerazione sapiente - testimonia un più che legittimo mix di elementi finzionali e biografici, a giusto e insindacabile giudizio dell'autore. Un gran bravo autore.
GMGhioni
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