Per celebrare David Foster Wallace oltre i suoi libri, a quasi dieci anni dalla morte, al Salone del Libro si è svolto un incontro moderato da Christian Raimo, che è ricorso all’enumerazione per raccontarne l’attività intellettuale:
«È stato uno scrittore di racconti, romanzi, reportage, inchieste, saggi; è stato un insegnante di scrittura creativa, un linguista, un intellettuale, un critico della cultura americana e un critico letterario, ha scoperto autori, è stato un lettore attento, ha ragionato moltissimo sulla politica e sulla filosofia».
Martina Testa, una delle prime traduttrici delle sue opere in Italia, ha ricordato come Foster Wallace, soprattutto negli anni ’90, scrisse recensioni per diverse testate; da questi scritti si deduce che inizialmente subì molto il fascino della letteratura postmoderna, così celebrale, così alta e sperimentale nel linguaggio; lo affascinavano John Barth, Thomas Pynchon, William S. Burroughs e De Lillo, che prediligeva in modo particolare. Ciò che Foster Wallace apprezzava di più di questa letteratura era l’approccio dell’autore, quando dietro a ogni pagina si sente la coscienza di chi scrive, senza che si venga catapultati dentro a una realtà immediata senza filtro; lo inquietava la comunicazione tipicamente pubblicitaria, quella che induce a un comportamento consumistico, quella prettamente televisiva, che a suo modo di vedere tradiva – a tutti gli effetti – il valore etico della lingua, ossia quello di mettere in comunicazione chi scrive e chi legge. Il miracolo per cui il solipsismo di un autore diviene comunicazione con gli altri è parte integrante della letteratura, per Foster Wallace.
Gli piacque molto anche quella che definiva narrativa d’immagine, animata da scrittori come Mark Leyner, ad esempio, che come lui inseriva personaggi famosi della tv americana nei suoi racconti, concepiti però come pagine alte, colte.
In un secondo momento, racconta Testa, Foster Wallace perse interesse per questo genere, che sentiva ormai troppo “freddo e cerebrale”; più affascinato da testi in cui poter sentire l’amore di un autore per qualcosa che gli sta molto a cuore, rivolse la sua attenzione altrove; in un momento in cui gli sembrava che ci fossero troppi autori cinici, in America, si mostrò più attento a testi letterari che comunicassero anche dei valori. Nel racconto Verso Occidente l’impero dirige il suo corso, ricordano Testa e Raimo, Foster Wallace condannava l’attenzione eccessiva alla tecnica e la scarsa attenzione alla capacità di trasmettere qualcosa, di commuovere.
I riferimenti culturali di Foster Wallace comprendevano autori decisamente alti (Socrate, Cartesio, Kant); era appassionato di logica, La scopa del sistema è «un’applicazione narrativa delle funzioni del primo Wittgenstein», chiosa Giordano Meacci; allo stesso tempo, puntualizza Testa, apprezzava autori di più facile lettura come Stephen King, ma la letteratura, in definitiva, per lui era quella che richiede impegno al lettore, un impegno ripagato completamente, perché «comunica qualcosa più grande di sé».
L’ultimo intervento è stato quello di Chiara Scarlato, che ha organizzato l’incontro dal titolo David Foster Wallace Between Philosophy and Literature all’università a Pescara; anche in quella sede sono state messe in luce le molte sfaccettature dell’attività intellettuale dell’autore americano, infatti negli ultimi anni i suoi scritti sono stati oggetto di studio non solo della critica letteraria, ma anche di quella filosofica. Il primo testo di filosofia che ebbe modo di leggere, racconta Scarlato, è stato Il Fedone di Platone, un regalo del padre quando aveva solo 14 anni; da quel momento la letteratura e la filosofia diventarono le due componenti essenziali della sua formazione e delle sue opere.
L’incontro si conclude con un invito della Scarlato: per comprendere appieno il senso dell’opera dell’autore bisogna scovare «i testi che ha letto, leggerli a nostra volta e capire in che modo quegli argomenti, quelle trame hanno influito sulla produzione wallaciana e affinché questa operazione non sia arbitraria è necessario confrontare il rapporto fra i testi con le interviste e la produzione saggistica».
Lorena Bruno
@Lorraine_books