Tra due divise
La Grande Guerra degli italiani d'Austria
di Andrea Di Michele
Editori Laterza, 2018
pp. 250
€ 24 (cartaceo)
Che cosa succede quando si perde la memoria? Se fossimo in campo medico la risposta sarebbe abbastanza semplice, dato che c'è tutta una letteratura scientifica, molto specifica, che tratta e tenta di curare tutti i disturbi legati alle carenze di memoria. Tuttavia nel caso di Tra due divise. La Grande Guerra degli italiani d'Austria di Andrea Di Michele, uscito in questi giorni per Editori Laterza, si tratta di tutt'altro argomento. Infatti il libro analizza una pagina poco nota, poco dibattuta e poco ricercata della Prima Guerra Mondiale. Infatti si parla di quegli italiani, o meglio, di quei futuri italiani che, per una ragione o un'altra, finirono durante il conflitto bellico a servire e combattere l'Impero Austro-Ungarico; quindi, a conti fatti, a essere "dall'altra parte della trincea" rispetto agli eserciti tricolori.
Una storia che si può immediatamente capire come sia stata per lunghi anni (più di cento ormai) dimenticata, dato che questi soldati "tra due divise" stavano in una vera e propria terra di nessuno. Abitanti nei territori compresi tra le province irredente di Trento e Trieste, più una significativa minoranza del cosiddetto "Litorale", ovvero la zona istriana, questi soldati, che alcune cifre attestano ad oltre 100.000 unità, combattono, com'è naturale che sia, per Vienna ma, nel volgere degli anni di guerra, si ritroveranno a diventare/essere italiani.
Di Michele analizza bene le varie possibilità di questo cambiamento ora forzoso ora voluto, di divisa. Si ricordano infatti le sincere dimostrazioni di affetto e slancio patriottico che numerosi italiani d'Austria dimostrano verso la Madrepatria (più ideale che reale dato che sia Trieste come Trento erano dominate dagli austriaci ormai da un lungo periodo) ma anche, e si sono rivelati la maggioranza, tanti che una volta finita la guerra si ritrovano in un Paese grosso modo ostile, che li vede come "imboscati" dell'esercito imperiale o, peggio, mezze spie o comunque disertori della patria.
E questo avviene nell'uno come nell'altro verso: basti pensare al tragico destino che hanno dovuto sopportare quei soldati che, catturati sul fronte orientale dai russi, hanno dovuto attendere anni e anni per poter essere imbarcati, il più delle volte in un porto della Cina e riportati in Italia lungo un infinito tragitto che toccava il Mar Indiano, il Mar Rosso e, naturalmente, il Canale di Suez.
Oltre a questo, nel volume di Laterza sono contenute anche analisi molto dirette sullo stato dell'alto dei comandi militari tedeschi che, specie dopo il 1915 e la dichiarazione di guerra dell'Italia all'Austria-Ungheria, si dimostrano grandemente sospettosi nei confronti dei non-germanofoni. Ecco quindi che un impero, per sua stessa natura, multilinguistico come quello Asburgico si ritrova con comandi militari che parlano solo tedesco stretto, dove i reparti misti non sono ben visti e dove si preferisce, usando le stesse parole delle autorità dell'epoca, "parcellizzare" la presenza non tedesca nei reparti.
Ecco allora che, come è anche un po' logico e naturale che sia, il rigido quadro degli eserciti e degli schieramenti che la didattica ci ha consegnato, via via si sgretola, per presentarci una linea di confine sfumata e quasi indefinibile, dove i dialetti, le storie famigliari e le singole vicende personali si intrecciano in uno, per dirla alla Gadda, "gnommero" indefinibile. Qui sta il fascino (un po' sinistro e tragico) e il valore del volume di Di Michele la cui lettura è, chiaramente, consigliatissima.
Mattia Nesto