RIVOLUZIONI. Ribellioni, cambiamenti, utopie
Reggio Emilia, 20 aprile – 17 giugno
biglietto intero € 15,00;
ridotto € 12,00
ridotto € 12,00
L'Italia è terra di cultura, di arte e, recentemente sempre di più, di fotografia. Si sono moltiplicati negli ultimi anni i festival dedicati, eventi diffusi sul territorio che raccolgono ottimi consensi e avvicinano un pubblico sempre più numeroso ad una forma artistica accessibile e al contempo sempre nuova e diversa. Da poco, questi eventi fanno fronte comune, creando una rete virtuosa di condivisione e collaborazione: è nato nel 2017 il Sistema Festival italiano di Fotografia che vede uniti insieme Fotografia Europea di Reggio Emilia, Photolux Festival di Lucca (dove siamo stati a dicembre, qui la cronaca), Cortona On The Move, Festival della Fotografia Etica di Lodi e SI FEST di Savignano sul Rubicone. In corso proprio ora, e fino al 17 giugno, è Fotografia Europea 2018, giunto alla sua tredicesima edizione e dedicato al tema delle "Rivoluzioni", declinato secondo tre linee tematiche possibili: ribellioni, cambiamenti e utopie. Come già Photolux, anche questa rassegna adotta la formula dell'impiego e la valorizzazione del tessuto cittadino, destinando sedi illustri e palazzi storici a mostre, conferenze e incontri con gli autori.
Una città piccola e graziosa acquista così nuova vita e può essere riscoperta secondo nuove direttrici artistiche e culturali, secondo itinerari individuali e differenti per ogni nuovo visitatore. La mostra di punta della rassegna di Reggio Emilia è quella ospitata a Palazzo Magnani, il cui titolo ammiccante è "Sex & Revolution!". Incentrata sulla rivoluzione sessuale che ha avuto luogo tra gli anni '60 e la fine degli anni '70, l'esposizione spazia tra diverse problematiche e diverse forme artistiche, coinvolgendo spezzoni cinematografici, opere letterarie, riviste di consumo (per soli uomini o per signore), fumetti, manifesti pubblicitari, oggetti di design, installazioni multimediali e molto altro. Ricchissima in materiali e allestimento, il dubbio è proprio che il soggetto faccia passare in secondo piano il mezzo espressivo: si esce dall'edificio culturalmente arricchiti, sicuramente spiazzati, ma non si ha l'impressione di aver osservato appieno le potenzialità della "fotografia europea" che il festival promette. Ben diverso rilievo alla fotografia in quanto tale è riservato nella monografica dedicata a Joel Meyerowitz: percorso in sei tappe attraverso la produzione dell'artista, dalla street photography degli esordi fino agli hopperiani campi ampi e agli intensi ritratti dei primi anni '80. Quella di Mayerowitz è una rivoluzione nella scelta di utilizzare il colore come forma espressiva primaria, nonostante le difficoltà tecniche (la lunga esposizione richiesta dai dispositivi disponibili al tempo non aiutava a catturare gli istanti ricercati nelle strade di New York). Successivamente, la rivoluzione diventa processo creativo in continua evoluzione, passando attraverso il bianco e nero, totalmente risemantizzato, e l'uso del colore per il suo impatto cromatico e contrastivo, quasi indipendente dal soggetto scelto.
Luca Campigotto,
Bejing 2016
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Nella stessa suggestiva cornice di Palazzo da Mosto, l'esibizione di Toni Thorimbert mostra ambienti cittadini ordinari sconvolti dall'irruzione dell'incongruo. La danza, inserita in scenari altrimenti statici, produce un effetto straniante e onirico, che consente di riguardare a luoghi conosciuti in un'ottica completamente spiazzata e spiazzante. Alla ridefinizione dello sguardo invitano del resto tutte le mostre: ad esempio quella di Mishka Henner, che ci mostra sei mari ripresi in tempo reale, sempre uguali e sempre diversi in ogni momento e per ogni spettatore, obbligandoci a riconsiderare il mondo come un poliedro dalle facce coesistenti, in perpetuo dialogo nonostante l'apparentemente divaricazione spazio-temporale. Tante sono le scelte che portano il visitatore in un altrove, dall'“Art photography” di un Iran alla ricerca di sé all'"Iconic China" di Luca Campigotto, fluorescente e surreale coi suoi edifici futuristi, gli infiniti piani prospettivi sovrapposti e il contrasto spiazzante con i luoghi di una tradizione antichissima. O ancora le campagne russe immortalate in “Motherland” da Danila Tkachenko, che utilizza il fuoco per illuminare la notte e, paradossalmente, salvare e riscattare dall’abbandono (reale e metaforico), riportandole al centro della scena, le comunità rurali, con tutti gli oggetti rituali di una socialità tramontata.
Danila Tkachenko, Motherland #4, Russia, 2016 |
Fotografia Europea 2018 diventa allora l’occasione per una revisione radicale delle nostre prospettive sul passato (quello che conosciamo, e quello che ignoravamo), ma anche sul futuro (incarnato nelle rappresentazioni dell’utopia, come in “Birth of a Utopia” di Andrea & Magda, o della distopia del presente, come in “Feed Us” di Nicolò Panzeri, che ci fa riflettere sulle storture del capitalismo applicate all’alimentazione in Italia).
Reggio Emilia ha un piccolo centro storico, ma si tramuta in questi giorni in una mappa del tesoro: la visione di tutte le esposizioni richiede almeno una giornata intera, forse due, anche ipotizzando un tour intensivo. Il biglietto, come già anche a Lucca, può essere utilizzato in più giorni, consecutivi o no, e questo consente di valorizzare sia il festival che la città, considerandola qualcosa di più che un semplice punto di raccordo e transito tra una sede espositiva e l'altra. L’arte si conferma così veicolo di trasfigurazione del reale, di contagio virtuoso da cui è piacevole lasciarsi sfiorare.
Carolina Pernigo
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