Tra gli incontri più attesi di sabato 12 maggio, al Salone Internazionale del libro di Torino, rientra di sicuro quello che ha visto protagonisti, in Sala Azzurra, due scrittori della casa editrice Einaudi, il genovese Ernesto Franco (autore di Undici per la Liguria, 2015, Scena padre, 2013 solo per citare gli ultimi) e lo spagnolo Javier Marías, considerato uno degli intellettuali più influenti del nostro tempo, al Salone con il suo ultimo romanzo Berta Isla.
Ernesto Franco ha esordito presentando il libro e mettendo in evidenza la costruzione della vicenda, che a partire da un tema centrale si dipana come una spirale:
«Certi libri, fortunati, pochi danno anche una forma plastica al tempo in cui le leggiamo, al tempo della lettura. Questo libro per me ha la forma di un vortice perfettamente assato sul suo asse centrale ma i cui vortici diventano sempre più grandi, e coinvolgono sempre più cose, oggetti, Storia e vita quotidiana, rimanendo perfettamente assati su quel punto di partenza e alla fine, nel cerchio più grande, incredibilmente ci sei anche tu, lettore».
Il lettore ha così una parte rilevante all’interno del libro stesso: «Vi resta dentro nella maniera più concreta possibile perché sta vivendo quel momento del suo tempo».
La vicenda, ovvero l’asse centrale del libro, si snoda a partire da un matrimonio, l’epoca della vicenda è quella va a cavallo tra gli anni ‘60 e ‘90, anni in cui una coppia che si conosce fin da tenera età, e sanno già che diventeranno una famiglia. Tomás, il protagonista, ha un dono per le lingue, quasi magico, «Infatti - precisa Marías – è bilingue». Queste abilità lo faranno notare subito, soprattutto quando andrà a studiare a Oxford. «A un certo punto – precisa Franco, senza cercare di svelare troppo sul libro - succede qualcosa di grave in cui resta inviaschiato, per questa ragione i servizi segreti si interesseranno di lui».
L’interesse di Marías per il mondo delle spie non deve trarre in inganno il lettore:
«Quello che ho voluto raccontare delle spie sarebbe cosa succede ad una spia prima di diventare spia, come mai lo fa, e anche cosa succede quando una spia smette di essere spia, ovvero ciò che normalmente i libri di spionaggio non raccontano. L’altra parte che mi interessava raccontare era cosa succede alle persone vicine agli individui che fanno la spia, come nel caso di Berta isla con Tomás, suo marito».
Berta Isla, che è anche il titolo del romanzo, dovrà fare quindi i conti con qualcosa di inaspettato:
«Lei si trova con un uomo che è suo marito – spiega l’autore - ma c’è un punto in cui l’apparente normalità della sua vita cambia, e lei capisce che qualcosa non va; questo è il momento in cui lui dovrà spiegare in parte chi è e cosa fa, a quel punto lei dovrà scegliere se restare con un uomo di cui conoscerà sempre solo una parte».
Questa impossibilità di conoscere le persone fino in fondo, secondo Marías, è una cosa che ci accomuna tutti:
«Noi pensiamo di conoscere fino in fondo una persona, forse perché abbiamo bisogno di credere che sia così, per vivere in un modo ragionevole, più o meno pacifico, ma se uno pensa un po’ all’inizio del David Copperfield di Dickens, in cui lo stesso Copperfield dice: “Per cominciare, per l’inizio io sono nato – o questo mi hanno raccontato, e io lo credo”, e questo è molto saggio perché è così per tutti, e tutti noi iniziamo così a raccontare la nostra vita, ma bisognerebbe essere come David Copperfield e dire “o almeno questo mi hanno raccontato e io ho deciso di crederci”, ma se continuiamo ancora un po’ nel racconto, di solito poi parliamo dei genitori, ma noi sappiamo qualcosa di loro solo in quanto genitori, ma ci sono 25, 30 o 35 anni della vita di queste due persone delle quali sappiamo pochissimo, non sappiamo che tipo di persone fossero, quali aspirazioni avessero, tentiamo di pensare che erano innamorati, o forse no, forse hanno lasciato il vero amore e allora si sono accontentati, non sappiamo se hanno fatto cose brutte. Per esempio per i genitori che hanno vissuto una guerra, non lo sappiamo; e nel raccontare chi siamo, ad un certo parliamo di studi e carriera. E c’è un punto che questo libro racconta, che tocca da vicino ancora tutti noi, ovvero quando uno si vede obbligato a scegliere una carriera, che magari non avrebbe voluto fare davvero. Succede che col tempo uno si racconti che è la migliore cosa a cui avrebbe mai potuto dedicarsi, si autoconvinca, come avviene per il protagonista di questo libro e la sua carriera da spia».
Due sono i destini o le categorie di persone presenti all’interno del libro, come fa notare Ernesto Franco, coloro che aspettano e coloro che preferiscono avere segreti e fuggire.
«Sì – asserisce Marias – questo è in parte un romanzo sull’attesa e d’altro canto è un romanzo che racconta come la nostra vita la viviamo in attesa, o che succedano delle cose o che succeda qualcosa in generale. Io non scrivo mai su soggetti che penso che siano attraenti o che penso possano piacere a ipotetici lettori ma scrivo su quelle questioni che a me preoccupano, inquietano, mi fanno pensare».
Uno dei temi del libro ripropone in parte delle tematiche trattate in un vecchio romanzo, Un cuore così bianco:
«Normalmente si pensa che i segreti siano qualcosa su cui bisogna indagare, se uno percepisce che c’è qualcosa di nascosto, tanto è vero che anche all’interno delle nostre società contemporanee c’è quasi un ricorso alla trasparenza come virtù, a volte esagerando, quando si pretende addirittura di sapere cosa facciano i nostri servizi segreti. Ma allora che bisogno c’è di averli? Ecco che in questo caso, questo eccesso di virtù mi sembra quasi un aspetto molto ipocrita delle nostre società, perché allo stesso tempo tutti sappiamo che se ci sono i servizi segreti è per fare il lavoro sporco, e ogni tanto nascono clamori ipocriti attorno a queste cose. Alla fine tutti quanti sappiamo che dietro questa volontà di scoprire di sapere quando abbiamo un sospetto, penso che bisogna avere molto coraggio per rinunciare ogni tanto a sapere, a scoprire le cose, per non perdere le persone in seguito alla delusione che potrei averne. Ci vuole il coraggio della rinuncia a sapere».
Una sorta di tenacità amorosa pervade i due personaggi; un’accettazione del sentimento d’amore deve esserci all’inizio di ogni storia, secondo Marías, e poi la volontà di mantenersi dentro questa storia.
Infine una certezza, che è solo della letteratura e della finzione che essa spesso ci regala:
«Se leggiamo e scriviamo ancora romanzi è perché, anche se sono cose inventate, su personaggi mai esistiti, è l’unico territorio nel quale possiamo, ogni tanto, raccontare una cosa che è definitiva, che non si può rettificare né smentire. Madame Bovary è morta nel modo in cui è morta, e basta, Don Chisciotte è morto, alla fine del romanzo, certo ci sono tentativi di continuare il romanzo in altro senso, ma non molti ci fanno attenzione, e per questo mi ha irritato molto, quando ho letto, pochi mesi fa, che a Firenze c’è stata una rappresentazione della Carmen di Bizet in cui si è voluto cambiare il finale, perché hanno deciso che il pubblico, cosa che mi è sembrata particolarmente primitiva e ridicola, non dovesse assistere a un finale come quello, non si potesse quindi applaudire ad un femminicidio. Il pubblico però quando va all’opera non applaude l’argomento, applaude i cantanti, la resa, etc. E quindi questo per una persona semi-intelligente non è più la Carmen, perché la Carmen è quella per sempre. Se non possiamo avere una certezza in ciò che è accaduto, perché è mutevole rispetto ai punti di vista, almeno che ci sia una certezza in ciò che non è mai accaduto, ovvero nelle finzioni».