Illuminismo e critica. Foucault interprete di Kant
di Rudy M. Leonelli
Quodlibet, 2017 (prima ed.)
trad. di Guglielmo Forni Rosa
pp. 112
€ 15, 00
È un’introduzione completa di traduzione e note all’Antropologia da un punto di vista pramatico quella
che il trentacinquenne Michel Foucault presenta come Tesi di Dottorato
secondaria all’École normale supérieure,
vantando un rapporteur quale Jean
Hyppolite, mentre della Tesi principale, Storia
della follia nell’età classica, fu relatore l’epistemologo George
Canguilhem, tra i primi a interrogarsi circa la legittimità del termine normale in ambito medico e dunque esistenziale. È ancora un intervento
dedicato alla relazione tra Illuminismo e Critica quello che Foucault pronuncia
alla Sorbona nel 1978; mentre un breve saggio sull'articolo kantiano La risposta alla domanda: Che cos’è Illuminismo? è presentato nel volume a cura di Paul Rabinow The Foucault Reader e in seguito
pronunciato nel 1983 durante una lezione al Collège de France.
Non (solo) per esercizio d’erudizione sono state presentate
le occorrenze della relazione tra Foucault e Kant; piuttosto perché forma di contrappasso
sembra possedere il tormento che travolge il primo dall’esordio all’epilogo
della propria biografia speculativa. Lui, che proprio i cattivi equilibri della
ragione aveva indagato sin da Storia
della follia; per cui monomanie, assilli, strepiti e deliri si
perimetravano quali territori d’indagine privilegiati per l’osservazione di ciò
che eccedeva l’armoniosa struttura delle civiltà occidentali, proprio da
un’ossessione si ritrova investito. È certo uno di quei chiodi cui spesso le menti brillanti sono costrette, vi restano
impelagate annientando qualsivoglia terapia che ne permetta l’oblio.
L’ossessione possiede la fisionomia di Immanuel Kant.
È il 1984 quando tal’ Maurice Florence redige per il Dictionnaire des philosophes un’accurata
voce sull’opera di Michel Foucault; tanto accurata che tra i due si sarebbe
volentieri azzardata una relazione più che simbiotica. Eppure bisogna
abbandonare il piacere di certe ambiguità e parlar
franco – per citare ancora una formula foucaultiana -, rivelando che sotto
il nome de plume non si nasconde che
Foucault stesso, come pure suggeriscono le iniziali MF. Così a François Ewald,
curatore ufficiale della voce, non restò che una sola, eppure non trascurabile,
asserzione, posta a esordio: «Se Foucault si inscrive nella tradizione
filosofica, lo fa nella tradizione critica di Kant». Il biografo di se stesso non la soppresse.
Ossessione dunque che seppur si consuma nel corso
dell’intero travaglio teorico foucaultiano è ben compendiata dal volume edito per
Quodlibet Illuminismo e critica. Foucault interprete di Kant, a cura di
Rudy M. Leonelli per traduzione di Guglielmo Forni Rosa, la cui prefazione appartiene a Étienne
Balibar, tra quanti nel 1965 lavorarono sotto la guida di Louis Althusser
all’opera Lire le Capital dedicata a Il Capitale di Karl Marx. L’indagine,
già proposta da Leonelli quale terzo capitolo della propria Tesi di Dottorato
all’Università di Paris X nel 2007, presenta uno sguardo particellare della
relazione forzosa cui un autore costringe l’altro. Bisogna tuttavia segnalarne
i caratteri di assoluta singolarità in un territorio teorico come quello
foucaultiano.
La sovrana ragione agisce
nell’opera di Foucault quale capopopolo d’un complotto ordito ai danni delle
eccedenze dalle società liberali, il cui profilo terminologico, al pari degli scarabocchi
segnaletici che dovrebbero restituire con precisione una fisionomia criminale,
è certo quello di biopolitica. Una
sovranità che non più discende dalla sacralità del cielo – sia esso divino o tutt’affatto
terreno – bensì si veste della contingenza più sibillina; la cui dialettica è
non quella di una tesi e di una antitesi sovrano/suddito – servo-padrone, preciserebbe
un pedante – bensì di un vociare indistinto dove dialettiche sono le relazioni
di sapere. Tale, la ragione per cui così perturbante si presenta lo sguardo
foucaultiano intessuto sull’opera di Kant e in particolar modo sull’articolo
per la Berlinische Monattsscrift dedicato
all’interrogativo circa il secolo dei lumi. Cos’è
l’Illuminismo?, domanda Kant, e l’esegesi foucaultiana aggiunge, non
lesinando di mescolare proprie metodologie: «Kant si chiede
qualcosa d’altro: che cosa siamo? In un ben preciso momento della storia».
Se, annota Kant, una seconda
natura si è sostituita alla prima vestendo d’inedia il soggetto, lasciando che lo infestassero sudiciume e pigrizia; bisognerà prescrivergli massicce razioni
di sapere aude perché sia compiuto un
rifiuto efficace della normalità in nome di una natura deietta. La ragione ha
da farsi allora critica: tale lo sguardo
gettato da Foucault sopra il proscenio del Secolo dei Lumi. Da compiersi è il
progetto di una comunità che, a parere di Leonelli, tenga insieme politicamente
i «due blocchi dell’Europa», Francia e Germania in una sintesi comune di
governatività. È la sovversione dell’ordine e insieme il proposito d’un ordine
tutt’affatto universale.
L’analisi accurata (nel senso del «rispetto», della chiarificazione») della Beantwortung è «violenta» per il fatto stesso di esistere: infatti questo testo, finora considerato come minore, diventa centrale a causa dell’«ingiustizia» dello sguardo genealogico, cioè di una prospettiva autonoma che selezione i propri oggetti in funzione di una problematica: la diagnosi del presente.
Nessuna delle contraddizioni che Jurgen Habermas lascia
emergere dal tormento foucaultiano per il sapere
aude! tra le pagine del testo Una freccia scagliata nel cuore del presente
per cui «la filosofia della storia di Kant» non dovrebbe «suscitare ad ogni
riga il sarcasmo del Foucault teorico del potere?». Quale natura ritrovare,
insomma, dove sia tutto perduto? Le obiezioni di Leonelli divengono acute.
Foucault è sì il teorico della ragione che da Cartesio sino all’Illuminismo
esclude e reclude; purtuttavia è proprio nel processo di un rifiuto
dell’indolenza che il progetto d’una moltitudine può dirsi: un progetto la cui
voce risuoni di franchezza. Al solito, The
importance of being Earnest.
È forse proprio il desiderio di evadere la prigionia delle
società liberali che costringe l’ultimo Foucault a lacerare il perimetro della
propria genealogia invadendo costumi pre-cristiani e pre-moderni. La risposta
alla domanda Cos’è il nostro secolo? non può
allora che esibire proprio il profilo d’un rifiuto: non sarà certo
perfettamente adeguato, ma come pure quello di Kant inscena la possibilità di
una ragione non più calcolante bensì critica. Dalle macerie emergerà la prima
natura.
Antonio Iannone