Per quieto vivere
di Massimiliano Smeriglio
Fazi Editore, 2017
pp. 221
€ 16,00
€ 7,99 (formato Kindle)
Le chiacchiere viaggiano così veloci che, a volte, arrivano prima che i fatti avvengano. (p. 158)
Che cosa si fa per quieto vivere? Tante, troppe cose. Soprattutto in un grande condominio composto da oltre 300 famiglie, come quello in cui è ambientato questo interessante romanzo di Massimiliano Smeriglio, scrittore e politico (attualmente è vicepresidente della Regione Lazio).
Interessante perché fa riflettere, perché i personaggi che mette in campo rimangono impressi nella memoria e perché le dinamiche che si scatenano tra i vari condòmini sono quelle che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni.
Roma Sud, piazza Mancini, giugno 1944: la città è in preda al caos, i Tedeschi stanno scappando, i liberatori stanno arrivando. È il momento giusto per le vendette: la portiera del grosso palazzone, che si affaccia sulla piazza, vola giù dal decimo piano e si sfracella al suolo. Si è buttata per sfuggire alla furia dei condòmini che non le perdonano il suo essere stata fascista fino al midollo e spia del regime (con le sue soffiate ha fatto arrestare e uccidere i figli di una famiglia del condominio, che avevano aderito ai gruppi di azione patriottica).
Roma Sud, piazza Mancini, 2015. In guardiola sta seduto il nipote della portiera, il quale ha ereditato il lavoro dal padre, che a sua volta era succeduto alla madre. Quarantenne, single, un po' viscido, qualunquista, razzista, curioso, impiccione, scansafatiche, dispettoso, asociale, il portiere (l'io narrante per buona parte del libro) è un tizio che suscita disprezzo per ciò che fa e che dice. Tra l'altro ha anche il brutto vizio di fotografare di nascosto i condòmini e di sbattere le immagini in rete in modo anonimo. Quella stessa rete da cui trae le maggiori soddisfazioni, da YouPorn ai siti di controinformazione, quelli, per intenderci, che contestano l'esistenza dell'Olocausto, l'utilità dei vaccini, l'arrivo dell'uomo sulla luna e che vedono complotti ovunque. Nulla sembra però smuoverlo, se non un proposito: trovare tra quei condòmini gli eredi degli assassini della nonna (tanto le famiglie sono rimaste pressoché le stesse). Per questo osserva, spia, curiosa, si intrufola nelle case e nelle vite degli altri. Che, tra l'altro, rappresentano un bello spaccato di vita moderna: c'è la famiglia di senegalesi, c'è lo spacciatore con tanto di figlia adolescente tutta chewing-gum e capelli rasati, c'è la «famiglia tutto bene», ma con qualche piccola magagna sottotraccia, c'è la «mattacchiona», come la chiama il portiere, ospite di una casa famiglia, una donna che nella sua vita ha sofferto troppo tra violenza e scariche di elettroshock, c'è la coppia gay, c'è il giornalista ammalato di Sla, assistito dal figlio, c'è la famiglia del ferroviere che quando esce di casa è felice e contento e quando torna sembra sempre «incazzato»... che abbia una vita segreta?
Nulla scappa all'occhio indagatore del portiere. Che, tra una guardatina di sottecchi allo stivaletto di una signora e qualche mugugnata in dialetto molisano, pensa bene di mettersi a fare le veci dello spacciatore finito in galera. Con l'erba sua. Alla faccia della morale, della coerenza e del «daje ai marocchini e ai drogati...».
Grazie alla varietà sociale composita del condominio, l'autore riesce a infilare nel libro numerosi spunti di riflessione e di discussione, dal diritto a una morte dignitosa alla normalità dell'amore omosessuale, dalla sofferenza dei malati, mentali e no, alla povertà di certi anziani che campano con cento grammi di pane e mezzo litro di latte. Fino alla devastazione dei rapporti che caratterizza tante famiglie appena dietro la porta di casa.
Pochi sono i personaggi che si salvano: della generazione dei padri quasi nessuno, di quella dei figli quarantenni ben pochi... forse il figlio del giornalista a cui il padre chiede un atto terribile o il figlio del ferroviere che, pur di non vedersi assomigliare al padre ogni giorno di più, fugge a Londra per rifarsi una vita. Anche la ragazzina figlia dello spacciatore (in cui l'autore ha voluto piantare un seme di speranza visto che è l'unica a rivolgere la parola alla «mattacchiona»), in realtà, si fa paladina di una giustizia che non va al di là della dimensione familiare. E visto il «mestiere» del padre, ecco che la giustizia prende il sapore della vendetta.
Proprio quel sentimento che anima ogni azione del portiere: «cunge cunge, piano piano, finché non avrò dato un volto agli aguzzini di mia nonna». L'unico personaggio che in realtà di punto in bianco saprà prendere una decisione è proprio la «mattacchiona», il povero scarto sociale, colei da cui non ci si aspetta altro che una dipartita. E senza disturbare troppo, possibilmente.
Smeriglio costruisce la sua narrazione a cerchi intersecantisi, come negli insiemi: l'io narrante principale è il portiere (una figura moralmente negativa, ma dal punto di vista letterario grandiosa, costruita alla perfezione), poi improvvisamente il soggetto che racconta diventa il giornalista ammalato, poi l'io narrante diventa la vecchietta matta, poi ancora si cambia e parla il figlio del ferroviere, quello scappato a Londra. Il tutto inframmezzato da parti in terza persona, secondo lo stile del narratore onnisciente. Se all'inizio il lettore può sentirsi spiazzato da questa tecnica, poi è indotto gradatamente ad accogliere in sé queste voci diverse, quasi fosse in presenza di un «romanzo corale», il romanzo di un condominio in cui ognuno vuole dire la sua.
E saranno proprio le voci narranti a raccontare un qualcosa che andrà a spezzare il velo del «quieto vivere».
p.s. Una curiosità: ricordate il caso di Facebook, Cambridge Analytica e dell'uso scorretto di un'enorme quantità di dati prelevati dal social per costruire profili psicometrici degli utenti? Ebbene il caso è scoppiato a marzo 2018, qui nel libro (pubblicato nel novembre 2017) il portiere ce lo spiega per bene (provate a leggere a p. 158)... potere premonitore della scrittura...
Rosatea Poli