Faccetta nera
L'illusione coloniale italiana
di Arrigo Petacco
Utet, 2018
pp. 247
€ 19 (cartaceo)
€ 7,99 (ebook)
Che non si venga a dire che un saggio storico debba essere, per forza di cose, noioso! Per controbattere a chi, ancora al giorno d'oggi, sostiene questa tesi, basta prendere l'incipit di Faccetta nera. L'illusione coloniale italiana di Arrigo Petacco, uscito gli scorsi giorni per Utet. Già, perché Petacco mette in piedi un discorso che, oltre a essere sempre corroborato da dati e fonti ricavate il più possibile direttamente, è anche molto pop, con impennate che coinvolgono il costume, la società e anche l'immaginario dell'epoca. Così, pagina dopo pagina, Faccetta Nera, oltre a raccontarci le percezioni delle italiane e degli italiani di allora, ci fa comprendere meglio anche il modo di pensare "dall'altra parte", ovvero da parte etiope e anche, in larga misura, inglese.
Che cosa ha portato nomi come Adua o Menelik a passare da sconosciuti toponimi di difficile rintracciabilità sulla cartina geografica a veri e propri chiodi fissi nella testa degli italiani che li porteranno a manifestare a milioni in piazza nel momento in cui Mussolini dichiarerà conquistata Addis Abeba? Petacco è molto abile a spiegare il cambiamento di mentalità degli italiani, passati, nel breve volgere di un decennio, da "Nazione stracciona e con le pezze al sedere" a "Nazione popolosa desiderosa del proprio posto al sole".
Grande artefice di questa trasformazione è stato, ovviamente, Benito Mussolini che, saldamente al potere dal 1922, all'alba di metà anni Trenta era nel momento di massima auge. Osannato in Patria e rispettato all'estero, il Duce della Rivoluzione Fascista aveva un solo obiettivo: vendicare le vergognose sconfitte dell'Italietta di fine secolo in terra africana e ritrovare, finalmente, la vocazione imperiale dell'Italia.
Ecco che l'Etiopia, con tutto il suo mistero e la sua vastità era la vittima designata. Certo, nonostante i tentativi già menzionati da parte italiana di fine '800, perché era l'unico Stato africano libero ma anche perché riuscire a mobilitare uomini e mezzi così distanti dalla Madrepatria avrebbe rappresentato per l'Italia fascista una doppia vittoria: e di conquista, e di autorevolezza continentale.
Ecco perché, spiega Petacco, la conquista dell'Etiopia per mano italiana fu un'impresa degna di nota, soprattutto se si pensa da dove si partiva, ovvero da un esercito sottosviluppato e male armato. Conquista tanto degna di nota quanto, praticamente impossibile da spiegare, fu incredibile la rapidità della disfatta italiana. La sconfitta da parte degli Eserciti di Sua Maestà, che già nel 1940 erano padroni incontrastati di tutti i domini italiani in terra africana, secondo Petacco si può spiegare non tanto con un'inferiorità di uomini e di mezzi (in realtà dato non vero, in quanto, almeno nelle prime fasi del conflitto, le forze erano fortemente squilibrate per l'Italia) ma con una mancanza di un condottiero.
Tuttavia Petacco non tratta solamente questioni militari. Parla anche della società dell'epoca, fortemente attratta dall'immaginario esotico dei paesaggi africani e delle dolci "sciarmutte", le ragazze etiopi e somale di grande bellezza protagonista della celebre "Faccetta nera". Ma non solo. Si trattano anche interessanti aspetti della vita di tutti i giorni nelle città dell'Abissinia, come il fatto di rimarcare come gli italiani si prodigassero come mai nessun popolo occidentale colonialista nell'opera di costruzione di edifici, infrastrutture e strade.
Per quanto concerne l'accusa di aver usato i gas tossici in combattimento e di violenze contro la popolazione locale, Petacco sfuma i toni e gli animi, dando sempre e comunque al lettore più le luci piuttosto che le ombre della conquista italiana. Qualche dubbio permane, sopratutto se si fa il raffronto tra la dovizia di particolari, ad esempio, della vita notturna di Addis Abeba rispetto alla carenza di trattazione per l'appunto delle atrocità di matrice italiana.
Nonostante questi dubbi, il lavoro di Petacco è egregio e ci consegna un ritratto fresco e scevro di retorica di quella stagione così importante, nel bene come, soprattutto, nel male della nostra Storia. "Faccetta nera" ancora oggi ci fa inorridire certo, per tutto quello che porta con sé, ma leggendo questo libro saremo molto più consapevoli dei motivi di questi sentimenti.
Mattia Nesto