Storia di una famiglia perbene
di Rosa Ventrella
Newton Compton, 2018
pp. 320
€ 10,00
€ 0,99 (ebook)
«Mia nonna aveva capito tutto. Io ero una mala carne».
Con Storia di una famiglia perbene, suo terzo romanzo, la scrittrice Rosa Ventrella torna in Puglia, precisamente a Bari, sua città natale. La storia si svolge nel triangolo della città vecchia, un dedalo di viuzze e piazzette compreso tra piazza del Ferrarese e la Basilica di San Nicola.
A cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta Bari vecchia, lungi dall'essere il centro storico alla moda e folcloristico che è oggi, è un rione soffocato da angusti palazzi bianchi e popolato da pescatori, monelli, zitelle e commari sedute sulla soglia di casa. È in questo contesto che conosciamo Maria De Santis, la narratrice, soprannominata Malacarne.
La cosa non mi dispiaceva perché tutti nel mio quartiere avevano un soprannome che si tramandava di padre in figlio. Chi non ne possedeva uno, non ne faceva un vanto perché, agli occhi degli altri, poteva solo significare che i componenti di quella famiglia non si erano distinti né nel bene né nel male e, come diceva sempre mio padre, era meglio essere disprezzati che non essere conosciuti affatto.
Minuicchie, Mangiaveln, Popizz e Cagachiesa sono le comparse della storia di Maria, caratteristi da commedia, pieni di difetti ma in fondo buoni. All'estremo opposto ci sono i Senzasagne, i boss del quartiere, che trafficano in droga e altri affari loschi. Buoni e cattivi sono poi riuniti dall'identità di "bari vecchiano", una sorta di collante fatto di simpatie, di paura o rispetto, ma anche di un reciproco riconoscimento. Il dramma di uno, agnello o leone che sia, è il dramma di tutti.
Quanto a Maria, da bambina è un diamante grezzo: nonostante cresca in un contesto disagiato, con un padre violento e un fratello mezzo delinquente, spicca subito come la più brava della classe. Unica del quartiere, Maria prosegue gli studi fino all'università ed è pure l'unica tra i De Santis ad essere risparmiata dalle violenze dal padre. L'intera famiglia punta su di lei per un salto di livello: qualcuno, finalmente, di cui essere orgogliosi.
La sua diversità porta Maria a non avere amici nel quartiere. Lei, invece, vorrebbe esserne accolta e integrata; vorrebbe, soprattutto, essere libera di stare con Michele. Il suo unico amico è proprio un Senzasagne. Anche lui, ovviamente, è l'eccezione della sua famiglia, ma a differenza di Maria non ha possibilità di riscatto, sicché il loro è un amore impossibile.
Finché restavamo intrappolati in quei cinquanta passi di mezzo, saremmo rimasti sempre 'na Malacarne e 'nu Senzasagne, e insieme avremmo dato vita solo ad altri alberi secchi, aridi e marci.
Malacarne è l'unica ad uscire dal quartiere: l'istruzione, infatti, è il suo biglietto per il mondo di fuori, il suo lasciapassare per le vie eleganti della città e prima ancora per un modo di pensare meno asfittico.
Quell'angolino di aula che era il mio banco con il tempo si era trasformato nel trampolino di lancio per arrivare in un'altra dimensione (...). Da una parte, la bolla d'aria tumefatta e fetida dentro la quale galleggiavano le nostre case, tutto il quartiere fino al lungomare, dall'altra il mondo in alto (...) una realtà diversa.
Non che là fuori, oltre corso Vittorio Emanuele, il mondo sia rose e fiori: al bigottismo di Cagachiesa si sostituisce l'invidia delle suore, i dispetti delle ragazze ricche prendono il posto dei pettegolezzi dei Mangiaveln. Per Maria sembra non esistere un vero e proprio posto nel mondo (tranne, forse, le braccia dell'amato).
Sebbene il nucleo della trama sia la love story tra Maria e Michele, intuibile fin dalle prime pagine, un ruolo centrale, da protagonista, lo gioca proprio il quartiere. Il rione ha un'identità così forte (e ben descritta, ne va dato atto) da agire da vero personaggio nella storia. C'è poco dialetto, ma l'ambiente è ben costruito e anche l'ambiguità del rapporto tra Maria e la città ha dei tratti molto interessanti.
Francesca Romana Genoviva