Di Katherine Mansfield
Elliot, 2018
Traduzione di Emilio Ceretti
pp. 80
€ 8,50 (cartaceo)
Un paio di mesi fa è uscito questo libricino per Elliot edizioni, casa editrice che vanta un catalogo decisamente interessante. Prima di ogni considerazione critica sull’opera, togliamoci il pensiero e partiamo da alcune perplessità legate alla scelta editoriale. La prima, riguarda la decisione di proporre al pubblico quello che, pur essendo un testo molto bello, è un racconto singolo, di un’autrice molto apprezzata dagli anglisti lettori di short story e già presente, per esempio, nell’edizione di tutti i racconti di Mansfield curata anni fa da Maura del Serra per Newton Compton Editori. Scelta curiosa, di cui riconosco tuttavia il pregio di una nuova, molto attenta, traduzione e la cura dell’oggetto libro qui proposto. Altra perplessità – e questa, lo ammetto, è una critica che mi trovo spesso a fare, in riferimento a testi ed editori differenti – riguarda la mancanza di un adeguato apparato critico-bibliografico e del testo originale a fronte: il racconto, a mio parere ancor più del romanzo, necessita in molti casi di un’analisi critica adeguata, data da un apparato che possa guidare anche il lettore non specializzato in questa forma ad approcciarsi al testo con gli strumenti utili per contestualizzarlo nel panorama storico letterario e svelare il mistero intrinseco nella forma breve.
Detto ciò, Sulla baia, scritto da Mansfield nel 1921, ha in sé molti degli elementi formali e tematici caratteristici della produzione letteraria dell’autrice neozelandese e si apre, come i testi migliori, a molteplici spunti di riflessione.
La baia di Crescent, in Nuova Zelanda, è sfondo ideale per mettere in scena frammenti di vite e conflitti della manciata di personaggi che Mansfield tratteggia in queste pagine. Non solo ambientazione, ma quasi personaggio essa stessa, la baia apre e chiude il racconto, si fa viva, pulsante, un tratto piuttosto caratteristico dell’autrice, che regala immagini meravigliose, costruite di colori, suoni, profumi. Uno sfondo vivo, mutevole, reso molto bene dalla traduzione di Emilio Ceretti. Lì, alle spalle della baia, si muovono i personaggi del racconto: Mansfield crea piccoli frammenti di queste vite – il frammento, cuore pulsante della short story – componendo quasi micro storie autonome per ognuno di loro e tutte ugualmente potenti, soprattutto quando il suo sguardo si posa sull’universo femminile. O, più precisamente, sulla sfera intima, sulla costruzione psicologica del personaggio, fra i tratti caratteristici della narrativa modernista in parte anticipata dalla short story inglese di fine Ottocento. Un microcosmo di donne di cui l’autrice rivela conflitti psicologici in un gioco di luci ed ombre, detto e non detto, che divengono il cuore di una modalità narrativa in cui il plot ha, in fondo, rilevanza minore. Perché, appunto, l’attenzione è tutta sul momento, sul frammento di quelle vite, sulla psicologia dei personaggi.
La short story, inoltre, da sempre permette agli scrittori un grado di sperimentazione tematica e linguistica maggiore rispetto al romanzo che, nel testo in questione, si rivelano per esempio nella riflessione su desiderio e sessualità femminile, sul matrimonio, il ruolo della donna. Ma è, soprattutto, in quelle brevissime eppure fondamentali considerazioni sulla maternità che questo racconto colpisce anche il lettore moderno per il costante dialogo con la contemporaneità che solo certi autori riescono ad intrecciare a distanza di così tanto tempo:
Sì, questa era la cosa che più rimproverava alla vita; questa era la cosa che non riusciva a capire. E invano se ne chiedeva incessantemente il perché. Era facile dire che la sorte comune delle donne è di mettere al mondo i bambini. Non era vero. […] La maternità l’aveva depressa, stremata, scoraggiata. E ciò che rendeva la cosa ancora più penosa era che non amava i propri bimbi. Inutile fingere. (p. 35)
È solo un lampo, ma tanto basta. Certo, la forza di questa immagine è smorzata poco dopo da una parziale riconsiderazione, eppure, ciò che la donna protagonista della scena si spinge a pensare, rimane impresso sulla pagina. Un breve brano che mi richiama alla mente uno dei racconti più intensi e celebri di George Egerton, A Cross line, tra le autrici più innovative della fin de siècle inglese: Egerton indaga sessualità e desiderio femminile con una forza e un’onestà sorprendenti, legando il discorso alla maternità e ad un istinto non per forza innato nella donna. Anche in quel caso, poco importa se la protagonista, infine, sembra scoprire dentro di lei tale istinto materno che non credeva di possedere; quel che resta e che conta è la forza delle immagini evocate, l’indagine psicologica dei personaggi femminili e, appunto, il desiderio di spingere la narrazione da un punto di vista linguistico quanto tematico decisamente nuovo, sperimentale, lontano dai canoni del novel di stampo vittoriano.
Luci ed ombre, attenta indagine psicologica, desiderio di sperimentazione, frammenti di vita a comporre il racconto: Sulla baia resta, nonostante le perplessità in apertura, un testo fondamentale nella bibliografia di un’autrice con cui ancora oggi non possiamo fare a meno di confrontarci.
Di Debora Lambruschini
Di Debora Lambruschini