Di vite possibili e reali: un altro anno di "racconti dal carcere"

Avrei voluto un’altra vita. Racconti dal carcere
a cura di Antonella Bolelli Ferrera
Giulio Perrone editore, 2018


pp. 269 
€ 18,00


Dopo aver seguito le edizioni passate del Premio Goliarda Sapienza (qui e qui le recensioni), quasi con trepidazione aspettavo di poter leggere i nuovi racconti, raccolti in un'opera dal titolo come sempre emblematico e tratto da uno dei testi finalisti: Avrei voluto un'altra vita. A differenza degli anni scorsi, la selezione è stata preceduta da un laboratorio di scrittura in e-learning a cui hanno partecipato sessanta detenuti, affiancati da personaggi autorevoli del panorama letterario che li hanno aiutati a produrre il loro elaborato. È interessante notare che, come osserva Antonella Bolelli Ferrera, ideatrice e curatrice del progetto, "i più avvantaggiati sono stati i detenuti di lungo corso, perché i molti anni di carcerazione e la prospettiva di tornare chissà quando in libertà li hanno avvicinati da tempo alla lettura, primo indispensabile passo verso la scrittura" (p. 10).
Ecco allora che, con un imprevedibile sovvertimento del pensiero comune, la prigionia può diventare una risorsa, un vantaggio, perché offre qualcosa che manca ai più inesperti: il tempo per conoscersi meglio, per riscoprire se stessi e le proprie abilità, per attribuire alla cultura il valore che le spetta di strumento salvifico e necessario all'esistenza. Non è un caso che, tra i selezionati, rientrino nomi che abbiamo già imparato a conoscere: ad esempio Giuseppe Rampello e Salvatore Torre, che non deludono e vanno maturando, di più ogni anno che passa, uno stile personale e riconoscibile, e un gusto per la parola che rende i loro racconti avvincenti e sempre in grado di sorprendere. "Cose che capitano a Palermo" è forse il più articolato e ben costruito tra i testi della raccolta. Gli ruba il primo premio "Sette pazzi" di Edmond, che riesce con termini precisi ed evocativi al tempo stesso a rendere il dolore e la fragilità della condizione carceraria:
Certo non sono finito per sbaglio in carcere: la mia vita è stata piena di errori. Ma mi sento così lontano da ciò che ero quando ho commesso quelle azioni, che inevitabilmente sono ancora più perso, e perdersi tra i perduti non aiuta. Non mi sento un uomo, ma un castello di lego; ogni giorno il mondo mi smonta, ed io ogni volta mi ricostruisco; però ogni volta lo faccio diversamente. Per esempio oggi ho dimenticato di costruire le torri a difesa del mio castello, e mi sento così vulnerabile, indifeso; in questo posto che attacca di continuo, ho paura persino delle cose più sciocche: sono come un pezzo di cristallo che reagisce solo una volta che si è infranto. (p. 50)
Rispetto ai volumi precedenti, sono molte le novità, anche a livello formale: non esiste più una divisione tra giovani e adulti, e i testi non sono più introdotti singolarmente da prefazioni di tutor illustri. La raccolta ne guadagna in integrità, diventa più compatta e più coesa, aumentano lo spazio e il rilievo concessi ai racconti. Rimane prevalente la voce maschile, anche se una specifica menzione viene riservata, in sede di premiazione, al racconto femminile più votato. Negli scritti delle donne si trovano ferite profonde, ma anche grande capacità analitica, il dono di fare in poche parole la sintesi di un'esistenza, di uno stato di malessere: "andando avanti le sue parole divennero le mie azioni" (p. 62); "dicendo la verità alla polizia: che non ce la facevo più, che o moriva lui o continuavo a morire io, lentamente" (p. 65); "quel tipo di vita era solo l'inizio del disfacimento totale" (p. 124). È però paradossale che una delle figure femminili più convincenti si ritrovi e parli in prima persona nel brano ideato da un uomo: "Non chiamatemi Guendalina" di Eugenio Deidda è un testo che riesce a essere duro, ma anche poetico, che si muove tra la brutalità dell'esistenza e un viscerale bisogno di rinascita.
Ma io sono semplicemente inquieta in questa cella, come inquieta è la mia vita, inquieto il divenire. Dov'è la luce che porta via l'ombra, dov'è il sole che aspetto da tempo, dov'è l'amore, dov'è mio figlio? (p. 169)
In alcuni casi, quando l'emotività prevale sul controllo, i testi si rivelano sovraccarichi di contenuti e ingenui nelle modalità espressive. Si percepisce quindi una forte istanza di verità dietro la narrazione, anche se il racconto perde forse in raffinatezza letteraria. La capacità di distaccarsi dal vissuto ed entrare in un contesto puramente finzionale – seppur ispirato al reale – produce esiti inaspettati, esplorazioni coraggiose, esperimenti improbabili e riusciti: è il caso di "419403 Tu sei l'aggiornamento", opera di fantascienza ambientata in un universo distopico in cui il sentimento umano diventa fattore di possibile distruzione; o ancora di "Allegoria di un'espiazione. Senza attenuanti", dove il realismo lascia spazio al sogno e il protagonista si perde in quella che crede un'ascesa purgatoriale, quando non gli è dato che l'inferno. 
Da tutti i racconti, per quanto diversamente declinato, emerge il tema portante delle scelte e delle loro conseguenze, delle vite rovinate dalla violenza e dall'incuria affettiva, dall'inadeguatezza degli ambienti e delle figure di riferimento, ma soprattutto dalla propria incapacità di vedere lucidamente. Non ci sono scusanti nei testi, pochissime le autoassoluzioni. Il desiderio forte di riscatto emerge più che altro all'esterno del testo, dalla decisione di scrivere il testo, dalla consapevolezza che le parole possono costituire una forma di evasione e liberazione dello spirito, laddove il corpo deve rimanere segregato. Questo è il motivo per cui tante di queste storie andrebbero lette e discusse con un pubblico di giovani e giovanissimi: per educarli alla responsabilità di se stessi, che non è disgiunta dalla voglia e la necessità di raccontarsi. 

Carolina Pernigo




La parola salva, lo diciamo spesso, lo ripetiamo convinti. La parola apre finestre anche dove il cielo viene visto prevalentemente attraverso le grate. Ce lo dimostra ogni anno il #premiogoliardasapienza, i cui racconti finalisti vengono pubblicati in volumi dai titoli sempre molto densi di significato: questa è la volta di "Avrei voluto un'altra vita", edito da @giulioperroneditore, che si interroga sul destino e le scelte, con testi scritti da reclusi che hanno trovato nella narrazione una via di riscatto e di fuga da una condizione esistenziale che pareva immutabile. @quinquilia lo sta leggendo e le impressioni avute nelle scorse edizioni confermano tanto la validità del progetto, quanto quella letteraria dei testi che ne sono scaturiti. Voi ne avevate già sentito parlare? #antonellabolelliferrera #prigione #carcere #detenzione #narrativacarceraria #letteredalcarcere #raccontidalcarcere #giulioperroneditore #instabook #instalibro #bookstagram #bookoftheday #bookish #igreads #igbooks #readingnow #newbook #bookaddict #booklover #cover #bookcover #inlettura #cosebelle
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