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Sognare di più per vivere meglio: "Il sogno di d'Alambert" di Denis Diderot e "Il sogno di una rosa" di Eugenio Scalfari

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Il sogno di d'Alambert
di Denis Diderot
Il sogno di una rosa
di Eugenio Scalfari
2018, Edizione Speciale GEDI

pp. 156
€ 10



Questa è una recensione molto particolare perché particolare ne è l'oggetto: infatti si tratta di un libro doppio e "speciale", un'iniziativa editoriale nata quasi per scommessa ma che, proprio nella sua natura doppia, trova la sua ragione d'essere. Stiamo parlando de Il sogno di d'Alambert di Denis Diderot, conte philosophique capisaldo del modo di comportarsi occidentale e Il sogno di una rosa, l'appendice che nel 1984 Scalfari scrisse per Sellerio da grande ammiratore dello stesso Diderot. Ora è chiaro che, come primissimo dato, emerge con forza l'arditezza di Scalfari, non nuovo a dare del tu ai grandi non soltanto della politica ma anche del pensiero mondiale. Detto questo il volumetto uscito in questi giorni assieme a Repubblica o l'Espresso in edicola è un testo interessantissimo, proprio nella sua natura doppia. Due uomini, diversamente grandi, che conversano (l'arte della conversazione qui è parte integrante del discorso filosofico) sulla realtà di un mondo essenzialmente materiale e che grazie al pensiero ed ad una buona dose di ironia si può "pensare in toto".
Chiaro ed evidente che questo volume, come ricordato proposto in edicola, non può non essere letto con le lenti del presente. In tutto il libro, sia nella parte di Diderot come in quella di Scalfari, spia un'aria essenzialmente positiva, non positivistica, in cui si fa affidamento al pensiero e alla già citata ironia, per dipanare e districare il presente.

Nella conversazione tra il dotto Bordeu e Madame de l'Espinasse si possono facilmente rintracciare i principi fondanti del pensiero di Diderot, attento com'è ad inserire, sempre in punta di penna, tutto il suo credo nelle pieghe del discorso: un credo che è essenzialmente materialista e materialistico, presentandoci un mondo che si può conoscere tutto, integralmente grazie al ragionamento ed ad una visione analitica delle cose. Certo questo non un processo facile, occorre allenamento e costanza ma, lungi dagli echi spiritistici che, anche nel "suo" Settecento comunque non erano mai domi, si tratta di un processo che tutti possono compiere.

L'appendice di Scalfari, per così dire, completa e allarga l'analisi di Diderot inserendo una maggiore dose sia di ironia come di malinconia, un po' la cifra stilistica del giornalista fondatore di Repubblica (oltre che una specie di repulsione/fascino per gli uomini di potere). Scalfari infatti non si discosta dal ragionamento di Diderot ma, con riferimenti più o meno cifrati nel testo, pare avere seri dubbi sulle concrete possibilità che il mondo (ma si può leggere la realtà) sia per davvero integralmente comprensibile e spiegabile. Certo, il Diderot di Scalfari è più maturo e scafato degli alter ego originali, ma è anche e soprattutto più malinconico nei confronti di Madame de l'Espinasse ed anche un poco più libertino.

Insomma, Scalfari, nonostante non abbia scritto questo testo in così tarda età, ci appare in tutta la sua crepuscolarità ed evocando "il fantasma" di Diderot ci dice che sì, forse la realtà non si può conoscere tutta tutta ma che è comunque bene crederci altrimenti i fantasmi ci sconfiggerebbero ancora una volta e dalla luce della ragione ripiomberemmo nei baratri infernali della superstizione.

Se è vero come è vero che, come diceva Fontenelle, "a memoria di rosa, non si è mai visto morire un giardiniere", è vero anche  che per raggiungere la verità in assoluto, forse, occorre qualche bugia. Scalfari non ce lo dice chiaramente, così come Diderot, ma il lettore li può vedere in un angolino di un bel salotto a ridersela di gusto.

Mattia Nesto