Heidi
di Francesco Muzzopappa
2018, Fazi Editore
pp. 230
€ 15,00
€ 15,00
Io non sono felicemente incasinata. Sono incasinata e basta. È da milioni di settimane che non riesco a sedermi dal parrucchiere per farmi dividere il cranio in sezioni e impacchettare le ciocche nella carta stagnola per dare al mio castano una luce in più. E se non ho tempo per i capelli, ne ho ancora meno per fare esercizio fisico. L'unica disciplina sportiva a cui mi dedico con costanza è masticare, soprattutto carboidrati. [...] Se sono stata progettata per espandermi nel cosmo è inutile oppormi. Cerco solo di non strafare.
Chiara lavora a Milano per una rete televisiva, la Videogramma, dove si occupa di casting. Dico solo "lavora" e non "vive" perché il tempo libero da dedicare ad altro che non siano le file di aspiranti talenti per reality e cooking show è veramente ridotto al nulla. La situazione peggiora quando il padre, ai suoi tempi celebre e feroce critico letterario, oggi malridotto per via della demenza senile, viene espulso dalla casa di riposo. Chiara è quindi costretta a portarselo a casa, a cercare qualcuno che la aiuti fino a che non trova una nuova sistemazione: inoltre deve produrre nuovi format trash per la sua rete televisiva che, incarnata nella laida figura dello Yeti, minaccia di licenziarla. Unendo a tutto questo il fatto che il badante del padre è un gran bel ragazzo e che il padre è fermamente convinto di vivere tra le Alpi e che lei sia Heidi, ci sono tutti gli elementi per una commedia dal retrogusto dolce amaro. Se i monti non ti sorridono, almeno Milano può strapparti una risata.
Far ridere è una delle cose più difficili che ci siano, in letteratura come nella vita. Far ridere in maniera intelligente aggiunge un ulteriore grado di difficoltà: ridere per una scivolata su una buccia di banana è possibile. Far ridere su un possibile licenziamento, un padre malato e una vita fatta solo di lavoro a Milano, non è uno scherzo. Perché scorporando i singoli elementi che compongono la vicenda raccontata in Heidi, l'ultimo romanzo di Francesco Muzzopappa, ci si accorge che di divertente c'è davvero poco: però Muzzopappa, già forte delle sue Fiabe brevi che finiscono malissimo realizzate in collaborazione con SIO, riesce a strappare risate genuine per tutta la durata del romanzo.
Heidi, narrato tutto in prima persona dallo sguardo di Chiara che rompe spesso e volentieri la quarta parete rivolgendosi al lettore, è una carrellata infinita di personaggi e casi umani divertenti dal primo all'ultimo; anche quando sono tra i peggiori esempi di esseri umani a essere presentati.
Il mondo della televisione offre un campionario praticamente sconfinato: le "Mio Dio", suore attempate che adorano i Rolling Stones, "Bernie" il lanciafiamme che incendia le proprie scoregge, "Jhonny Bug" l'addomesticatore di pulci della frutta, sono solo alcuni dei talenti che le si presentano davanti e lei, per ciascuno di essi, deve riuscire a trovare un programma, un talent, una trasmissione che realizzi i loro quindici minuti di notorietà. Non solo gli aspiranti partecipanti ai reality, ma anche i colleghi offrono una finestra sull'umano che ha dell'incredibile: dalla sequela di autori di format identificati solo da una caratteristica fisica come "Autore Molto Giovane con Folta Barba Hipster", al capo, detto Yeti. L'esempio del peggiore tipo di capo in circolazione: sostanzialmente incapace, strabordante testosterone, manipolatore, intimidatorio è qui pennellato come una macchietta, come un villain ridicolo. Un Gargamella cattivo nel profondo, ma di fatto eliminabile da un bel Riddikulus di potteriana memoria.
La vicenda familiare è quanto di meno divertente si possa immaginare: uno dei più feroci e invisi critici letterari del Corriere è ora ridotto a un uomo che alterna momenti dei giudizi letterari del passato alla ferma convinzione di essere il nonno di Heidi e di dover salvare Fiocco di Neve e di riconoscere in ogni cane della strada Nebbia, lasciando Chiara sempre meravigliata e ferita.
Sì, ma senza esagerare, rispondo, ancora una volta stupita dei suoi ricordi così vividi quando c'è da citare, con accento perfetto, un romanzo russo, e al contempo così appassiti quando si tratta di chiamarmi per nome.
È
divertente. Come ogni follia dall'esterno fa ridere per il surrealismo di certe situazioni, ma proprio perché Chiara rompe la quarta parete chiamando il lettore a giudizio, il divertimento sfuma e lascia spazio alla stretta allo stomaco. Perché leggere del decadimento di una persona in cui finiamo inevitabilmente per vedere il nostro padre, i nostri nonni, può far sorridere solo fino ad un certo punto. L'autore però alleggerisce anche questa tragedia familiare, sfumandola e trasformandola persino in qualcosa che può diventare utile a Chiara: cosa c'è di meglio dei deliri di un pazzo (magari anche un po' drogato per aiutare le sue associazioni) per elaborare nuovi format televisivi di successo, il meglio della TV spazzatura?
Non manca nemmeno la storia d'amore, anche qui divertente e per nulla scintillante e glamour come ci si aspetterebbe da una milanese in carriera; non si risparmiano le stoccate ironiche al modo di vivere di Milano, dall'ossessione per il tempo, al lavoro esasperato, alle milanesi sempre perfette in tiro dette turbofighe che hanno i capelli tirati con la fiamma ossidrica, non c'è aspetto di vita che non venga deformato dalle boccacce e dai dialoghi fulminanti dell'autore. E fa capire che servirebbe uno schermo di difesa fatto di risate per affrontare ogni cosa: dalla possibilità di licenziamento alla necessità di portare le capre a pascolare.
Giulia Pretta
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