La storia del comunismo in 50 ritratti
di Paolo Mieli
illustrazioni di Ivan Canu
Centauria, 2018
pp. 159
€ 19,00 (cartaceo)
Che cosa hanno in comune Che Guevara e Renato Guttuso? Bertolt Brecht e Pier Paolo Pasolini? Sergej Eisenstein e Dolores Ibárruri? Pablo Neruda e Tito? Luchino Visconti e Mao Tse-tung? La risposta (e comunque solo una delle risposte possibili) è che furono tutti, in vari momenti storici e con varie saturazioni di rosso, comunisti. Di un comunismo dichiarato e agito, incarnato e realizzato in questo mondo nelle più disparate localizzazioni geografiche. Uomini e donne fedeli a un credo politico tanto nell’esaltazione quanto nella critica, con una percentuale importante di artisti. Alla loro memoria – e a quella di altri quaranta personaggi significativi – la casa editrice Centauria ha recentemente dedicato un originale volume commemorativo, con i testi dello storico e giornalista Paolo Mieli e le illustrazioni di Ivan Canu. Un furbo e apologetico amarcord destinato agli ostinati nostalgici di una certa sinistra che fu? Tutt’altro.
Come spiega l’autore in apertura, La storia del comunismo in 50 ritratti è, per così dire, il sequel fatto libro di uno spettacolo, dal suggestivo titolo Era d’ottobre, andato in scena per la prima volta al Festival dei Due Mondi di Spoleto nel 2017, e da lui ideato proprio per il centenario della Rivoluzione d’ottobre (1917-2017). Il desiderio di restituire dignità di “rappresentazione” anche a quei protagonisti della storia del comunismo a cui la sorte (ovvero la storia, la politica, i sodali di partito…) aveva spesso riservato l’oblio si è dunque ulteriormente tradotta in un volume originale, che vive, sì, nel connubio felice di parole e immagini, ma la cui accattivante confezione non deve trarre in inganno: il bellissimo “oggetto” che il lettore si trova tra le mani, curato nei minimi dettagli (colpisce subito la gradevolissima texture della copertina, per non parlare della veste grafica) è molto di più che un feticcio per (un)happy few, perché le schede biografiche stilate da Mieli e i ritratti di Canu fanno pensare a tutto fuorché a un repertorio di “santini” in rosso. Lo si capisce già dal saggio iniziale che precede i profili veri e propri, in cui lo storico e giornalista ripercorre senza troppi sconti le evoluzioni e gli snodi principali dell’ideologia e delle sue manifestazioni terrene: una grande griglia interpretativa che arriva fino ai nostri giorni senza alcuna pretesa di chiudere il cerchio, dal momento che già la lettura successiva dei 50 profili, tutti ugualmente ricchi di sfumature e di contraddizioni, impedisce ogni giudizio definitivo, e anzi si apre a nuove ricerche e nuove riflessioni (favorite quasi sempre dalla distanza storica ormai raggiunta).
Per nulla scontate, anzi fitte di rimandi simbolici e di dettagli nascosti – e dunque, proprio per questo, perfette nella loro funzione di contrappunto – sono anche le illustrazioni di Ivan Canu. Da parte sua, il disegnatore sembra avere rinunciato programmaticamente alla referenzialità tipica del ritratto ufficiale e celebrativo, preferendo proiettare su ciascuna personalità uno sguardo straniante, che nel frequente ricorso all’ironia esorcizza la sacralità dell’effetto-icona. Ma non si ride, anzi. Si può giusto sorridere nel vedere, per esempio, Lev Trotzkij in una posa identica a quella di Frida Khalo nella celebre copertina che le dedicò una nota rivista: così, mentre i simboli del partito sono ripetuti sullo sfondo a mimare la tappezzeria botanica della foto originale, un vero fiore gli adorna i capelli banchi alla maniera consueta dell’artista messicana, lei che per un breve periodo lo ospitò in Sudamerica e ne fu anche l’amante; macabro reminder in avampiano è invece una falce, che non a caso stavolta si interseca con la piccozza da ghiaccio (insanguinata) con cui Ramon Marcader gli fracassò il cranio nel 1940 a Città del Messico. E che dire, invece, di Nicolae Ceausescu? Il famigerato Conducator (altrimenti detto Stella del mattino e Dio secolare) si affaccia da un palchetto che ricorda nel contempo una tribuna elettorale e giudiziaria, con cinque fucili puntati al posto degli abusati microfoni a ricordare l’esecuzione sotto i cui colpi cadde insieme con la moglie il giorno di Natale del 1989. E non va meglio a Fidel Castro, dal momento che il profilo del leader della Rivoluzione cubana si allarga come una pozza di rum sul tavolino di un bar, macchia scura tracimata da un bicchiere capovolto che confonde il suo aroma con quelli di un sigaro spento e di un lime tagliato a spicchi, correlativi oggettivi di un mondo sempre sospeso tra (ir)realtà e (auto)rappresentazione.
Si potrebbe continuare a lungo, e volendo si potrebbe finanche dedicare un piccolo saggio a ciascuna tavola, dal momento che non di semplici figure accessorie si tratta ma di vere e proprie opere compiute, capaci di dialogare sia con la storia dell’arte (si guardino, tra gli altri, il ritratto di Lenin, con il palese omaggio al pittore suprematista russo Kasimir Malevič, oppure quello di Rosa Luxemburg, tracciato con uno stile xilografico che omaggia la specialità grafica tedesca) sia con i testi dello storico, esaltandone gli accenti ora critici, ora violenti, ora malinconici. Per questo siamo affettuosamente alle spalle di un sorridente Enrico Berlinguer sul palco del comizio in cui, nel 1984, venne stroncato da un’emorragia celebrale, e sempre per questo, parimenti, stiamo sornioni e appollaiati su un cornicione con Italo Calvino, tra le ombre di alberi di (sua) romanzesca memoria; per questo vediamo la celebre voglia sulla fronte di Michail Gorbaciov assumere i contorni di un’Europa scarlatta che non c’è più (mentre restano le tracce video della sua ospitata al Festival di Sanremo del 1999), o contempliamo con orgoglio il profilo di Antonio Gramsci farsi in quattro sulla bandiera dei Quattro Mori, lui che a chi lo conobbe dal vero parve troppo minuto in confronto alla sua gigantesca statura intellettuale. E se è vero che il rosso è il filo conduttore cromatico di questi cinquanta ritratti, non meno importanza hanno i dettagli grafici: pugni chiusi al posto di stelle nella bandiera degli USA (Angela Davis), teschi umani accatastati l’uno sull’altro a costruire macabri scranni (Pol Pot), identità frammentate come tessere di puzzle (Kim Philby) oppure da ricostruire enigmisticamente collegando i puntini numerati (Andrej Zdanov).
La storia del comunismo in 50 ritratti, nel suo desiderio di ricordare senza apologie alcuni protagonisti dimenticati di quello che Mieli definisce il “socialismo in terra”, porta con sé la formula della moltiplicazione potenzialmente infinita: dopotutto, se è vero come è vero che la sua forma iniziale è stata quella di uno spettacolo teatrale, non sarebbe del tutto illegittimo attendere almeno un bis. Per ora sciogliamo i pugni e applaudiamo al risultato, che nel fare i conti con molti temibili “spettri” ha evitato uno dei più inquieti, ovvero quello della retorica.
Cecilia Mariani
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