Holden & Company.
peripezie di letteratura americana
da J.D. Salinger a Kent Haruf
di Luca Pantarotto
Aguaplano, 2018
pp. 115
€ 15 (cartaceo)
Philipp Meyer è uno scrittore che non
mi piace gran che, lo trovo banale e sopravvalutato; in particolare,
Il Figlio mi dà l’idea di un polpettone predigerito e scontato,
pur riconoscendo qualche nota positiva, come una certa dinamicità nel narrato o l’assenza di cali di tensione.
Un’opinione come un’altra, che di
sicuro non turberà il sonno a nessuno ma che, curiosamente, ha
provocato qualche alzata di sopracciglio e manifestazioni di evidente
incredulità in alcune persone con cui negli ultimi anni mi è
capitato di parlare di questo autore. Persone, fra l’altro,
competenti e con una notevole conoscenza della materia in generale e,
in particolare, del settore; in altre parole, gente che sulla
letteratura americana (quella degli Stati Uniti, per capirci)
potrebbe darmi lezioni per un ragguardevole numero di ore.
La mia avversione per Philipp Meyer è
in realtà la causa che mi ha portato, un pomeriggio di qualche anno
fa in cui navigavo in rete in preda allo sconforto per la mia
incapacità di riconoscere e comprendere cotanto valore letterario, a
scoprire casualmente l’esistenza di un blog il cui autore, in un
post che avrei volentieri stampato e incorniciato, decostruiva in
modo scientifico e argomentato i due principali romanzi di Meyer ed
esprimeva perplessità e una malcelata (non è vero, era proprio
esplicita) insofferenza per l’uso di strategie narrative ormai
esauste e la sovrabbondanza di luoghi comuni. Conseguenza naturale di
questa epifania fu un'attenzione particolare, da parte mia, alle
vicissitudini di questo blog che mi aveva guarito da un
pericolosissimo calo di autostima.
Holden & Company era un blog che
trattava di letteratura americana e che ebbe vita - breve, purtroppo
– tra il 2013 e il 2015. Oggi in rete non c’è più traccia degli
articoli pubblicati, tranne una minima parte trasferita su una
diversa piattaforma, probabile inizio di un lavoro di trasloco
dell’intero blocco mai portato a termine.
Quello che per me rendeva interessante
Holden & Company era il trovare post su autori non sempre famosi,
comunque non solo su quelli conosciuti dal grande pubblico; sì,
c’erano Foster Wallace, De Lillo e Franzen – e Salinger,
naturalmente – ma attraverso H&Co ho scoperto, ad esempio, Don
Carpenter e Wendell Berry, e soprattutto ne ho avuto una
“presentazione” di prim’ordine.
Ma al di là delle scelte sugli autori
da trattare, la cifra caratteristica di questo blog era lo stile dei
post: ironico, diretto, mai pedante o professorale nonostante vi si
trovassero giudizi di merito – argomentatissimi – su scrittori,
scritti e scrittura.
Orbene, se siete arrivati fin qui
avrete capito che lo scopo di questa mappazza è l'endorsement
entusiasta (ecco, adesso il Pantarotto si monterà la testa) di
questo libro che racchiude alcuni dei post più significativi apparsi
sul blog, tra cui - hear, hear - i due articoli in cui il Nostro
analizza i romanzi di Philipp Meyer e ne fornisce una lettura ben
diversa da quella mainstream che li pone incautamente sullo scaffale degli esempi
di Grande Romanzo Americano, quella lettura critica nella quale mi
ero ritrovato pienamente e con notevole sollievo.
Intendiamoci, Holden & Company non è un libro
di stroncature, come non lo era il blog. È un viaggio attraverso la
lettura di tanti autori, più o meno conosciuti, nel quale Pantarotto
presenta la letteratura americana (ma non solo, in realtà), ne
descrive le caratteristiche e le ragioni della grandezza dell’una e
degli altri. Un esempio su tutti, se proprio volete: la collocazione
di Stephen King fra i più grandi romanzieri contemporanei,
elevandolo dal rango di “autore di passaggio”. Potrebbe essere
solo una questione di opinioni, invece Pantarotto riflette e analizza
in modo impeccabile e onesto, mettendo anche in chiaro come la sua
sterminata produzione non sia tutta allo stesso livello, separando
ciò che ha le caratteristiche del capolavoro da ciò che ne è
lontano anni luce.
Un libro davvero interessante, elegante
nell'aspetto e prezioso nei contenuti, che rivelano una profonda
conoscenza della materia e una grande capacità di analisi attraverso
la comparazione di autori, testi e stili diversi in modo approfondito
ed esaustivo. L'unica pecca sta proprio nel numero limitato di
articoli pubblicati, tanto che si potrebbe pensare a uno o più
sequel fino alla riproposizione dell'intero corpus di post apparsi
sul blog. Anzi, penso proprio che lo proporrò all'autore quando ci
troveremo per una serata a base di vin brulé che abbiamo in sospeso.
Anche se non abbiamo ancora deciso chi paga.
Stefano Crivelli