di Anna Maria Lorusso
Laterza, 2018
pp. 140
€ 14 (cartaceo)
€ 8,99 (ebook)
Quanto ci preoccupa ancora l'idea di verità? Sentiamo di continuo parlare in tv e sui giornali di "postverità", ma la pluralità delle definizioni e degli usi è nemica della chiarezza, come precisa fin dal principio Anna Maria Lorusso, che invece nel suo Postverità punta proprio a dissipare i dubbi.
Innanzitutto, nella prima parte del suo studio, Lorusso si occupa di definire e descrivere le caratteristiche della postverità, che non nasce da una netta cesura con il passato, ma anzi è legata all'evoluzione del pensiero profondamente condizionata dall'altrettanto rapida evoluzione mediatica dalla fine degli anni '80 a oggi. Da allora, l'interesse per la tv dell'intrattenimento e della partecipazione si è esteso: basti pensare ai reality onnipresenti, con la declinazione dei talent e la particolarità della real tv. Solo voyeurismo diffuso? No, questo successo è profondamente legato all'ossessione per la realtà tipica del nostro secolo: se un tempo la tv era uno specchio della realtà, ora è diventata una produttrice di realtà, in cui la vita quotidiana viene esasperata e tutto è profondamente legato alle emozioni. L'intimità è ormai diventata un (preoccupante) parametro di veridicità, come sostiene più volte Lorusso: ma se anteponiamo l'esperienza privata e le emozioni al giudizio, dove andremo a finire? E come potremo stabilire la credibilità di una notizia, se mancano capisaldi di giudizio comune?
Lorusso precisa di non voler essere allarmista, ma certamente il panorama che descrive non è dei più rasserenanti: si pensi, ad esempio, al sistema dell'informazione. Se facciamo una ricerca su Google, i risultati saranno diversi da quelli del nostro compagno di treno: perché? Perché un algoritmo riposiziona i risultati in base alle nostre preferenze. La stessa cosa avviene nei social network: non vediamo tutto, ma ciò che è più affine a noi in seguito a ricerche analoghe. Ma è giusto tutto ciò? Soprattutto nel campo dell'informazione, è giusto che sia un algoritmo a preselezionare cosa proporci? O ancora: è un bene che sui social network andiamo a parlare sempre con persone che la pensano come noi, in atmosfere assolutamente protette (le cosiddette "filter bubble"), dove riceviamo conferma delle nostre convinzioni ("confirmation bios") e le dissonanze non sono contemplate?
Un altro caso che Lorusso osserva da vicino è quello dello storytelling, ormai «garante di successo e di persuasione efficace»: ogni narrazione cerca di arrivare allo spettatore colpendolo per via emotiva; la via cognitiva, invece, passa e deve passare in secondo piano. E vediamo bene come ormai la strada finzionale in cui è alta la verosimiglianza, ma non la verità, sia percorsa in tutti gli ambiti, dal marketing alla politica, ribadendo una fragilità moderna: cerchiamo storie, vogliamo emozioni. Ma le emozioni sono manipolabili.
Tuttavia, nella seconda parte - più filosofica - del suo studio, Anna Maria Lorusso si sofferma anche sul concetto di verità; a sorpresa per molti lettori, si scoprirà in queste pagine che la verità non è mera corrispondenza alla realtà, ma adattamento al mondo, e che i fatti non esistono senza una loro interpretazione. Insomma, non esistono senza che a valle ci sia una meditazione; gli stessi concetti di vero o falso non sono tali di per sé, ma in un sistema di riferimento. E in poche ma efficaci pagine, Lorusso arriverà a definire la verità come «un discorso, una possibile bugia, una storia convincente, un accordo». Curiosi di scoprire in che senso? Il libro risponde a tutti questi quesiti, ma ne lascia molti altri aperti: la chiarezza espositiva di Lorusso non può purtroppo colmare i dubbi che tanti di noi hanno e continueranno ad avere su questo presente che vede ormai crollati i capisaldi dei valori. Di chi fidarci? Chi ci porta la verità? La via della condivisione appare l'unica possibile, anche come base per un "contratto sociale" che potrà aiutarci a uscire dall'individualismo spinto, arma disgregante della nostra società.
GMGhioni
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