Per un romanzo col "sole nel piatto" - una gustosa indagine tra i colli bolognesi: l'inizio di una nuova avventura letteraria?

Il tortellino muore nel brodo
di Filippo Venturi
Milano, Mondadori, 2018

pp. 204
€ 18,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


«Quando sentite parlare della cucina bolognese fate una riverenza, ché se la merita» (Pellegrino Artusi).
Diceva così lo storico padre della cucina parlando del capoluogo emiliano, una città che ha dato i natali a molti personaggi celebri e che ora si presta ad ospitare un giallo. Una vicenda investigativa di tutto rispetto, considerato che la vicenda scorre via veloce più di un fresco calice di vino in una torrida sera d'estate e che, più la storia avanza, più le pagine vengono sfogliate velocemente nella febbrile curiosità di conoscere l'esito della storia.
È una tranquilla mattina d'inverno ed Emilio è sulla soglia del proprio ristorante, un'antica trattoria del capoluogo emiliano, e lui, bolognese fino alle ossa, la gestisce come la tradizione vuole: lasagne al ragù – quelle che lasciano il cosiddetto “sole nel piatto”, ovvero la macchia di sugo pronta ad essere ripulita con una scarpetta, eseguita a regola d'arte – tortellini in brodo – chè nel sugo sarebbe un tradimento intollerabile – ed altre prelibatezze del luogo.
«Mi dispiace davvero, ma ci sono cose nella vita che si possono avere e altre no. Il tortellino al pomodoro proprio no. Il tortellino muore nel brodo» (p. 9)
«Ma Emilio ha le idee chiare a riguardo: la trattoria è ancora uno di quei luoghi che probabilmente non salveranno il mondo, ma di sicuro possono rendere migliore una giornata, o perlomeno un paio d'ore. E per fortuna la maggior parte del suoi clienti la pensa come lui. Cercano una cucina che affondi le radici nel passato – la pasta fresca, i sughi genuini, i dolci fatti in casa – ma che sappia riproporsi in chiave moderna. Insomma, cercano un luogo caldo e allegro, vintage ma attuale, che segua la tradizione ma che sia anche attento alle proprietà dei cibi: diete bilanciate e intolleranze. E la trattoria di Emilio è proprio questo: una scatola piena di ricordi e di antichi sapori a cui lui cerca di dare quotidianamente vita.» (p. 41)
Però, Emilio Zucchini, in arte Zucca (quale nome potrebbe essere più adatto ad un personaggio del genere, se non quello di un ripieno?), scapolo impenitente, ancora non sa, che quella mattina la sua vita s'intreccerà giocoforza con quella di altre quattro persone, destinate a cambiargli il prossimo futuro: Nicola, l'amico di sempre, ora abbandonato dalla moglie, fuggita chissà dove, Joe Solitario, ex cantautore dai sogni caduti ora convertitosi ad una vita di piccola criminalità, e infine una coppia di malviventi professionisti, dai nomi d'arte decisamente curiosi (Cico Pop e Mangusta).
In quella mattina tre di questi personaggi si ritrovano alla stessa ora, nello stesso posto, e con un identico scopo: rapinare la stessa banca. La vicenda prende una piega inaspettata e Nicola – capitato lì per caso – viene trascinato nel mezzo della vicenda. Senza svelare troppo della trama, poiché il libro è davvero ben costruito nel calibrare i colpi di scena e i cambiamenti improvvisi, possiamo dire che a causa di questi intrecci Nicola vede sparire sotto i suoi occhi la figlia, rapita accidentalmente da uno dei malviventi. È qui che entra in scena Emilio, il quale, chiamato dall'amico, capisce subito che bisogna darsi da fare. E così, tra rocambolesche avventure e fatti inaspettati, tra commissari particolari e delinquenti senza scrupoli, la storia spicca il volo, portandoci in men che non si dica verso la scena finale.

Il libro, infatti, prende fin da subito, il lettore viene stretto nella morsa della curiosità e difficilmente trova un momento per staccarsi dal libro. La lettura procede velocemente, man mano che il racconto procede, e l'eventuale interruzione è sempre forzata, poiché l'autore sa giocare in maniera eccellente con gli artifici in grado di tenere incollato il lettore, tipici di un romanzo giallo: la suspense, le anticipazioni, gli indizi, i particolari che servono a depistare le indagini, e così via. Venturi inoltre dimostra un'eccellente facilità di scrittura, le parole, le frasi, periodi interi scorrono uno via l'altro, come la glassa scivola morbida su una torta ben fatta.
Ma se vi aspettate un giallo lento e dalle tinte fosche vi sbagliate di grosso. Quella di Venturi è una vicenda investigativa che possiede un ritmo veloce e una vena ironica in grado di far sorridere il lettore in più punti.
Il sottile humor che sottostà a tutto il libro rende la lettura davvero spassosa in alcuni momenti e diversi commenti ironici fanno da contraltare alle descrizioni ricche di tensione delle scene investigative.
«Negli ultimi tempi, però, e sempre più spesso, deve fare i conti con persone affette da una nuova malattia, da un virus che si sta trasformando in una vera e propria epidemia, a cui si è ben lungi dall'aver trovato un vaccino o una cura: il virus dell'onniscenza culinaria da trasmissione televisiva. Oggi sono tutti chef, anche chi nella vita ha cucinato al massimo un uovo alla coque. L'ha detto Cracco, si fa così. Punto e basta.
Zucca sorride. Ieri a pranzo il tipo del tavolo 5 l'ha chiamato e gli ha detto: “Ho visto in tv un'animella in tempura con verdure in confit. Voi la fate?”. Tempo fa, invece, una signora distinta ha commentato: “La cotoletta alla bolognese era priva della parte acida”. Lo fissava dritto negli occhi con fare da giudice, mancava solo che esclamasse: “Togliti il grembiule!”» (p. 41)
L'ironia tagliente che guida l'oste nella disamina delle persone che si trova davanti, secondo la sua personale visione del mondo, calibrata su una lunga esperienza dietro il bancone a vedere i clienti più disparati è solo una delle particolarità di questo libro ed è solo una delle somiglianze del protagonista con l'autore. Quest'ultimo, come Emilio, è laureato in giurisprudenza ed ha scelto di gestire una trattoria nel cuore di Bologna. Anche grazie a questo dettaglio, possiamo davvero capire l'importanza del ruolo della cucina emiliana, anzi, bolognese, all'interno del libro. I paragoni culinari sono frequentissimi, il cibo diventa metafora del mondo, parametro essenziale per mettere ordine nella confusione in cui si trova Emilio. Lui stesso utilizza una metafora gastronomica per descrivere il suo carattere schivo:
«Mamma mia, quanto sei duro. Ma che tipo sei? Ti riesci a innamorare qualche volta?»
Emilio si sente toccato nel vivo, è snervato, al limite della disperazione. Ma è abituato a essere gentile, sempre, anche in contesti come questo. La deformazione professionale lo segue ovunque.
«Io m'innamoro tutte le sere» le dice, come se si sentisse in dovere di risponderle, anche se probabilmente lo sta facendo più che altro per se stesso. «Non una sì e una no, tutte. Mi innamoro di uno sguardo, di una bocca, di un gesto, di una frase. E ci ricamo sopra la mia storia. Immagino dove porterò quella donna, cosa faremo insieme, come la sorprenderò. Poi mi accorgo che seduto lì con lei c'è un uomo che non sono io. E allora mi dico che va bene così. Questo è il mio destino. Rimanermene per i fatti miei. Come in cucina. Ci sono certi ingredienti che non possono mischiarsi ad altri. Il tortellino muore nel brodo. Ed è quello che succederà anche a me. Io me ne starò per sempre nel mio brodo.» (p. 139)
O ancora, durante una conversazione durante la quale capisce che la persona con cui sta parlando non gli darà informazioni rilevanti:
«Ed è proprio in quell'attimo, mentre si rende conto che quel rapido scambio di vedute gli sarà utile come una corposa aggiunta di gamberetti al pentolone del ragù di salsiccia, che si accorge di qualcosa.» (p. 71)
E lo sguardo disincantato e schietto con cui guarda il mondo – con la consapevolezza di chi ne ha viste tante accadere nel suo locale – è lo stesso che guida l'autore, tra l'altro, nello scrivere i suoi pezzi per Repubblica. Filippo Venturi, infatti, tiene una rubrica, “Dietro al banco”, in cui descrive i differenti tipi di clienti nei quali si imbatte, da quelli più bizzarri a quelli che fanno richieste decisamente particolari.
Il tortellino muore nel brodo, quindi, in poche parole, è un libro da leggere, perché in esso, la narrativa d'investigazione riesce a mischiarsi ad altri ingredienti – l'ironia, la suspense, l'investigazione, e così via –  fino a creare un piatto nuovo e originale, da mangiare con gusto. E chissà che a questo, che per ora possiamo considerare come un piatto unico, non possano seguire altre portate, ovvero nuove puntate di quella che potrebbe diventare – perché no? - una nuova serie investigativa.

Valentina Zinnà


"Quando sentite parlare della cucina bolognese, fate una riverenza, ché se la merita". Parlava così Pellegrino Artusi della città che fa da sfondo a questo libro, una Bologna inattesa e verace, chiamata stavolta ad ospitare un giallo. All'interno di questa vicenda la cucina svolge un ruolo importante, sia perché il protagonista -Emilio- è un oste, implicato suo malgrado in una vicenda investigativa da sbrogliare, sia perché più volte paragoni e metafore culinarie vengono utilizzate per agevolare il racconto. La vicenda dei tre criminali che si ritrovano a derubare la stessa banca nello stesso momento diventa ben presto una corsa contro il tempo per cercare di ritrovare la figlia di Nicola, amico di Emilio, presa da uno dei malviventi. All'ingrediente, ops, vicenda principale si aggiungono ulteriori filoni narrativi, fino a formare un impasto ricco e ben omogeneo. La penna dell'autore -il quale conosce bene e in prima persona l'antica arte gastronomica bolognese- è arguta e sagace, capace di far regalare molti sorrisi durante la lettura. Quello di Filippo Venturi, infatti, è un libro che scorre velocemente e il ritmo incalzante della vicenda facilita la lettura, conducendo, in men che non si dica, il lettore al gran finale, degno del miglior dessert. Presto su CriticaLetteraria la recensione di Valentina Zinnà su questo libro tutto da gustare! #filippoventuri #iltortellinomuorenelbrodo #giallo #noir #cucina #cucinabolognese #Bologna #instabook #bookstagram #criticaletteraria @filoventuri @librimondadori
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