La danza 2.0
Paesaggi coreografici del nuovo millennio
di Alessandro Pontremoli
Laterza, 2018
pp. 180
€ 19,00 (cartaceo)
«Voglio vederti danzare…»: chi non conosce almeno l’incipit della celebre hit di Franco Battiato contenuta nell’album L’arca di Noè? La canzone, che nel 2003 fu anche oggetto (vittima?) di un lapalissiano rifacimento dance (e che altro, sennò?), esplicitava quel desiderio ricorrendo a una pluralità di riferimenti, e faceva convivere nella medesima “preghiera” realtà occidentali e contesti orientali carichi di trasognato esotismo: impossibile – perlomeno dal 1982, anno di lancio del disco – levarsi di mente la rassegna etnografica proposta dal cantautore siciliano, che ha reso immortali (nell’ordine, e tra gli altri) «zingare nel deserto con candelabri in testa», «balinesi nei giorni di festa», «Derviches Tourneurs che girano sulle spine dorsali», «danzatori bulgari a piedi nudi sui bracieri ardenti». Impossibile poi, sempre da quella data, fare confusione tra le balere estive dell’Irlanda del Nord e quelle della Bassa Padana (nelle prime, le coppie di anziani ballano al ritmo di sette ottavi, nelle seconde vecchi valzer viennesi) o dubitare sul fatto che nei ritmi ossessivi ci sia la chiave dei riti tribali, «regni di sciamani e suonatori zingari ribelli». Il perché di questa lunga premessa è presto detto: così come Battiato, all’alba degli anni Ottanta, restituiva una visione del concetto stesso di danza in un viaggio intorno al mondo di poco meno di cinque minuti – un concetto per lui evidentemente antico, potenzialmente infinito, declinabile a ogni latitudine e longitudine, ma pur sempre carico di tradizione –, allo stesso modo Alessandro Pontremoli ha provato oggi a catalogare quella che lui stesso, nel suo libro appena pubblicato da Laterza, definisce La danza 2.0; quella del nuovo millennio, dunque, la più recente, e forse anche quella che ancora verrà.
Docente di Storia della danza all’Università degli studi di Torino e autore di numerosi e importanti studi sull’argomento (sempre per Laterza è uscito nel 2004 il suo La danza. Storia, teoria, estetica del Novecento), in questo nuovo lavoro Alessandro Pontremoli ha dunque voluto confrontarsi con le caratteristiche dell’arte e dell’estetica coreutica italiana ed europea compresa nell’arco temporale degli ultimi trent’anni. Un obiettivo ambizioso e tutt’altro che semplice, dal momento che, come ogni tentativo di analisi o categorizzazione riguardante una o più realtà tutto sommato ancora molto recenti, non poteva dirsi esente dal rischio della mera cronaca. L’autore divide la trattazione in sette blocchi (ovvero capitoli), nei quali non solo delinea storie, teorie e tendenze della danza a partire dagli anni Ottanta del Novecento, ma si sofferma parimenti, e dando loro identica importanza, su aspetti solo apparentemente laterali di questa disciplina: dai problemi della critica e delle pubblicazioni di settore al ruolo della formazione dei danzatori; dalla percezione del corpo (del performer come dello spettatore) all’incidenza delle culture e dei contesti sociali; dall’annoso problema dei finanziamenti e della circuitazione degli spettacoli alle nuove stratificazioni concettuali sulla percezione della danza influenzate (infestate?) dai talent show e dai social network. Nel descrivere un panorama estremamente vasto e variegato, per il quale dicotomie come classico/moderno, moderno/post-moderno, post-moderno/contemporaneo (e così via) appaiono ormai insufficienti se non obsolete, Pontremoli non manca di problematizzare (e talvolta anche di polemizzare), mostrando all’occorrenza più sfaccettature del prisma: come accade, per esempio, quando affronta il rapporto tra la pratica molto in voga della danza sociale e il suo legame con la cosiddetta estetica relazionale teorizzata da Nicolas Bourriaud, oppure quando analizza le conflittualità suscitate dall’avvento della figura del dramaturg nelle compagnie o in merito a singoli spettacoli.
Densissimo di riferimenti e contenuti, e tutt’altro che meramente descrittivo, il libro di Alessandro Pontremoli (privo di bibliografia finale ma ricco di note in corso d’opera) ne esalta ad ogni pagina e, per così dire, con spontaneità (cioè senza la sgradevolezza dello sfoggio gratuito di cultura “alta”) la preparazione e l’autorevolezza in materia: non avrebbe potuto essere altrimenti per uno studioso di lungo corso che dal 2004 al 2010 è stato anche presidente dell’Associazione italiana per la ricerca sulla danza, nonché attualmente Membro della Commissione consultiva per la danza del Ministero dei beni e delle attività culturali. Forse meno divulgativo di quanto a tutta prima si potrebbe credere, e in alcuni punti anche necessariamente complesso (il che lo rende particolarmente riuscito come testo di approfondimento accademico) ha però dalla sua l’unico pregio che davvero conta in simili casi, un pregio purtroppo non comune a tutti gli studi dedicati alle arti variamente performative o “in movimento”: vale a dire quello di lasciare al lettore il desiderio di andare a cercare autonomamente e nell’immediato un riscontro audiovisivo/audiovisuale concreto della trattazione appena letta sulla carta, sia con l’aiuto degli strumenti tecnologici tipici del nostro tempo (YouTube su tutti), sia (e il che è auspicabile e preferibile) tramite lo spettacolo dal vivo. Un libro che piacerà sia a chi ama ballare sia a chi ama assistere al ballo altrui, nella certezza che, proprio mentre lo si starà leggendo, qualcuno, in qualche parte del mondo, starà danzando, oppure, come da tempo immemore accade, avrà delegato qualcun altro a farlo in sua vece.
Cecilia Mariani