La bibliotecaria
di Marina di Domenico
Elliot, 2018
pp. 154
€ 16.00 (cartaceo)
€ 7.49 (formato Kindle)
Gli elementi che
rendono questo romanzo accattivante ci sono tutti: una bellissima copertina (di
un livello a cui ormai la casa editrice Elliot ci ha abituati), un
titolo, La bibliotecaria, che
richiama immediatamente la passione per i libri (e ogni lettore che si rispetti non ne è certo
immune) e una trama che si rivela misteriosa e conturbante quanto basta.
E
allora apriamo insieme le pagine di questo libro, seconda prova letteraria di
Marina Di Domenico, un passato da impiegata dell'Eni a Roma e un presente da scrittrice e organizzatrice di eventi culturali ad Artena, un suggestivo borgo arroccato a
400 metri di altitudine sui monti Lepini, a 30 chilometri dalla capitale.
Protagonista della storia è Roberta, una giovane bibliotecaria di Novara che, purtroppo, ha già
conosciuto la violenza e lo sguardo della morte: un ex fidanzato manesco l'ha
infatti ridotta in fin di vita inseguendola in macchina e, in pratica,
costringendola a un pauroso incidente.
Per
sfuggire a un destino che per lei, come già per troppe donne, sembra segnato e per mettere
distanza tra sé e l'energumeno, nel frattempo uscito di galera, Roberta accetta un lavoro da bibliotecaria in un piccolissimo paese
dell'Abruzzo, tra montagne e lupi. Lì c'è una meravigliosa biblioteca che deve
il suo patrimonio librario, inusuale per un piccolo borgo montano, alla presenza di un convento di suore, ormai chiuso da anni.
Roberta
arriva in questo piccolo paese armata di buona volontà e delle migliori
intenzioni: la biblioteca infatti necessita di un ammodernamento a partire dal sistema di catalogazione. E qui subito facciamo la
conoscenza dei personaggi che muoveranno le fila di tutta la vicenda: Nicola,
il bibliotecario uscente, anziano e gelosissimo del suo spazio e del suo lavoro, Maria, la
segretaria del sindaco, il sindaco stesso, gli altri notabili del paese che,
come spesso accade, provengono dalla stessa famiglia, e alcune anziane, che non
perdono occasione di lasciarsi sfuggire vecchi pettegolezzi. Tutto come nelle più
classiche iconografie dei numerosi paesini sperduti e dimenticati da Dio che
popolano tante nostre regioni italiane.
Ma non tutto quadra intorno a Roberta, che percepisce nell'aria una tensione strana. Tra frasi dette a mezza voce e vecchi ricordi, la giovane bibliotecaria verrà a conoscenza ben presto di un mistero che scuote la vita del paese: la sparizione improvvisa e misteriosa
di una bambina, cinquant'anni prima, di cui più nulla si è saputo, ma della quale tutti sembrano
sapere qualcosa. Ognuno nel paese pare infatti avere un segreto da nascondere, ognuno le
racconta frammenti di verità che, magari, con la verità hanno ben poco a che
fare. Inoltre, qualcun altro sembra invece voler portare Roberta alla soluzione
del mistero, lasciandole indizi sotto forme di frasi di libro sottolineate:
da Jane Eyre a La lettera scarlatta, fino a I Promessi Sposi.
Roberta, sempre
più coinvolta, si lascia attirare dal mistero (complice la visione di un
"fantasma" della bambina) e piano piano ricostruirà la storia della
bella Paolina, la madre della bimba scomparsa, il cui appartamento lei stessa ha preso in affitto. Paolina, morta tre anni prima, non aveva mai smesso per tutta la vita di cercare la sua adorata figlia Angela, fino a che l'Alzheimer non aveva provveduto, benevolo, a cancellarle i ricordi. E forse i dolori.
La storia di Paolina, che la bibliotecaria dipanerà nel corso del romanzo, s'intreccia con
quella di tutti gli abitanti del paese, in modo particolare con i Blasini-Mastroianni, la famiglia a cui appartengono il sindaco, l'assessore e un sacerdote morto anni prima, don Emanuele, zio dello stesso sindaco e orgoglio del paese, che, in massa, tifa per la sua beatificazione, ormai prossima. Ma che in passato nella vicenda della bimba un ruolo l'aveva ricoperto, eccome.
Il racconto vola via
velocissimo, il lettore, grazie alla capacità dell'autrice di costruire un
livello crescente di pathos, viene risucchiato immediatamente nella storia e
corre avidamente verso il finale per scoprire tutte le pieghe del mistero. Un
mistero in cui i libri della signora Eleonora, la madre del sindaco, in
gioventù amica (e, scandalo nello scandalo, un po' più che amica) di Paolina assumono un ruolo sempre più
centrale. Al pathos si aggiunge poi il ritorno sulla scena dell'ex fidanzato
violento di Roberta. Tantissimi fili insomma che si dipanano dal centro della
storia. E che poi si scioglieranno in maniera imprevedibile.
Certamente una lettura assai piacevole e coinvolgente, buona compagnia per
qualche pomeriggio estivo. Detto questo, però, secondo me, il romanzo lascia il lettore un poco insoddisfatto. E tutto a causa della sua brevità. Una storia così ben strutturata e così corale meritava senz'altro un più ampio respiro. L'aver chiuso la vicenda in poco più
di 150 pagine lascia il rimpianto per la mancanza di una maggiore
caratterizzazione psicologica dei personaggi. Che sono numerosi, come si addice a una vera storia di paese, ma che, purtroppo, almeno alcuni, vengono soltanto tratteggiati, senza uno spazio adeguato per presentarsi al lettore. Inoltre la compressione degli
avvenimenti a volte si risolve in alcuni salti all'interno dei passaggi
narrativi, non sempre efficacemente spiegati, come quando accade che la
protagonista arrivi immediatamente a conclusioni alle quali il lettore non era
stato gradatamente preparato o quando alcune dinamiche vengono risolte rapidamente in un paio di
righe. Un
vero peccato perché lo spunto narrativo è davvero molto originale e
anche la scrittura è meritevole, pulita ed evocativa al tempo stesso. Come peraltro bella l'ambientazione.
Proprio per questo a chi legge rimane un po' il
rammarico di chiudere il libro troppo presto. Resta da capire se tale brevità
sia stata imposta all'autrice (magari per esigenze editoriali) o se la Di
Domenico, che in fondo è soltanto al suo secondo romanzo, non se la sia sentita
di confrontarsi con un'opera più monumentale. Nel qual caso mi sentirei di
incoraggiarla a lanciarsi un po' più in là con la sua prossima fatica perché la capacità
affabulatoria di cui ha dato prova è avvincente e la scrittura sembra essere un
dono che non le manca.
Rosatea Poli
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