La forza dell'empatia. Una storia dei diritti dell'uomo
di Lynn Hunt
Laterza Editori, 2018
1^ edizione originale: 2007
pp. 246
€ 18 (cartaceo)
Perché oggigiorno ci viene spontaneo provare orrore quando sentiamo di torture ancora praticate in alcuni Paesi? Perché deprechiamo le condizioni di schiavitù dei neri nelle piantagioni delle colonie? Sono passati anni da quando, nel 1948, è stata approvata la Dichiarazione universale dei diritti umani, ma il cammino che ci ha portati lì è lungo perlomeno centocinquant'anni ed è tutt'altro che lineare.
Nel saggio di Lynn Hunt, decisamente prezioso per la sua chiarezza oltre che per gli spunti d'approfondimento e la visione a trecentosessanta gradi, ci si avventura in questo viaggio che tocca il diritto, la politica, ma anche e soprattutto la società e l'etica.
Si tratta di un percorso essenzialmente laico quello che ha portato alla scoperta e all'affermazione dell'empatia, premessa fondamentale per iniziare a parlare di "diritti dell'uomo". La percezione dell'individualità e dell'interiorità che ogni uomo possiede, indipendentemente dalle origini, dal colore della pelle o dallo stato sociale, è stata fortemente alimentata dai romanzi epistolari. Nuovo genere inizialmente osteggiato dai moralisti e dal clero, i romanzi epistolari trovano dalla metà del Settecento un'enorme risposta del pubblico: migliaia di lettori e lettrici si identificano nella Giulia di Rousseau (che dal 1761 al 1800 avrà ben 150 ristampe!), come nella Pamela (1740) e nella Clarissa (1747) di Richardson. La forza di queste eroine, benché spesso vinte dalla sorte alla fine, è invidiabile, come la loro indipendenza: i lettori vedono come persone simili a loro, narrando vicende quotidiane, possano creare autonomamente un mondo morale.
La valorizzazione dell'individualità si trasferisce quasi per osmosi nei provvedimenti presi in Francia riguardo alle leggi sulla famiglia, in direzione di una maggiore autonomia personale, ma anche nella pedagogia, che dà molto più valore al singolo infante.
Dall'empatia alla compassione il passo è breve: grazie all'immaginazione e alla sensibilità, ognuno può immedesimarsi in quel che vede, comprese le torture e le punizioni corporali che vengono esibite nelle pubbliche piazze. Ciò che un tempo era un deterrente dalla grande efficacia sociale, figura ora come una bruttura e un affronto al corpo del condannato. Se dapprima è la "tortura giudiziale" (una serie di crudeli punizioni volte a estorcere confessioni) a essere messa al bando, a partire dal pamphlet di Cesare Beccaria Dei delitti e delle pene (1764), il dibattito si amplia e coinvolge la tortura tout-court e arriva a mettere in discussione la pena di morte. Molti si sono scagliati contro Beccaria, ma il suo libretto è stato tra i più diffusi e rivoluzionari del Settecento, in grado di arrivare tanto nelle corti di tutta Europa quanto nei caffè. Si presta una nuova attenzione nei confronti del corpo del condannato, basata sui principi di autonomia e di inviolabilità. Questi concetti, pervasivi nella società (dalla pittura all'architettura, con una ridistribuzione degli spazi in base alle nuove esigenze dei singoli), portano a cercare di applicare il più rapidamente possibile la pena capitale, apportando meno sofferenza al condannato e senza profanazioni del cadavere.
Tali principi vengono inseriti nelle Dichiarazioni dei diritti che tra 1776 e 1789 prendono piede in America e in Europa, complici rispettivamente la Rivoluzione Americana e la Rivoluzione Francese. Queste dichiarazioni spostano la sovranità dal potere costituito alla nazione e affermano soprattutto una visione universalistica dei diritti (validi per tutti, in quanto uomini). Le tappe che portano alla formulazione definitiva e all'approvazione della Dichiarazione francese non sono semplici né rapide, ma si ispirano fortemente alla Dichiarazione americana. Ne emerge il tentativo di condensare in un unico documento sia la protezione giuridica dei diritti individuali, sia la base per una nuova legittimità del governo. Il tutto, senza il minimo riferimento al sovrano, alla Chiesa, alla storia o anche solo alla tradizione. Solo sei settimane dopo, anche il diritto penale subisce una sostanziale rivoluzione, con l'abolizione della tortura e la privazione della libertà come nuova punizione esemplare, volta alla rieducazione e al successivo reinserimento del condannato nella società, senza punizioni corporali che lo pregiudichino (si pensi, ad esempio, alla marchiatura pubblica).
Le Dichiarazioni dei diritti dell'uomo non sono solo un traguardo, segnano anche un nuovo inizio; per i Paesi coinvolti è ora di chiedersi: estendere o meno i diritti politici anche alle minoranze religiose? Se per i protestanti il cammino per il riconoscimento dei loro diritti in Francia è relativamente breve, molto più complesso è quello degli ebrei. Per le donne, la questione non si pone nemmeno: considerate moralmente dipendenti dai padri o dai mariti, per quanto dotate di una certa autonomia, le donne non costituiscono una categoria politica distinta fino alla fine della Rivoluzione Francese.
Se l'affermazione iniziale dei diritti era in chiave universalistica, nel corso del XIX e del XX secolo, su cui Lynn Hunt si sofferma brevemente, si registra una torsione in chiave particolaristica, in parallelo alla diffusione progressiva dei nazionalismi. L'affermazione dell'uguaglianza tra tutti gli uomini spinge, insomma, a voler rivendicare le differenze tra un popolo e l'altro, spesso in base a differenze etniche, base decisamente dura per svolte antisemite. A essere colpiti molto duramente, come sappiamo, sono ancora una volta gli ebrei: essi non si pongono in uno stadio inferiore dell'evoluzione storica (come invece le popolazioni sottomesse nelle campagne imperialistiche), ma impersonano le minacce moderne. Pertanto, troppo diversi e troppo potenti, gli ebrei devono essere scacciati o, in seguito, eliminati.
Se il tentativo di porre una limitazione all'ondata antisemita è registrato anche con la nascita della Società delle Nazioni in seguito alla Prima guerra mondiale, è però solo dopo i 60 milioni di morti della Seconda guerra mondiale che ci si mette al lavoro per la redazione della Dichiarazione universale dei diritti umani. Dal 10 dicembre 1948, diritti (individuali e non solo) inalienabili sono riconosciuti a livello mondiale e dagli anni Ottanta le ONG contribuiscono a riaffermarli e a farli rispettare.
Il cammino è ancora lungo, suggerisce Lynn Hunt: la formulazione e l'approvazione dei diritti, entrambi fonte di notevoli scontri verbali, è ben più semplice della loro applicazione. Eppure sono anche studi come il suo, istruttivamente contaminati da varie discipline, che aiutano ad aprire la mente, a guardare la storia da un punto di vista nuovo e a fondere le nostre preconoscenze con gli utili approfondimenti in nota, i suggerimenti bibliografici e la fondamentale appendice che riporta le tre dichiarazioni. Per cambiare la storia, occorre discutere, in un dibattito costruttivo per quanto acceso: gli intellettuali settecenteschi erano dei campioni in questo; noi cosa lasceremo alle generazioni future?
GMGhioni
La valorizzazione dell'individualità si trasferisce quasi per osmosi nei provvedimenti presi in Francia riguardo alle leggi sulla famiglia, in direzione di una maggiore autonomia personale, ma anche nella pedagogia, che dà molto più valore al singolo infante.
Dall'empatia alla compassione il passo è breve: grazie all'immaginazione e alla sensibilità, ognuno può immedesimarsi in quel che vede, comprese le torture e le punizioni corporali che vengono esibite nelle pubbliche piazze. Ciò che un tempo era un deterrente dalla grande efficacia sociale, figura ora come una bruttura e un affronto al corpo del condannato. Se dapprima è la "tortura giudiziale" (una serie di crudeli punizioni volte a estorcere confessioni) a essere messa al bando, a partire dal pamphlet di Cesare Beccaria Dei delitti e delle pene (1764), il dibattito si amplia e coinvolge la tortura tout-court e arriva a mettere in discussione la pena di morte. Molti si sono scagliati contro Beccaria, ma il suo libretto è stato tra i più diffusi e rivoluzionari del Settecento, in grado di arrivare tanto nelle corti di tutta Europa quanto nei caffè. Si presta una nuova attenzione nei confronti del corpo del condannato, basata sui principi di autonomia e di inviolabilità. Questi concetti, pervasivi nella società (dalla pittura all'architettura, con una ridistribuzione degli spazi in base alle nuove esigenze dei singoli), portano a cercare di applicare il più rapidamente possibile la pena capitale, apportando meno sofferenza al condannato e senza profanazioni del cadavere.
Tali principi vengono inseriti nelle Dichiarazioni dei diritti che tra 1776 e 1789 prendono piede in America e in Europa, complici rispettivamente la Rivoluzione Americana e la Rivoluzione Francese. Queste dichiarazioni spostano la sovranità dal potere costituito alla nazione e affermano soprattutto una visione universalistica dei diritti (validi per tutti, in quanto uomini). Le tappe che portano alla formulazione definitiva e all'approvazione della Dichiarazione francese non sono semplici né rapide, ma si ispirano fortemente alla Dichiarazione americana. Ne emerge il tentativo di condensare in un unico documento sia la protezione giuridica dei diritti individuali, sia la base per una nuova legittimità del governo. Il tutto, senza il minimo riferimento al sovrano, alla Chiesa, alla storia o anche solo alla tradizione. Solo sei settimane dopo, anche il diritto penale subisce una sostanziale rivoluzione, con l'abolizione della tortura e la privazione della libertà come nuova punizione esemplare, volta alla rieducazione e al successivo reinserimento del condannato nella società, senza punizioni corporali che lo pregiudichino (si pensi, ad esempio, alla marchiatura pubblica).
Le Dichiarazioni dei diritti dell'uomo non sono solo un traguardo, segnano anche un nuovo inizio; per i Paesi coinvolti è ora di chiedersi: estendere o meno i diritti politici anche alle minoranze religiose? Se per i protestanti il cammino per il riconoscimento dei loro diritti in Francia è relativamente breve, molto più complesso è quello degli ebrei. Per le donne, la questione non si pone nemmeno: considerate moralmente dipendenti dai padri o dai mariti, per quanto dotate di una certa autonomia, le donne non costituiscono una categoria politica distinta fino alla fine della Rivoluzione Francese.
Se l'affermazione iniziale dei diritti era in chiave universalistica, nel corso del XIX e del XX secolo, su cui Lynn Hunt si sofferma brevemente, si registra una torsione in chiave particolaristica, in parallelo alla diffusione progressiva dei nazionalismi. L'affermazione dell'uguaglianza tra tutti gli uomini spinge, insomma, a voler rivendicare le differenze tra un popolo e l'altro, spesso in base a differenze etniche, base decisamente dura per svolte antisemite. A essere colpiti molto duramente, come sappiamo, sono ancora una volta gli ebrei: essi non si pongono in uno stadio inferiore dell'evoluzione storica (come invece le popolazioni sottomesse nelle campagne imperialistiche), ma impersonano le minacce moderne. Pertanto, troppo diversi e troppo potenti, gli ebrei devono essere scacciati o, in seguito, eliminati.
Se il tentativo di porre una limitazione all'ondata antisemita è registrato anche con la nascita della Società delle Nazioni in seguito alla Prima guerra mondiale, è però solo dopo i 60 milioni di morti della Seconda guerra mondiale che ci si mette al lavoro per la redazione della Dichiarazione universale dei diritti umani. Dal 10 dicembre 1948, diritti (individuali e non solo) inalienabili sono riconosciuti a livello mondiale e dagli anni Ottanta le ONG contribuiscono a riaffermarli e a farli rispettare.
Il cammino è ancora lungo, suggerisce Lynn Hunt: la formulazione e l'approvazione dei diritti, entrambi fonte di notevoli scontri verbali, è ben più semplice della loro applicazione. Eppure sono anche studi come il suo, istruttivamente contaminati da varie discipline, che aiutano ad aprire la mente, a guardare la storia da un punto di vista nuovo e a fondere le nostre preconoscenze con gli utili approfondimenti in nota, i suggerimenti bibliografici e la fondamentale appendice che riporta le tre dichiarazioni. Per cambiare la storia, occorre discutere, in un dibattito costruttivo per quanto acceso: gli intellettuali settecenteschi erano dei campioni in questo; noi cosa lasceremo alle generazioni future?
GMGhioni