Macerie prime
di Zerocalcare
Bao publishing, 2017
Macerie prime. Sei mesi dopo
di Zerocalcare
Bao Publishing, 2018
Premessa doverosa: non sono un’esperta di fumetti – o graphic novel che dir si voglia – , gli ultimi albi letti risalgono al periodo dell’adolescenza e anche allora non ero esattamente una fan del genere. Ma, di sicuro, sono una fan delle belle storie, in qualsiasi forma si scelga di raccontarle. E Zerocalcare è di certo un abile narratore, capace di mescolare elementi diversi fra loro, creare personaggi indimenticabili e spingere il lettore a interrogarsi sul mondo che ci circonda, sia esso quello dei trentenni precari o la difficile situazione curda di qualche anno fa. Tutto questo per dire che no, non starò qui a fare paralleli con altri maestri di questa forma, cercare i numerosissimi rimandi, citazioni pop, riflessioni puntuali su grafica e tratto: quello che mi interessa – e di cui in effetti posso parlare con una certa cognizione di causa - è, appunto, l’abilità dell’autore di creare storie, pungenti, ironiche, forti, mai banali, che trovano in questa forma espressiva il loro spazio ideale. E, vi avverto, una volta iniziato a leggere Zerocalcare probabilmente vi ritroverete, come successo alla sottoscritta, ad andare alla ricerca di tutti gli altri libri e a recuperare le storie pubblicate sul suo blog – il primo in Italia, se non sbaglio, dedicato a graphic novel – per scoprire un po’ di più dei personaggi e del suo autore. Mentre recupero Kobane Calling, Ogni maledetto lunedì su due ed alcuni altri, alcune considerazioni quindi su Macerie prime I e II, entrambi pubblicati da Bao e usciti a sei mesi di distanza l’uno dall’altro, lo stesso tempo che divide momentaneamente i protagonisti della storia e le vicende narrate.
Come accennavo, la penna di Zerocalcare sa essere divertente e sarcastica al punto giusto, gioca con un linguaggio intriso di citazioni pop ed espressioni gergali, diretto e immediato, reale come una qualsiasi conversazioni fra trentenni di oggi (anche se forse nella realtà non siamo tutti così divertenti purtroppo). Si mette a nudo, rielabora nevrosi e spunti autobiografici per raccontare, in fondo, molto di noi: i dubbi, le frustrazioni, il rapporto con gli amici di sempre, la vita non sempre all’altezza dei sogni, manie e rituali in cui ci riconosciamo fin troppo bene. E il più riuscito è proprio lui, l’alter ego di Zero: tra “accolli”, scadenze e ritmi frenetici, amici e clienti da non deludere, problemi di insonnia, ossessione per serie tv e playstation, è il ritratto ironico ed esasperato di quella post adolescenza lunghissima, che sembra durare all’infinito, perché, probabilmente, in equilibrio precario fra responsabilità e compromessi, non siamo poi davvero così pronti a considerarci adulti e abbandonare del tutto la spensierata noncuranza con cui si affrontava un tempo la vita.
Brucia ammetterlo, ma la forza di questi personaggi sta proprio qui: ci riconosciamo, in alcuni tratti, certo, ma ci riconosciamo eccome. Nei due volumi in questione, tra flashback, scene apocalittiche e narrazione in presa diretta, ritroviamo il mitico gruppo del tutto impreparato a confrontarsi con i problemi della vita adulta, con i cambiamenti: relazioni e sogni precari, delusioni che bruciano tantissimo, desiderio di riscatto, vecchi rancori ma anche legami che, nonostante gli anni e i cambiamenti epocali (i figli, il matrimonio, il successo, la distanza) niente può recidere del tutto. Iconica poi l’abitudine dell’autore di “personificare” la propria coscienza (che ha le fattezze di un armadillo) o “nascondere” sotto una maschera amici e famigliari (il mitico Cinghiale, uno dei personaggi più spassosi e irriverenti).
L'ironia pungente e le nevrosi dei protagonisti sono senza dubbio fra i tratti distintivi delle storie di Zerocalcare, e quella che mi ha strappato più di una risata ad alta voce, che non si limita tuttavia “solo” a questo: personaggi e storie sono infatti perfettamente calati nel mondo contemporaneo, visto nei suoi aspetti più diversi, dai rimandi a libri e serie tv, alla riflessione mai scontata su problematiche e complessità della società attuale. I racconti di Zero si intrecciano alle notizie di attualità, ai problemi con cui ogni giorno siamo tenuti a confrontarci, a fatti della cronaca e della politica degli ultimi anni, di cui l’autore dà la sua personale interpretazione senza atteggiarsi a esperto o dispensare verità universali ma semplicemente esprimendo con intelligenza il proprio punto di vista di chi su certi fatti si interroga davvero, prende posizione (anche quando questa è in contrasto col pensare comune o può creare situazioni spiacevoli, vedi le tribolazioni per ottenere il vista per gli Usa dopo la pubblicazione del già citato Kobane Calling) e, in qualche caso, prova a fare ironia per esorcizzare i propri demoni personali. Ci sono trentenni incastrati in lavori frustranti e ambizioni represse, ossessioni e rituali a cui è impossibile rinunciare, una bella dose di sarcasmo per poter sopravvivere, ma anche i fatti drammatici del G8, la questione curda, la violenza concreta o verbale del mondo in cui viviamo, confini e barriere. E poi, sottolineiamolo, c’è Rebibbia, il quartiere romano che Zero e i suoi amici sono orgogliosi di continuare a chiamare casa (e la scritta "Rebibbia regna" da tappezzare ovunque).
Una graphic novel dicevamo, giusto? Una forma espressiva che fino a qualche anno fa era considerata materia per nerd (quando appunto la parola non aveva proprio una connotazione positiva) e semplice lettura di evasione? Le cose sono cambiate di recente, lo so perfino io che non sono una frequentatrice assidua delle fumetterie locali, e le storie di Zerocalcare ne sono senza dubbio la prova. Alle prese con un paio di vignette o un libro più complesso, ironia o riflessione seria, Michele Rech (ecco, appunto, questo il vero nome) resta per me semplicemente un abile narratore, che nel fumetto ha trovato la sua forma espressiva ideale per mettere ordine nel caos di pensieri di un trentenne di oggi. Le sue nevrosi sono un po’ anche le nostre, o quasi. Il suo mondo, senza dubbio, anche il nostro.
Debora Lambruschini
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