di Paola Zannoner
DeA, 2018
pp. 312
€ 16,00
È l'estate del 1968 e Massimo, diciassette anni, sta per partire per un viaggio che gli cambierà la vita. Tutto intorno a lui, più che sullo sfondo, vibra nell'aria una rivoluzione imminente, in alcuni "altrove" già in corso: c'è un'opposizione netta tra una "nuova" e una "vecchia" generazione, tra le leggi dei padri, vissute come stantie e superate, soffocanti e intollerabili, e i desideri dei figli, tra le istituzioni patriarcali ed educative che si sentono portatrici di valori superati e la necessità di nuovi insegnamenti, appresi direttamente dalla strada, dalla vita. Fin da subito il testo suggerisce questo conflitto attraverso le parole del narratore, in cui vengono messi in forte contrasto i pronomi di prima e seconda persona plurale: "voi", le "vostre" idee, contro "noi", la "nostra" libertà:
Io no, sono qualcosa che voi non siete mai stati. Appartengo a una nuova generazione nata nella pace, che non può seguire le vostre regole perché hanno seminato solo miseria e violenza. Voi avete diviso, noi invece ci uniamo. Noi stiamo ridisegnando il mondo. [...] Noi siamo un'onda poderosa, siamo fuoco che divampa, siamo rolling stones, pietre che rotolano e che nessuno può fermare. (pp. 10-11)
Per il suo viaggio, Massimo (che abbandonerà il suo nome "borghese" in favore di un più immediato Max) ha già scelto una compagna.
Bea è bellissima e per Max appartiene a una sfera superiore, tanto che gli è possibile descriverla solo attraverso riferimenti alti ("Venere che nasce dalla spuma del mare", una "Madonna rinascimentale", la Primavera di Botticelli, anzi, "molto più bella della Primavera, più giovane e umana e piena di gioia", p. 25). Eppure Bea è anche la scheggia impazzita, la più fragile della coppia: irrompe nella vita di Max come una cometa, come una stella cadente ("ci conosciamo da un paio di mesi e mi sembra sia caduta nella mia vita come una stella del cielo", p. 101). Lei è quella inquieta, umbratile, che si porta dietro un retaggio familiare più ingombrante: i suoi, rigidi e teutonici, rappresentano la severità opprimente dei "padri" molto più dei genitori di Massimo, soprattutto di sua madre, amatissima, tanto che quasi non bastano gli aggettivi per descriverla: "una donna gioiosa, comunicativa, ospitale, amorosa, calorosa" (p. 21). Bea è quella che non si trova a suo agio nei gruppi e necessita di infinite rassicurazioni, vuole continuamente andare avanti, mette il broncio, non riesce ad attenersi all'idea di amore libero e universale a cui invece il ragazzo aderisce totalmente, almeno inizialmente:
Bea è bellissima e per Max appartiene a una sfera superiore, tanto che gli è possibile descriverla solo attraverso riferimenti alti ("Venere che nasce dalla spuma del mare", una "Madonna rinascimentale", la Primavera di Botticelli, anzi, "molto più bella della Primavera, più giovane e umana e piena di gioia", p. 25). Eppure Bea è anche la scheggia impazzita, la più fragile della coppia: irrompe nella vita di Max come una cometa, come una stella cadente ("ci conosciamo da un paio di mesi e mi sembra sia caduta nella mia vita come una stella del cielo", p. 101). Lei è quella inquieta, umbratile, che si porta dietro un retaggio familiare più ingombrante: i suoi, rigidi e teutonici, rappresentano la severità opprimente dei "padri" molto più dei genitori di Massimo, soprattutto di sua madre, amatissima, tanto che quasi non bastano gli aggettivi per descriverla: "una donna gioiosa, comunicativa, ospitale, amorosa, calorosa" (p. 21). Bea è quella che non si trova a suo agio nei gruppi e necessita di infinite rassicurazioni, vuole continuamente andare avanti, mette il broncio, non riesce ad attenersi all'idea di amore libero e universale a cui invece il ragazzo aderisce totalmente, almeno inizialmente:
L'amore non è canalizzabile verso un'unica direzione, una sola persona. È un'idea distorta e spregevole dell'amore, questa, di chiuderlo dentro una coppia, dentro pareti, magari sotto il benestare di qualche autorità. (p. 72)
Le sue certezze iniziano a vacillare quando, a loro e al loro gruppo di artisti girovaghi, si unisce David, tenebroso e carismatico, un "comunista rivoluzionario", un "guerrigliero", che incarna l'altra anima del '68, quella di chi "pass[a] il tempo a dibattere, a scrivere documenti e programmare dimostrazioni, manifestazioni, proteste. Troppo carichi di rabbia e imbevuti di letture violente" (p. 32), mentre per Max, "tutto quello che conta è l'amore", perché "l'amore, solo quello ci rende liberi, uguali" (p. 15). Si contrappongono, nei due protagonisti, due modi di intendere la rivoluzione:
C'è chi si è messo a fare barricate nelle strade, chi ha occupato le scuole e le fabbriche, e noi invece siamo persone pacifiche, che vogliono solo vivere in pace e in libertà. (p. 131)
Ai primi, i secondi appaiono ingenui; questi ultimi invece considerano gli altri cinici e disillusi, ostinati come sono nell'opporre violenza a violenza. Di fronte a David, che ha uno sguardo duro e sempre profondo sulle cose, che "è un sognatore come me, ma i suoi sogni sono più complicati dei miei" (p. 270), il narratore viene messo a forza di fronte ai limiti della sua frivolezza, prima vissuta come un vanto.
Gli ideali libertari di Max, nutriti a musica, marijuana e incontri casuali, sono in realtà poco conciliabili soprattutto con una relazione di coppia: "il mondo come amore sfrenato, potente, giocoso, senza legami, senza definizioni, è quel che ho immaginato egoisticamente per me" (p. 209), ma l'egoismo porta a fraintendere il reale, a rileggere i fatti in base al filtro della propria convenienza, e non è un buon motivo – per quanto inconsapevole – per aderire a un ideale. Meglio allora stordirsi, uccidere il tempo, vivere come un eterno Peter Pan per non sentire il dolore, la solitudine. E il confine tra libertà e autodistruzione si fa sottile. A questo punto, per uscire dal fondale oscuro in cui si è sprofondati, è necessario un aiuto, qualcosa che riporti un ragazzo sperduto in contatto con ciò che realmente è, che ridia priorità ai giusti valori, che gli consenta di trovare un nuovo equilibrio.
In un libro che, dopo il successo de L'ultimo faro tra i giovanissimi (qui la recensione), si rivolge ora ai giovani adulti, Paola Zannoner sceglie di affrontare un argomento che gli adolescenti d'oggi conoscono poco e sentono irrimediabilmente lontano, sottovalutandone la portata e le conseguenze. Il merito del testo, che scorre vivace, colorato e arricchito da una intramontabile colonna sonora (i brani suggeriti devono necessariamente accompagnare la lettura sullo stereo di casa), è di tradurre la rivoluzione giovanile del 1968 in un romanzo di formazione in cui anche i ragazzi di oggi si possano identificare, senza per questo sminuirne la portata ideologica e le implicazioni politiche e sociali. Per farlo, sono necessarie due qualità che a Paola Zannoner non mancano: un'ottima conoscenza del periodo storico e una sincera passione per i giovani – sempre, del resto, le sue opere si rivolgono a loro, e parlano per loro e di loro con stile piano e schietto, realmente accattivante. Rolling Star fin dal titolo rimanda allo spirito travolgente di un’epoca, che diventa nel testo specchio del tumulto interiore dell’adolescenza, questo sì comune e uguale a se stesso in ogni tempo.
Carolina Pernigo