La
via della montagna. Perché gli uomini
amano andare verso l’alto
di Alberto Trevellin
Padova, Edizioni Messaggero, 2018
pp. 196
€ 15 (cartaceo)
L’uomo è fragile, debole, un nulla di fronte alle pareti altissime e alla loro imperitura esistenza, eppure l’amore per queste, la volontà di salirle e di capire qualcosa che sta più in là di loro stesse spinge l’uomo ad ascenderle, continuamente, nella fatica e nel rischio della morte. (p. 162)
La
montagna affascina molto, fin dai tempi antichi.
Le
meravigliose cime, che spesso si osservano da lontano, hanno da sempre attirato
l’attenzione di molte persone. La montagna ci proietta infatti in un mondo
onnicomprensivo dove ognuno può ritrovare uno spazio proprio: sia da un punto
di vista storico-scientifico, in cui i monti vengono studiati, analizzati e
presentati nella loro complessità di formazione, evoluzione e delimitazione
morfologica, sia quando la montagna diventa un passaggio fondamentale di studio
geografico della materia, (dalle catene montuose come confini naturali a
elementi preziosi e organi fondamentali
per lo sviluppo e l’incentivazione del turismo delle regioni), alla montagna
vista come filosofia del rifugio, di un locus
amoenus ideale compensativo rispetto alle problematiche della vita odierna,
fino ad arrivare ad una visione delle montagne come meta ambita dopo lo
spaesamento, l’erranza e la perdita di radici riguardo al senso stesso della
vita.
L’autore
ci introduce in una variegata e interessante alternativa del cammino “montano”,
un itinerario di proiezione non solo immaginifica della montagna. Partendo
dalla propria esperienza personale, Alberto Trevellin cerca di far luce sulle
direzioni che l’uomo può intraprendere per conoscere la montagna e se stesso.
Un
volume che offre ai lettori un approccio storico-antropologico su alcuni temi
fondanti tra teologia e storia dell’alpinismo, e che apre anche a diverse
argomentazioni e possibili approfondimenti:
«il cammino, l’ascesa (ascesi) e la discesa, il rischio, la paura e l’evocazione della morte, la gioia della vetta, la solitudine e la compagnia, il silenzio e il mistero». (p. 13)
Il
volume si suddivide in tre parti.
Nella
prima sezione, L’uomo e le montagne Dalla
timorosa indifferenza ai primi approcci alpinistici l’autore entra nel
mondo antropologico-popolare delle leggende e delle fiabe popolari; le leggende
nascono per spiegare i fenomeni naturali; i primi pastori, nell’epoca della
preistoria dell’alpinismo, cercavano di comprendere come l’umano si rapportasse
con ciò che sembrava inaccessibile e denso di mistero. La montagna offre
innumerevoli elementi creativi a riguardo: i boschi, pieni di alberi enormi,
segnano i confini dei luoghi fatati, ma sono anche il rifugio di esseri umani inselvatichiti; le grotte popolate
da streghe o madri, che devono espiare pene,
sono depositarie di innumerevoli
misteri; principesse pallide e anemiche
chiedono aiuto alle streghe per rianimarsi e poter vivere, i figli delle rocce non provano né gioia
né dolore e rimangono indifferenti a tutto. Questi personaggi umanoidi
soggiornano nelle fessure delle rupi, nelle caverne, negli anfratti e nelle
grotte. Come ben descrive l’autore,
queste storie raccontano una morale basata sul bene, sulla meraviglia e sul
bisogno di amare fondamentale per ogni essere umano.
«Ogni cultura, sia in Oriente che in Occidente ha i suoi miti e le sue favole che comunque bene inquadrano una situazione di timore inconscio e di rispettosa paura per le selve, e le alte vette dei monti». (G. P. Motti, La storia dell’alpinismo, 2 voll, Torino, Vivalda 1994, vol. I p. 41.)
L’autore
presenta inoltre un’interessante sintesi storica che abbraccia sia le
principali fasi di conquista delle vette più alte e coniuga il significato
teologico e filosofico in cui inquadrare queste conquiste nel corso del tempo: molte
manifestazioni dell’uomo sono legate ad una visione della montagna in proiezione teofanica. L’immensità, la grandezza,
l’irraggiungibilità di questi luoghi suggestivi rendono comprensibile il
legame con la divinità e con altre forme di teofania presenti già nel pensiero
greco: dalle ontologie orientate in senso immanentistico come lo stoicismo e
prima ancora con il pensiero di Eraclito, per gli stoici la realtà, in tutte le
sue forme, andava sostanzialmente identificata con una divinità.
L’epoca medievale è caratterizzata da
un’esistenza terrena interamente proiettata all’aldilà. In questo periodo
prevale il carattere religioso e spirituale delle preghiere, delle invocazioni,
che permettevano agli uomini di raggiungere luoghi inavvicinabili, di tentare
imprese per raggiungere le cime più elevate. L’illuminismo, caratterizzato da
una forte ripresa delle ricerche in campo scientifico-razionale, vede le
montagne diventare oggetto di curiose ricerche scientifiche ed è l’epoca in cui
si ravvisa l’inizio delle prime scalate importanti e delle prime vere e proprie
imprese alpinistiche.
Il Romanticismo segna una svolta epocale nelle
conquiste alpine. Tante saranno le cime raggiunte da alpinisti francesi,
tedeschi, inglesi e italiani. L’idea di libertà, come fondamentale esigenza
individuale sul significato dell’esistenza umana, trova uno spazio ampio di
ricerca con le conquiste montane. Un periodo senza contraddizioni e ambivalenze
trova un’aspirazione soggettiva alla religiosità unita al carattere
istintivo e fantastico della creazione
artistica e letteraria. Ciò spinge le persone a cercare risposte alle
problematiche esistenziali: dalla malinconia, al dolore, all’angoscia, alla
paura, all’inquietudine.
A
causa della sua impervietà, simbolo di arroccamento e di separatezza, la
montagna è stata anche, storicamente luogo di accoglienza di stranieri, pellegrini,
fuggitivi di ogni sorta.
Gli
uomini amano andare verso l’alto per cercare risposte ai dubbi teologici e
vocazionali?
L’autore,
nella seconda parte del libro intitolata L’uomo,
Dio, le montagne, aspetti biblici teologici
e antropologici ci parla dei luoghi dove, per la religione cristiana,
Dio si è rivelato. La montagna qui è
luogo della teologia non solo della manifestazione e dell’apparizione divina,
ma anche della parola di Dio. Dalle testimonianze raccolte nell’Antico
Testamento, (dall’esperienza di Mosè al monte Sinai, luogo dove Mosè viene
chiamato da Dio attraverso il roveto ardente e in seguito ricevette le tavole
della legge del decalogo), al monte Nebo, dove viene rivelata al profeta la
Terra promessa,
«i monti rappresentano un luogo simbolo per la vita di Mosè: la vocazione, l’alleanza con Dio e la morte. E il monte Sion riferimento di un popolo, è l’oggetto del desiderio delle tre grandi religioni monoteistiche, la montagna più osannata della tradizione veterotestamentaria». (p. 127)
La
montagna diventa, quindi, un luogo privilegiato di dialogo tra Dio e l’uomo e
un punto di incontro profondamente spirituale, di ricerca, di analisi e
confronto:
«L’uomo cerca Dio e Dio cerca l’uomo. Il primo compie un moto ascensionale e il secondo discensionale. Nella tradizione ebraico cristiana, infatti, troviamo un Dio che chiama e un’umanità che risponde, un Dio che si abbassa e un’umanità che cerca di innalzarsi a lui». (p. 103)
Nella
terza parte intitolata, Nuovi motivi per credere Il recupero
estetico della montagna, l’autore si interroga sulle motivazioni odierne
che inducono ancora molte persone a intraprendere un cammino verso le
vette più alte: ricerca di quiete, di benessere, di contemplazione verso la
bellezza incontaminata della natura. Un itinerario che diventa una meditazione
sulla propria esistenza alla ricerca delle cose belle, buone e vere della
natura. Una genuinità gratuita che ripaga della fatica impiegata per
raggiungere la meta.
Un’estetica
ambientale che si collega alla definizione di J. Ruskin delle montagne ammirate
come cattedrali della terra. Vette
che regalano anche una forza tale da provocare attimi di estasi nell’uomo in
contemplazione. Montagne viste quindi come gloriosa solennità, simbolismo
mistico e fondamento di una vera e propria celebrazione liturgica ad alta
quota. Sacrificio, fatica, itinerari impervi, luoghi della filosofia dell’anima
rappresentano mete raggiungibili attraverso un profondo silenzio, un regalo della
natura, della maestosità e bellezza del
paesaggio.
Nell’epoca
attuale della globalizzazione, la vocazione alla montagna è destinata a
consolidarsi nella vocazione di tutti coloro che si sentono “in transito”: tra
i sentieri che conducono alle alte vette potrà rinascere la riscoperta di un’appartenenza
umana non chiusa in se stessa, ma
collettivamente proiettata anche alla condivisione.
Amore,
bellezza, maestosità della natura, spiritualità, pienezza, intimità, tradizione
mistica: un libro quindi completo, ricco di informazioni, utile a tutti: sia a
coloro che amano la montagna e che condividono gli aspetti teologici enunciati,
ma utile anche a chi voglia solo conoscere e approfondire il mondo alpino in
una prospettiva più ampia.
Mariangela
Lando