Un'estate in montagna
di Elizabeth Von Arnim
Fazi, 2018
Traduzione di Sabina Terziani
Traduzione di Sabina Terziani
pp. 189
€ 15,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
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Eppure le nostre giornate sono strapiene. Perlomeno le mie: piene zeppe di una monotonia sconfinata.
22 luglio – 15 ottobre 1919. Con le premesse di cui sopra, inizia l’estate in montagna di Elizabeth. Lasciandosi alle spalle un’Inghilterra ancora ferita dagli orrori della Grande Guerra, giunge sui monti della Svizzera di lingua francese. Ad accoglierla trova il suo chalet che si affaccia sulla vallata, i coniugi Antoine (i due tuttofare che hanno custodito l'abitazione in sua assenza) e lunghe distese di prati verdeggianti ricchi di fiori. Nient’altro, nessun’altra anima viva che possa farle compagnia in questo periodo di villeggiatura.
Del resto Elizabeth è ritornata nella casa che non visitava da cinque lunghi anni non per riportare in auge i lustri dei primi anni del Novecento, durante i quali le feste organizzate nello chalet e le sessioni di sci di fondo erano famose nella sua cerchia di amici. Il suo viaggio in Svizzera è stato compiuto per un solo motivo:
Voglio dimenticare. Non voglio dover ricordare. È la mia unica possibilità di salvezza, la mia unica speranza di fuga. Dimenticare, dimenticare finché non riavrò indietro la mia anima sana e salva, finalmente mia e non più semidistrutta.
In Un’estate in montagna Elizabeth Von Arnim torna alla scrittura di un diario, dopo Il giardino di Elizabeth. Stesso nome per la protagonista (che, ancora una volta, insinua il dubbio della veste autobiografica di molti passaggi), ma diverso intento nell’esigenza della scrittura del diario. Questa Elizabeth, infatti, non affida al suo amico di penna i resoconti delle sue giornate per puro diletto cronachistico, ma lo fa per una ragione psicologica più profonda:
Scrivere mi è di conforto. Per qualche strana ragione, scrivere fa sentire meno soli. Eppure doversi guardare allo specchio per avere compagnia non significa forse aver toccato il fondo della solitudine?
Che la Von Arnim abbia questa volta impostato un libro più malinconico e triste rispetto ai testi frizzanti a cui ci ha abituato? Nella prima metà del libro, in effetti, sembra così e nelle giornate sempre uguali della donna sono i suoi tristi pensieri a dominare le pagine, in un circolo vizioso di rimpianti e ricordi che non accenna a diminuire col passare del tempo. Non viene mai detto chiaramente, ma dietro l’ombra della vita di Elizabeth si celano sicuramente i lutti causati dal recente conflitto, che ha modificato per sempre le sorti dell’umanità.
Tutto sembra continuare in un lento incedere di giornate sempre uguali, se non fosse che la genialità narrativa della Von Arnim preme sulla storia ed emerge in tutta la sua ironia dirompente non appena Elizabeth si imbatte in Dolly e Terry, due sorelle vedove di mezza età che hanno smarrito la via del ritorno al paese più vicino da cui erano scappate per il caldo insopportabile: la fantasiosa inventiva dell’autrice ha fatto sì che, quelle che dovevano essere due ospiti di passaggio, rimanessero con Elizabeth fino alla fine della sua villeggiatura. Senza svelare più di tanto sulla storia, accenno solo che questa permanenza è legata strettamente alla passione per gli uomini tedeschi (e lascio immaginare lo sconcerto per la cosa in un periodo post bellico!), a letture a voce alta di prolissi testi storici, a continue e ossessive formule di ringraziamento e a uno zio decano che perde la testa di fronte alla bellezza di una donna. Un mix divertente e leggero che, è vero, non contribuisce alla realizzazione di una trama di livello o articolata. Tuttavia Elizabeth Von Arnim non si legge (esclusivamente) per le sue storie, ma (soprattutto) per i suoi commenti piccati, le ironie sulla società, l’anticonformismo rispetto alle norme vigenti, a tal punto marcati da far esclamare alla sua protagonista che
Credo che a noi donne non faccia bene stare rinchiuse insieme troppo a lungo senza un uomo.
o dichiarare apertamente che
Sono stata testimone di come la consapevolezza di indossare calze di seta da parte di una donna abituata alla lana abbia portato dispotismo laddove prima c’era sottomissione.
Con Un’estate in montagna siamo ancora una volta soddisfatti nelle nostre aspettative: mai un libro della Von Armin tradirà i nostri bisogni di sorrisi e atmosfere storiche raccontate fedelmente.
Federica Privitera
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