"La vera eleganza non è mai fatta di frivolezze accessorie": Massimiliano Capella racconta lo stile di Maria Callas

Iconic Callas.
Vita, passioni e fascino di uno stile unico oltre le mode

di Massimiliano Capella
Centauria, 2018

pp. 141
€ 19,90 (cartaceo)




«Una vera signora di classe non è quella che quando passa fa fischiare, ma quella che fa calare improvvisamente il silenzio». Così la pensava Gianni Agnelli, noto tombeur de femmes e frequentatore di alcune tra le donne più carismatiche del suo tempo, e così ci piace pensare a proposito di Maria Callas (1923-1977): chi mai avrebbe osato fiatare, del resto, in presenza della donna con la voce più divina mai udita da orecchie mortali? Quanto ai fischi, c’è poco da rubricare: perché, a parte alcune infelici eccezioni, furono semmai gli applausi a scandire le presenze dell’interprete sui palcoscenici dei teatri d’opera più prestigiosi del mondo, a pari merito con il gran fracasso dei cronisti e dei paparazzi sempre pronti a rubare scatti e interviste, interessati ai suoi vizi privati non meno che alle sue pubbliche virtù (canore). A questa Callas, ovvero alla Callas sinonimo di grazia, glamour e griffe, alla Callas entrata nell’immaginario comune per il guardaroba sconfinato, il buon gusto e il portamento regale, alla Callas feticcio delle riviste di moda e dei rotocalchi, al centro delle cronache mondane non solo per i successi ma anche per le questioni di cuore, Massimiliano Capella ha dedicato il bellissimo Iconic Callas, pubblicato da Centauria e da oggi in tutte le librerie.

Come il volume inaugurale della collana – sempre a cura dello stesso autore, e dedicato all’artista messicana Frida Kahlo – anche in questa seconda uscita la trattazione è articolata in quattro parti, con tre specifiche sezioni a seguire una sintetica Biografia. La prima, Lo stile del periodo, ripercorre a grandi linee le caratteristiche principali della moda di quel trentennio – ovvero gli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta – che fece da sfondo alla vera e propria ascesa della Callas anche al di fuori dei templi della lirica: ecco dunque, tra gli altri snodi cruciali, il New Look di Christian Dior, esaltazione del ritrovato piacere del vestire dopo le ristrettezze economiche imposte dal periodo bellico; ecco fenomeni epocali come l’avvento della minigonna, simbolo e sintomo di una rivoluzione culturale che passò anche e non secondariamente attraverso l’esibizione del corpo femminile; ecco ancora l’ispirazione folk, che con il suo richiamo a elementi identitari forti cercava una risposta alla spersonalizzazione imposta dalla società dei consumi. Per quanto riguarda, invece, le preferenze dell’artista in fatto di moda, queste sono descritte con abbondanza di particolari nella seconda tranche, Lo stile Callas. Dettagli di stile, che celebra soprattutto il fortunatissimo sodalizio della Divina con la stilista milanese Biki ma anche la sua costosa passione per gioielli e pellicce (ne possedeva ben trenta già nel 1959); un rapporto, quello tra la Callas e le grandi firme, che dovette molto al clamoroso dimagrimento dell’artista, da sempre piuttosto in carne, e il cui perseguimento assunse quasi le caratteristiche di una performance di dominio pubblico, tale e tanta fu l’attenzione delle cronache a riguardo. La terza parte, La moda cita Maria Callas, chiude con una carrellata di omaggi dedicati alla star della lirica dalle grandi firme del fashion system contemporaneo: ci sono citazioni esplicite e dirette dell’icona-Callas, come nella collezione autunno-inverno 2009-2010 di D&G by Dolce&Gabbana, in cui il ritratto dell’artista occhieggia dalle passerelle stampato su una candida t-shirt; ci sono richiami più teatrali, come quelli di Roberto Capucci, che nel 1986 intitola la collezione Questa è l’Arena, qui è nata Maria Callas, oppure quelli di Valentino Couture, che stampa su una gonna di tulle trasparente lo spartito della Traviata di Giuseppe Verdi, opera che fu croce e delizia dell’interprete. Non mancano nemmeno rivisitazioni più allusive di uno stile e di un’intera esistenza vissuta sotto il segno dall’arte, come gli scultorei abiti a sirena proposti da Zac Posen per la primavera-estate 2013 o il recentissimo “sogno” di piume rosa confetto facente parte della collezione autunno-inverno 2018-2019 di Valentino Couture, il cui ammiccante richiamo “ornitologico” – non era forse paragonata al cinguettio di un usignolo, la voce della Callas? E l’amore non è forse un oiseau rebelle, come dice la famosa aria della Carmen? – deve essere stato colto anche da un’altra pop star dei nostri giorni, che non a caso, per il suo celebrato debutto nella settima arte, lo ha indossato per il red carpet del Festival del Cinema di Venezia tutt’ora in corso.

Una menzione speciale meritano le immagini, il cui ruolo in una pubblicazione di questo genere è, si capisce, tutt’altro che accessorio: di ottima qualità e risoluzione, spesso a piena pagina, in bianco e nero e talvolta a colori, tratte da quotidiani oppure da riviste d’epoca e in una varietà di formati che contempla anche il provino fotografico e il figurino di moda, esse sono protagoniste alla pari dei testi. Ognuna, anche la più piccola, è corredata da un’apposita e dettagliata didascalia, a conferma di una scelta mai casuale della stessa e di una cura del particolare che è sinonimo di rispetto per chi acquista il volume.

A fine lettura, e a confrontare la statura della Callas con i parametri dell’attuale categoria del divismo, è difficile non scivolare nella più profonda delle depressioni: davvero altri tempi e altri luoghi quelli in cui l’interessamento un po’ fanatico del pubblico, della critica e della stampa (anche di quella scandalistica) aveva ben ragione di rivolgersi non a personaggi meramente pieni di sé, ma a personalità dotate di un talento fuori dal comune, unico, ovvero “essenziale” nel senso di conditio sine qua non per ottenere attenzioni. Ciò che conferma la grandezza della donna e dell’artista in questione (leggi: di Maria e della Callas) pur dopo la lettura di un libro che mette intenzionalmente l’accento su quanto la sua “apparenza”, con gli anni, fosse diventata sempre più squisita, è proprio la preziosità, l’unicità della sua “sostanza”. La voce dell’interprete – una voce che ancora oggi è metro di paragone per le cantanti d’opera di tutto il mondo – conserva difatti immutata la sua ammaliante alchimia: le registrazioni della Callas continuano a vendere copie su copie, e così come la ascoltiamo adesso che non c’è più, allo stesso modo le avremmo dato ascolto, da viva, anche spoglia, disadorna, struccata e scarmigliata. Massimiliano Capella lo sa bene, persino quando, in chiusura, confessa come all’origine del suo culto per l’artista la figura abbia avuto la precedenza sulla musica:
«l’immagine di Maria Callas riprodotta sulle copertine dei vinili delle opere da lei interpretate mi ha sedotto fin da ragazzino. Un’immagine che è stata un passaggio obbligato verso la voce, quella voce che ogni giorno rinnova l’emozione e lo stupore».
Iconic Callas rende conto e giustizia di entrambe le fascinazioni: pagina dopo pagina si conferma un concerto per gli occhi, un omaggio “alla profondità delle superficie” che nell’indugiare su abiti, accessori e gioielli assortiti farà la gioia dei fanatici, dei melomani e di chiunque voglia ricordare a se stesso che cosa si intenda quando si parla di autentica celebrità.

Cecilia Mariani



A post shared by CriticaLetteraria.org (@criticaletteraria) on