di Maurizio Maggiani
Feltrinelli, 2018
pp. 197
€ 16 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
È con l'indistinto di una giornata come tante altre che si apre L'amore, la nuova opera di Maurizio Maggiani, un ibrido affascinante tra favola e realismo, bagnata di un sentimento morbido. Cosa c'è di morbido nell'età ormai avanzata di uno sposo, lasciato volutamente anonimo, che condivide con il lettore la sua giornata fatta di niente? Dimenticate Leopold Bloom, modello che senza dubbio sarà balenato per un attimo alla memoria dei joyciani: lo sposo di Maggiani è un narratore che segue un filo logico, emotivo ma razionale, ed è il filo dei ricordi. In attesa del ritorno serale dell'amata sposa, lo sposo compie piccoli gesti irrisori che sono però intrisi di poesia ai suoi occhi, in grado di trasfigurare il presente e di tornare indietro, ad altri amori, «fatterelli» decantati sul palato alla ricerca di un retrogusto ora dolce ora amaro:
[...] La mia vita non era molto interessante e mi piaceva che fosse così, mi piaceva riprendere a andare sulle mie gambe zoppicando un po', andare con calma a rivedere il mondo dal principio, il mondo del mio primo dopoguerra, qualche scheggia in una gamba e la testa ingombra di macerie.
Lì, anche le donne del passato a cui lo sposo, forse un po' incautamente ma sempre con estrema convinzione, ha pronunciato il suo “ti amo ti amo ti amo”, ritrovano forma, nome (qualche volta con estrema fatica), ma soprattutto dettaglio. Sono proprio le esperienze condivise, i primi palpiti e i tocchi fuggitivi di una, o al contrario l'irruenza di chi la sapeva ben più lunga dello sposo, allora giovanissimo, a ritrovare vita e a rianimarsi nel pensiero. Gli addii non mancano, sono la conclusione di quei «fatterelli» che spesso trovano poetiche chiuse, canzoni da sussurrarsi mesti: «Tu ed io siamo così come una vela che non ha più vento se tu non sei qui vicino a me e io con te». E la melodia del passato scatta con lo stesso rumore con cui si attiva un mangianastri: un primo rumore metallico - ed ecco il ricordo che scricchiola nell'indeterminato -, e poi la voce registrata che si spande - forse un po' ottusa per la qualità del nastro, ma mai lontana dal vero -. Per poi interrompersi, ora bruscamente, ora col passo inesorabile di una storia che finisce, ben sapendo che «nel momento ultimo degli addii l'unica cosa che vuoi è restare, restare per sempre, per sempre». Anche per questo lo sposo si augura che la sposa non abbia mai provato i postumi di un addio (l'amore non è forse anche voler risparmiare all'altro ciò che noi abbiamo patito?):
«Non saperlo mai amata mia cosa vuol dire, come ci si sente, e cosa succede mentre giri per la casa, frughi, rovisti, riesumi, rivedi, ritocchi, e senza star troppo a guardare, ficchi in una sporta le spoglie minute e modeste di un amore. E non dirmelo amata mia se sai o non sai, fammi credere che ti sia stato risparmiato l'abominio di questa mietitura».
Se oggi lo sposo non ha niente da recriminare né ha bisogno di lottare per la sua giornata grazie agli articoli che scrive giornalmente e a una routine ormai trita, tiene però per sé la possibilità di un secondo lavoro per continuare a sognare di reinventarsi. Ci sono gli acciacchi quotidiani, certo, ma come rintoccano bene ancora sulle corde del cuore le voci della Chiaretta, o della Padoan (come si chiamava?), o di Mari “marina marosa”, o della “Spilungona” Ida,... Si confondono solo con le voci degli altri che hanno fatto la storia insieme a loro, che hanno lottato per le condizioni degli operai del dopoguerra, che hanno distribuito manifesti rivoluzionari e anarchici, che hanno occupato edifici scassinando serrature ostili,...
Sono lontani ora quei tempi, tutto si è calmato in un presente più morbido - non a caso l'aggettivo torna per la seconda volta -, in cui lo sposo può centellinare il piacere di preparare una cena elaborata alla sposa, sorbendo i profumi del presente che, manco a dirlo, dialogano incessantemente con quello che è stato.
Ma non si tratta solo di un nostalgico amarcord, pronto a sorridere bonariamente per le illusioni del giovane sposo; si tratta di un passato ormai sedimentato e accettato, ma non per questo rifiutato o superato. Lo si evince dalla narrazione: dolce, lirica e mollemente adagiata sui cuscini di ciò che è stato, ma anche rassegnata a scivolare per terra, dove la memoria raccoglie solo gli inevitabili addii o congedi ancor più definitivi. Anche queste esperienze sono servite ad amare ancor più incondizionatamente la sposa, scoprendo e centellinando nella giornata l'idea di lei:
Di molte cose lo sposo è grato alla sua sposa, la gratitudine è il sentimento tra loro che più lo riscalda e gli tiene compagnia, ma ciò che forse gli è più caro della generosa intelligenza della sposa è che mai, mai una volta nei molti anni che hanno avuto modo di parlarsi in segreto nel vasto letto coniugale, mai ha osato chiedergli perché mi ami, mi ami davvero e quanto e come. Allo stesso modo e per medesima, innata rettitudine e saggezza non ha mai voluto indagare, ficcare il dito, mettere il becco, nel suo modo di cucinare la farinata di ceci e lo stoccafisso, o nell'abitudine che ha di arrembarsi sulla porta di casa verso sera e ostinarsi a puntare gli occhi nel niente all'orizzonte, quell'uomo che non ci vede da qui a lì.
Conoscere i difetti, i vizi e i rituali dell'altro non è la morte dell'amore; al contrario, rende superfluo continuare a ripetere “ti amo ti amo ti amo” come in gioventù, loro «non hanno mai pronunciato tra loro la parola amore, lo sposo ne è certissimo, l'amato non è l'amore», ma quando ci si compenetra nel perfetto conoscersi è tutto più vero. E il quotidiano rintocca di liricità.
GMGhioni
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