La valle dei maghi
di Kamal Abdulla
Sandro Teti editore, 2016
Traduzione di Daniele Franzoni
pp. 204
€ 15,00 (cartaceo)
A metà strada tra favola e dramma intergenerazionale, La valle dei maghi, dell'intellettuale azero Kamal Abdulla, è un romanzo complesso per trama e struttura, ma non del tutto convincente.
Come nota il professore Franco Cardini nell'introduzione, la storia si svolge quasi in assenza di coordinate temporali e geografiche. S'intuisce un'epoca storica (il Medioevo islamico) e un'area di riferimento (intorno all'attuale Tabriz), ma le vicende narrate si svolgono a cavallo tra tanti, immaginari luoghi e diverse generazioni.
La valle dei maghi è un luogo inaccessibile e misterioso, dove regna un'eterna primavera. Questa oasi affascinante e spaventosa è la prima destinazione di un viaggio tortuoso: inizialmente il protagonista Karavanbashi si sposta con la compagnia dell'eunuco Ibrahim e di un'intera carovana, e la conduce alla ricerca di un mago, anzi, un mago che parli con le anime.
La grande carovana (…) con tutti i suoi animali, servi, uomini e schiavi, aveva percorso un lungo ed estenuante cammino; casa era ormai vicina.
Ma più si avanza nella lettura, più il protagonista si fa solitario, più il viaggio diventa solo interiore, ondeggiando non più tra montagne e dune, ma avanti e indietro nel tempo.
Mentre la storia di Karavanbashi rallenta, lasciando il lettore col dubbio di cosa desideri da un esperto di anime, si fa strada la vicenda di Mamedkuli, il più sanguinario tra i boia e, per questo, il preferito dello scià. La crudeltà è un elemento costante nella sua vita, tanto che persino l'amore, per Mamedkuli, ha qualcosa di sinistro e violento.
Mamedkuli (…) a volte, mentre era a letto, abbracciava così forte la bella Pernisa, stringeva quella sua testolina così forte contro il suo petto villoso, che quella, per lo spavento, trasaliva ed esclamava: «Ahi! Ahi! Non respiro, mi ucciderai… (…)»
Ma la brutalità non può restare impunita: la violenza e gli omicidi richiamano altro sangue, esigono una vendetta. Ed è all'insegna della vendetta che le due storie si incrociano, culminando nel più puro stile drammatico.
Intanto, però, la narrazione è solcata da una terza storia, un ulteriore sviluppo: quello sul Derviscio bianco. Sebbene i toni siano intensi, tanto da creare, in certi passaggi, l'aspettativa di un ulteriore mistero, o almeno di un altro sviluppo, in realtà questo filone rimane orfano, tronco, inconcludente. Qui viene la parte più debole del romanzo, non solo perché risulta slegata ma soprattutto perché interferisce con il passaggio dal tono fiabesco dell'inizio a quello tragico della fine.
Forse è il ritorno del Derviscio bianco ad aprire il vaso di Pandora, scatenando nuovamente la violenza? Forse l'azione dei maghi innesterà un nuovo filone di vendette? Possiamo solo immaginarlo ma non è così scontato.
Francesca Romana Genoviva