di Giovanni Sechi
"Nero Italiano" Fanucci, 2018
pp. 318
€ 13 (cartaceo)
€ 4,99 (ebook)
«La mia agenzia, la Orpheus, aiuta le persone che non sanno dove sono i loro cari. Ci è capitato di trovarli senza memoria, persi in pensieri cupi di disperazione. A volte vivono da barboni, in qualche paese sperduto. In altri casi sono sposati, sistemati, e non sanno neanche spiegare perché hanno abbandonato chi li amava senza dire una parola. Ma siamo sinceri: quello che accade più spesso, è che li troviamo morti. Ma per noi non è un fallimento: i cari ottengono un corpo su cui portare un fiore. Può essere un grande sollievo, sa?» (p. 13)
Uno, Enrico, è un ex insegnate di religione, appassionato di filosofia e teologia, amante delle penne stilografiche di classe e delle conversazioni esistenziali. L’altro, Salvatore, è un ex poliziotto alcolizzato dai modi bruschi, che bene ha conosciuto la vita della strada e il modo in cui funziona la malavita.
Lo yin e lo yang, il bianco e il nero, l’alfa e l’omega di una variegata umanità a noi così vicina e palpabile da poter essere facilmente quel tipo di umanità che abita il nostro stesso pianerottolo: questo è forse il punto di forza del Sesto indizio di Giovanni Sechi, un thriller a tinte noir che parte perfettamente inquadrato nel genere – un’indagine su un caso di omicidio avvenuto dieci anni prima e mai risolto, una serie di possibili colpevoli, diversi colpi di scena che avvengono nel momento in cui il tutto pare bloccarsi come un meccanismo inceppato – ed evolve repentinamente sotto i nostri occhi da lettori per trasformarsi in un romanzo diverso, quasi sui generis, in modo così inaspettato da risultare geniale. È difficile infatti sorprendere veramente quando si ha a che fare con romanzi di genere, poiché facile è cadere nei cliché e in meccaniche già viste. Eppure gli sviluppi improvvisi e inavvertiti che ci troviamo davanti rivelano la maestria di Sechi come narratore, che sa scrivere un thriller di 300 e passa pagine senza annoiare, ma anzi incentivando la volontà del lettore di arrivare all’ultima pagina.
Enrico e Salvatore, dunque. Sulla trama niente da obiettare, come anticipato, ma sono loro due a rimanere impressi quando si conclude l’avventura. Anche qui Sechi è bravo a evitare un errore piuttosto classico, ossia quello di spingere sulle diversità di protagonisti palesemente creati per soddisfare diversi tipi di lettori e, al contempo, dare spessore a una trama piatta sfruttando le idiosincrasie che li contraddistinguono. Non è così, infatti, dalle righe non emergono sterili conflitti né rapporti banali stile maestro-allievo o protagonista buono-protagonista cattivo. Enrico e Salvatore sono personaggi a tutto tondo, con proprie convinzioni, propri pregi, propri limiti. Hanno una visione del mondo completa e particolareggiata, e così ben delineata da poter prevedere le loro reazioni nel caso si decidesse di parlare con loro di un argomento qualsiasi… senza tuttavia essere meri archetipi, dei quali si possano prevedere completamente le reazioni e le idee. Per dirla in altri termini, dunque, i due fratelli Carta hanno una storia alle spalle, una storia verosimile e fondante, in grado di giustificare e spiegare i loro comportamenti. Sono queste loro diversità, ma anche il rapporto di fratellanza, a dare modo alla trama di svilupparsi e di procedere in maniera coerente.
Lo stile di Sechi è preciso e asciutto e, cosa non semplice da fare, adatto alla visione del mondo del protagonista al centro della scena. L’autore non fa l’errore di attribuire ai due protagonisti propri pensieri, ma anzi adatta di volta in volta il modo di scrivere, preservando tuttavia il sottofondo stilistico del libro. Anche qui, dunque, possiamo parlare di coerenza e integrità della scena.
Il sesto indizio è un romanzo pulsante e palpabile, in grado di coinvolgere e colpire. E anche di far ridere e ragionare su tematiche importanti, cosa mai scontata.
David Valentini
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